Incontro con i colori e il “vissuto” nelle opere di Antonella Quacchia. In occasione della mostra “Morphosis” a Palazzo della Cancelleria Apostolica Vaticana, a Roma, abbiamo incontrato l’artista per una chiacchierata in cui si evidenzia una pratica pittorica sempre connessa all’ambiente e agli stimoli di un mondo che cambia costantemente.
Alcune delle opere che sono state esposte nella mostra MORPHOSIS – come Beige, Indigo, Ocra, Emerald – sembrano essere dei veri e propri orizzonti. Come è stata concepita questa serie?
Questa serie nasce da una riflessione sul nostro pianeta e sulla bellezza della natura che ho avuto modo di ammirare sia in viaggi in terre lontane, che nella piccola realtà quotidiana che mi circonda. I miei paesaggi astratti, non sono luoghi ben definiti, ma piuttosto una sintesi immaginativa di tanti paesaggi ammirati e vissuti che mi permette di simboleggiare un altro tipo di paesaggio, un paesaggio dell’anima. La parte inferiore, tumultuosa, piena di contrasti tra luci e ombre può essere letta come un simbolo della vita reale, carica di momenti contrastanti: di felicità, di tristezza, di inquietudine, di agitazione. La parte superiore è invece caratterizzata da una forte e dominante componente cromatica che sembra piatta, quantunque si posa su una struttura carica di materia, come a simboleggiare una emozione che attribuisce un colore al vissuto nel presente, e che può essere interpretata individualmente secondo la propria cultura e la propria storia. In mezzo, un orizzonte come a delimitare il “vissuto” e il “sentito”; un orizzonte che può anche essere interpretato come la “meta” a cui tutti tendiamo, che sia il traguardo di un istante o di una vita intera.
Secondo il curatore Giorgio Vulcano, le sue opere “infrangono lo specchio della mimesis” e raccontano di noi e del nostro mutevole “essere nel mondo” in maniera astratta. Si riconosce in questa definizione? Perché?
Mi riconosco in questa definizione in quanto le mie opere prendono una certa distanza dalla realtà strettamente figurativa per proporre un modo soggettivo di lettura. Nella serie “Floating forms”, per esempio, mi piace giocare con la distanza e la prossimità, per cui allontanandosi si possono percepire masse contrastanti ed avvicinandosi scoprire particolari in cui riconoscere forme vagamente figurative che riportano a ricordi e sensazioni personali. Questa tensione tra il dettaglio e l’insieme ha degli aspetti interessanti perché permette di cambiare punto di vista, di cogliere nuove sfumature, di dare libero corso all’immaginazione e creare nuove interpretazioni della realtà. Fin dall’infanzia ho vissuto in vari paesi nel mondo, assorbendo i colori, la musica, gli odori, la luce, i paesaggi di luoghi così diversi tra loro. Ho avuto la possibilità, anche attraverso la mia attività professionale in organizzazioni internazionali (e certamente non è un caso), di osservare, capire e apprezzare le differenze e le similitudini degli abitanti di questo nostro variegato e straordinario pianeta, attraverso l’interazione con tante persone così diverse per usanze, religione, lingua, modi di sentire ed “essere nel mondo”.
Appassionata da sempre di arte e delle sperimentazioni, ha lavorato però al CERN e all’ONU. Quanto ha influito questo doppio percorso nella sua produzione?
L’influenza della mia carriera lavorativa al CERN e all’ILO è stata fondamentale nella costruzione di una grande sensibilità verso culture e modi di vita molto diversi. La mia formazione accademica è di tipo scientifico, quindi portata alla sperimentazione ad a una forma mentis che mi spinge a non fermarmi all’apparenza, ma ad andare oltre per cercarne il significato più profondo. Gli anni passati al CERN e all’ILO, lavorando a stretto contatto con professionisti provenienti dal mondo intero, mi hanno permesso di esplorare i confini dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande e di crescere nella constatazione che non esistono certezze e che tutto può essere rimesso in discussione e rivalutato alla luce di nuove scoperte e di nuove comprensioni della realtà. Ho avuto la possibilità di conoscere, ammirare e rispettare le differenze nei modi di percepire la realtà, nei modi di fare, di vivere le credenze religiose e la cultura di ogni singola persona. Ogni artista riflette la cultura e la realtà che lo circonda. Non potrei mai dipingere solo personaggi europei perché nel mio mondo di vissuti c’è un mosaico di persone proveniente da tutti i continenti. Opere come Friends, Coming home, Looking in the same direction, per citarne alcune, sono una chiara sintesi di questo caleidoscopio multietnico e multiculturale che fa parte del mio bagaglio di esperienze e di ricordi. Anche la scelta di optare per un linguaggio astratto deriva dal bisogno di prendere la distanza da una rappresentazione troppo legata a solo “una” realtà specifica, in favore di una visione più concettuale e sintetica che abbracci tutte le differenze e le peculiarità del mondo che ci circonda.
Quali sono gli artisti, gli scrittori o i pensatori in cui trova ispirazioni per la sua pratica pittorica?
Nella mia pratica artistica, una grande importanza ha l’esplorazione di nuovi materiali, e di nuovi stili, che mi permette di re-inventarmi continuamente anche subendo le contaminazioni da vari artisti contemporanei. Il pittore che forse ha avuto il più grande impatto iniziale sulla mia pratica pittorica è Emil Nolde che mi ha folgorato con la forza della sua espressione attraverso il colore e con la sua rappresentazione di personaggi irreali, che vivono in una realtà onirica. Mi ha anche affascinato il percorso di sintetizzazione e riduzione operato da Piet Mondrian per arrivare a quella straordinaria opera Composizione 10 in bianco e nero del 1915 che è per me l’apice del linguaggio astratto. Traggo anche ispirazione dalla ricerca di Mark Rothko sul colore e mi nutro dell’attività artistica dalle molte donne che si sono ritagliate uno spazio in un mondo in grande parte maschile: penso alla talentuosissima pastellista veneziana Rosalba Carriera la cui delicatezza dei ritratti mi lascia un profondo senso di meraviglia; a Sonia Delaunay e alla sua Geometria astratta a cui mi sono largamente ispirata per la mia serie “Amo la vita”; e a Helen Frankenthaler con i suoi esperimenti, negli anni ’70, di diffusione del colore direttamente su immense tele grezze. Tra gli scrittori traggo ispirazione dal tutto il dibattito scientifico sulle ultime teorie della relatività gravitazionale di autori come Carlo Rovelli e Stephen Hawking. Tra i pensatori traggo grande ispirazione da Archimede che già nel suo Arenario si ribella alle forme di sapere rigide e codificate e promuove una visione dinamica della scienza dove vige la consapevolezza che il sapere acquisito di oggi può essere in ogni istante messo in discussione da nuove conoscenze, e con ciò diventare la base su cui nel domani si possono costruire nuove teorie. Non è tutto ciò valido anche per l’arte?