Docente da oltre vent’anni all’Accademia di Belle Arti di Palermo, fotografo e autore di diversi libri sulla città siciliana, le sue architetture, le sue periferie e i suoi relativi problemi urbanistici, Sandro Scalia non risparmia nulla al presente della capitale dell’isola. Una nuova puntata di “Vucciria” dove stavolta la voce è molto critica.
Nasci a Ragusa e studi fotografia nella scuola specializzata Bauer, all’Umanitaria di Milano e completi la formazione all’Accademia di Belle Arti di Palermo, quali metodologie hai ereditato da queste differenti impostazioni didattiche e formative ?
Negli anni ottanta ho frequentato la Bauer (ex Umanitaria) e che ha dato un impulso deciso alla mia formazione in fotografia. In quella istituzione ho conosciuto e frequentato Roberta Valtorta e Daniela Tartaglia, figure preziose per la mia ricerca. La Bauer di allora aveva una intensa connotazione laboratoriale con il caro Professor Guido Manetti. Quindi ho sentito l’esigenza di frequentare l’Accademia di Belle Arti stimolando aspetti che la Bauer non approfondiva: Pittura, scultura, fenomenologia delle arti, didattica e i linguaggi dell’arte contemporanea.
Lasceresti la Sicilia, Ragusa, Palermo per quale città e perché?
Oggi non sono più interessato a vivere una grande città, ho trascorso più di sei anni a Milano e poi Palermo, che da molti anni mi delude sotto molti aspetti. Pertanto la vivo per il mio lavoro in Accademia ma fuggo, appena posso, e mi rifugio nel Parco delle Madonie dove risiedo oramai da tempo.
Architettura, archeologia industriale, paesaggio, periferie, archivi fotografici, insieme al costante impegno nell’ambito dei Beni Culturali caratterizzano il tuo lavoro dentro e fuori l’Accademia, da anni osservi i processi di cambiamento del tuo territorio che vivi come presupposto d’indagine anche antropologica e sociale; ma i tuoi prelievi fotografici dedicati a Palermo e dintorni, capaci di documentare l’inesorabile attitudine del laissez faire tipico siciliano, nel corso del tempo hanno modificato lo stato delle cose?
La ricerca è costante su questi temi e ho sempre prodotto e mostrato lo stato delle cose al pubblico, alle istituzioni pubbliche e private, ma come hai appena detto nella tua domanda, il laissez faire, tipico anche italiano direi, è stato costante. Un caso lampante è la profonda ricerca realizzata in Le periferie di Palermo libro del 2000 editato da Charta al recente progetto del libro Palermo Periferie editato con l’Accademia, non ha scalfito le coscienze degli amministratori della città e degnarle attenzioni e cure necessarie.
Che rapporto hai con Palermo, come la vivi e quali sono i luoghi che ancora ti incantano ?
Come hai percepito il rapporto non è felice, ovviamente per il ruolo che ho sono spesso coinvolto ad indagare, con la Facoltà di Architettura e l’Accademia ho la possibilità di esprimermi ma resto deluso dalle manifestazioni promosse città e fallite con uno sperpero di fondi sottratti alla cultura stessa della città. Ultimo caso recente: Manifesta 12.
Quale eredità ha lasciato a Palermo “Manifesta 12” ?
Manifesta 12 ha ripreso il pensiero di Gilles Clement “Il giardino planetario”, attirando un grand tour di attenzioni alle mostre e alla città ma non ha seminato nulla affinché la città potesse tenere vivo l’interesse per temi trattati e per l’arte contemporanea. Oggi non rimane nulla, neanche il piccolo giardino allo Zen, in stato di abbandono, realizzato da un collettivo vicino a Gilles Clement. E’ stato solo uno dei tanti eventi che hanno utilizzato fondi destinati alla città e che spesso sono facilmente ceduti, portati via, da società create ad hoc per questo. In Manifesta sono stato coinvolto in due eventi, ho realizzato (preciso senza nessun compenso) le fotografie su Pizzo Sella per l’intervento del collettivo Rotor e nell’esposizione Studios curata da Pestellini.
A Palermo, città contraddittoria sono molte le aree trascurate, degradate e sprovviste di servizi rispetto al centro sempre più “gentrificato; la fotografia che ruolo ha nell’obiettivo di “ricucire”, connettere il centro con la periferia e l’abitabilità con marketing turistico?
Come ti ho appena descritto il caso del libro Palermo Periferie era la cura, abbiamo indicato i luoghi (la periferia tutta) e la fotografia è lo specchio reale e sincero dello stato di fatto. Le amministrazioni che si sono succedute non hanno mai tentato di ricucire la città, periferie e centro storico. Ovviamente fin troppo semplice dedicare attenzione al tesoro storico e artistico della città ma anche su questa parte della città, l’inesorabile attitudine palermitana, lo lascia lercio ed in preda degli assalti non regolati del souk turistico.
Persone, Pianeta e Prosperità sono stati i temi fondamentali del G20 a Roma, Cop26 a Glasgow (Scozia) ha puntato sul tema ambientale che si è aperto con l’appello di Boris Johson, di intervenire rapidamente per far fronte insieme all’Apocalisse climatica; da anni ti occupi oltre che delle periferia del paesaggio, Palermo come risponde all’emergenza ambientale?
Le tue domande mi costringono a parlare con chiarezza della città. Ti cito altri due libri che ho curato e che possono farti comprendere la scena. Il primo del 2003 approfondiva il tema del rapporto tra Città e mare, ovvero una città di costa che non ha rapporto con il mare. Altro caso più recente il libro Guida dei giardini pubblici di Palermo, autofinanziato, che documenta e illustra il patrimonio botanico/architettonico, volume prezioso donato ad una città che non ha mai saputo quanti giardini possedesse.
Secondo te la fotografia come può informare e formare una coscienza etica collettiva nel rispetto dell’ambiente?
È il mezzo privilegiato per formare coscienza
Palermo non è una green city impegnata nella sfida del contenimento delle emissioni di CO2, soluzioni semplici a problemi complessi non esistono, ma in quali progetti hai denunciato malesseri ambientali endemici in questa città?
La Guida dei giardini pubblici di Palermo è stato un passo fondamentale per rivendicare l’abbandono del verde cittadino. Lo stato sofferente delle periferie denunciato attraverso più libri pubblicati: Palermo periferie; Città e mare; Mezze luci/half light; Città-Porto/City-Port; Palermo Porto; Le città di Palermo; Vedute e luoghi di Palermo; Opere pubbliche; Tra modernità e architettura; La Devolution de Palerme. Quindi diverse mostre, un video e una videoinstallazione alla XII Biennale architettura di Venezia per Palermo-Porto
Dal 1997 sei docente di ruolo all’Accademia di Belle Arti a Palermo, cosa e come insegni ai giovani fluttuanti nella cultura digitale, dipendenti da Instagram a diventare fotografi?
Da sempre il mio ruolo di docente ha avuto un approccio molto stretto con i miei allievi, ricerca continua adiacente alle mie esperienze. Piena libertà ad affrontare con la fotografia i temi più attuali e intensi di comunicazione e ricerca. abbiamo sempre affrontato le ricerche di alto spessore. Ovviamente molta tecnica e pratica sul campo tra analogico e digitale. Da quando è stato istituito il Premio nazionale delle Arti nelle Accademie, su 6/7 edizioni a cui abbiamo partecipato la nostra Accademia di Palermo ha piazzato in tre edizioni il miglior studente di fotografia (Bologna, Urbino, Lecce).
Nel 1996 hai realizzato un archivio fotografico dei Cantieri Ducrot, prima dei numerosi interventi, attualmente tieni i corsi lì, giorno dopo giorno hai l’opportunità di percepire i cambiamenti architettonici dell’ ex area industriale, ma quali sono gli edifici o i reperti originali preservati ?
Ho avuto sempre il pensiero di fare memoria dei luoghi a me cari e in quel periodo il Comune di Palermo aveva fermato una possibile speculazione edilizia pertanto decisi di fare la campagna fotografica dei cantieri abbandonati. Il luogo era magico perché i capannoni industriali mostravano ancora i segni delle attività che si sono succedute dal secolo scorso. La campagna fotografica fu realizzata in pellicola con banco ottico. Rimane oggi l’unica memoria completa dell’area, perché il comune inizio a lavori di recupero e modifiche che ne hanno compromesso aspetti originali. Alcuni capannoni sono stati abbattuti perché in precario stato e molti altri sono stati fatti deperire per incuria e non recupero statico. Caso incredibile il più grande spazio con capriate in legno, oggi spazio Averna, era il più affascinante ed era stata invitata Gae Aulenti a progettarne un auditorium… fece il sopralluogo, ma non se ne fece nulla! In seguito troppi interventi realizzati dalle manovalanze stesse del Comune, quindi con i soli tecnici e senza idee che potessero rispettarne la memoria. I Cantieri Zisa hanno sopportato anche le varie stagioni politiche e quando Orlando, che aveva avviato l’uso culturale, perdette le elezioni il nuovo Sindaco Cammarata decise di abbandonare l’idea dello sviluppo culturale dell’area e dirottò gli sforzi verso la Kalsa del centro storico. Pertanto i Cantieri furono dimenticati e approfittando dello stato di poco interesse convinsi la responsabile ad affidarli all’Accademia di Palermo. Oggi sono gli spazi più preziosi che noi abbiamo e sono anche gli edifici più originali perché non avevamo fondi per restaurali.
La pandemia ha modificato il tuo sguardo sulla tua Isola, come e perché ?
No nessuna modifica, ho avuto la fortuna di muovermi tanto per i vari progetti in corso e avevo il vantaggio di trovare poca gente in giro così come nelle mie fotografie. Quando la pandemia circolava in Cina la stavo già fotografando per altri motivi…
Quali sono stati i maestri che hanno maggiormente influenzato il tuo sguardo sul mondo?
Walker Evans, Minor White, la New Topographics tra cui Robert Adams, Lewis Baltz, Stephen Shore e ancora Giovanni Chiaramonte, Luigi Ghirri, Guido Guidi, Gabriele Basilico.
Cos’è la fotografia per te nell’era analogica?
Ho vissuto la mia prima vita nell’era analogica e fatto ricerca a passo lento in quel periodo, ho attraversato quell’era in transizione promiscuo tra analogico e digitale e non ho mai avuto difficoltà ad utilizzarle contemporaneamente. Anzi mi stimolano tempi di analisi e ricerca differenti. Ovviamente oggi sfrutto il digitale per carenze di pellicole, carte, laboratori di trattamento. Ma non mi crea nessun problema. Il vantaggio di avere vissuto le diverse fasi mi permette di essere più produttivo anche con il digitale grazie all’esperienza dell’analogico! Fantastico.
Che rapporto hai con la tecnologia e la postproduzione ?
Nessun problema, sono a mio agio, è materia di costante ricerca per me e con i miei cari allievi dell’Accademia.
Che Palermo immagina nel 2050?
Una città allo sbando come oggi. E mi spiace tanto…