Pierangelo Sapegno lo scorso 8 maggio su ArtsLife ha aperto un interessante dibattito su Arte e Cultura di Destra. L’argomento è assai attuale, ma deve essere preso dal verso giusto, senza fare di tutta l’erba un fascio – ed è buffo notare quanto sia qui pertinente questa usurata e banalissima espressione.
La questione è piuttosto complessa e, a mio avviso, va esplorata nell’ambito di un dibattito sempre aperto, ovvero sui rapporti fra Politica e Cultura. In verità è la storia di un problema del ‘900, affrontato a suo modo da Karl Marx tramite il Manifesto del Partito Comunista. Tutto era già stato già predisposto, e con grande efficacia, dal filosofo Hegel con lo Storicismo basato sulla triade di Tesi-Antitesi-Sintesi. Da qui il manicheismo degli opposti Destra-Sinistra, e dunque l’intingolo argomentativo del Manifesto di Marx.
Nel dissolvimento delle emozioni, la Destra di oggi è erede ormai lontanissima del Nazi-Fascismo e dai filosofi nazionali d’appoggio. La Sinistra a sua volta si è attribuita molta parte del merito di vincitore della Seconda Guerra Mondiale; da qui il termine Destra usato come una clave contro chiunque non sia DOC, ossia di Denominazione d’Origine Controllata. Ed ecco perché il Ministro della Cultura Sangiuliano ha voluto assumere Dante Alighieri come modello primario della Cultura di Destra. Mentre nella Sinistra nessuno parla più di Antonio Gramsci.
Nell’immediato dopoguerra la Cultura della Destra non poteva esprimere alcun capo fondatore. Chi? Giorgio Almirante, segretario politico del M.S.I. già capo redattore della Difesa della Razza? Intanto la Cultura del P.C.I era gestita da Palmiro Togliatti, allineato alle disposizioni autoritarie di Mosca nell’applicazione dell’estetica e dei contenuti del Realismo Socialista; ma non solo: dal 1945, grazie all’astuzia di Togliatti, il Partito Comunista ha collocato nei suoi ranghi un numero considerevole di Redenti, come recita il titolo di un libro perfetto scritto anni fa da Mirella Serri. La scrittrice rivela l’approdo di un largo ventaglio di intellettuali già aderenti al Fascismo, accolti in massa in Via delle Botteghe Scure, a Roma. Qualche nome? Ma sì: Carlo Giulio Argan, Cesare Brandi, Renato Guttuso, Elio Vittorini, Vasco Pratolini, Carlo Muscetta, e tanti altri fascisti innocui; ai quali aggiungo le anime belle che nel 1938 avevano occupato le cattedre universitarie lasciate libere dagli ebrei cacciati dalle Leggi Razziali.
Fra loro – circa 250 dei quali nessuno parla mai – l’onoratissimo defunto Norberto Bobbio. Solo Benedetto Croce e Gaetano De Sanctis si rifiutarono di rapinare i colleghi ebrei, e non appartenevano certo alla Sinistra. Oggi, a mio parere l’epidermide delle due fazioni non è né nera né rossa bensì, forse per fortuna, del tutto incolore nell’ampia piazza della Democrazia Rappresentativa sancita dalla nostra Costituzione, che non mi stancherò mai di lodare e sostenere.
A suo modo la Destra attuale è struggente; il vuoto in cui si trova dipende anche dal fatto che la Cultura, quella vera, identifica la sua missione nel Dubbio. Al contrario, la Politica deve necessariamente optare per la strategia della Certezza, quella che funzione meglio a furor di popolo. Rappresentano due opposti lungo un percorso parallelo. Ma non devono scambiarsi il ruolo. Su questo abbiamo già dato lacrime e sangue.