Los Angeles, Seoul, Parigi, Antigua hanno ospitato mostre personali di Alexandra Grant e ora la Miles McEnery Gallery ha presentato il suo debutto sulla scena di New York, in una delle settimane dell’arte più rilevanti al mondo.
In mostra, fino al 3 giugno, sei nuove tele della serie Antigone 3000, di cui abbiamo parlato direttamente con l’artista, che ci ha raccontato la sua ricerca, tra pittura, letteratura e progetti socially engaged (tra cui grantLOVE), e ci ha anticipato i progetti che presto porteranno la sua ricerca nuovamente in Europa.
SC: Nella mostra alla Miles McEnery Gallery, presenti nuovi dipinti basati sulla serie in corso Antigone 3000. In che termini questa serie si collega alla tragedia classica di Sofocle?
AG: «Ho incluso per la prima volta la voce di Antigone in una precedente serie di dipinti, Century of the Self, iniziata nel 2010 e basata vagamente sull’omonimo lavoro del documentarista britannico Adam Curtis. L’idea era quella di esplorare la consapevolezza di sé nel linguaggio dell’adolescenza e ho usato la frase di Antigone “Sono nata per amare non per odiare”, tradotta dal testo greco di Sofocle insieme ad altre frasi, per cogliere quel momento dello sviluppo umano.
La serie Antigone 3000, incentrata unicamente su Antigone, è iniziata nel 2014, con l’idea di esplorare chi sarebbe potuta essere oggi: una giovane ragazza? Un uomo anziano? O qualcuno di più fluido? Una singola persona o tutti noi? Il contesto storico negli Stati Uniti è costituto dalla morte di Michael Brown, a Ferguson, nel Missouri, il cui corpo rimase insepolto per ore nell’agosto del 2014.
Non sono l’unica artista che si è rivolta ad Antigone. Ad esempio, Carrie Mae Weems ha creato il suo Past Tense in relazione alla violenza della polizia contro i civili afrodiscendenti. Dopo l’elezione di Trump nel 2016, l’affermazione di Antigone di essere nata per amare sembrava assumere un timbro diverso, una posizione politica contro la retorica divisiva. E personalmente, la frase, quando l’ho ripetuta, è diventata un mantra. Come donna nella sfera pubblica dei social media e della speculazione, questa frase ha protetto il mio spirito contro il trolling e l’odio su cui le piattaforme dei social media basano i loro algoritmi e modelli di business. Per questo motivo ho intitolato Mantra la mia prima mostra personale in Asia al Positive Art Center di Seoul, in Corea, nel 2022.
I dipinti esposti da Miles McEnery sono un’introduzione di questo corpo di lavoro al pubblico di New York: è la mia prima mostra personale in quella città. I sei dipinti in mostra presentano i tre elementi portanti della serie Antigone: le linee (per rappresentare lo stato di diritto contro cui Antigone si scontra), le colature e i punti della pittura, che esprimono in modo disordinato e organico l’esperienza reale della vita, e la sua voce, parole raddoppiate in un epitaffio. All’interno di questi tre parametri ho imparato a sfidare i limiti delle mie capacità di pittrice che colloca testi letterari negli spazi immaginari dell’astrazione».
SC: Nel comunicato stampa si legge che “Questi [nuovi] dipinti segnano un allontanamento dalle precedenti iterazioni della serie, poiché Grant abbandona il suo precedente uso di guide strutturali per una energica spontaneità”. Cosa comporta questo cambiamento nell’opera?
AG: «Credo che il mantra di Antigone abbia funzionato! Personalmente, ho scelto una pratica di amore piuttosto che di odio e, di conseguenza, la mia arte è diventata più gioiosa ed energica. Come pittrice, non guardo la vita a distanza, ma ci sono dentro, immersa, alla ricerca di perle nel fango. La pittura ha il vantaggio di essere un’attività escatologica e allo stesso tempo esuberantemente spirituale, dai tempi delle caverne a oggi. Per me il ruolo dell’artista è quello di abitare questa distanza tra il profano e il sacro. Mi piace descrivere l’essere artista come una persona che vive in un ascensore tra lo scantinato della creazione e l’attico della celebrazione. L’opera, naturalmente, viene realizzata nello scantinato».
SC: Il linguaggio è un elemento molto rilevante nella tua ricerca. Come si incontrano la pittura e il linguaggio nella tua ricerca? In che misura avverti la necessità di unire linguaggio e arti visive?
AG: «Da studentessa d’arte, all’inizio della mia carriera, mi sono chiesta che cosa mi sarebbe interessato a lungo termine. Decisi che avevo sempre amato leggere e potevo immaginare che, oltre a mangiare e dormire, la lettura sarebbe stata un’attività che avrei portato avanti per tutta la vita. Volevo (e voglio!) una lunga vita da artista e così la letteratura è diventata sia il mio soggetto sia un modo per tenere lo sguardo al di fuori da me stessa. Ho cercato di trovare un’unica direzione e un’asticella alta, che mi interessasse sia quando tutti mi guardavano sia quando ero sola. Ancora una volta, questa passione era, è stata e spero sarà, la lettura di buoni testi.
I testi servono come partiture o sceneggiature per la mia pittura. Come nel jazz, li uso come strutture e poi li interpreto attraverso il colore, la forma, la composizione. Intitolo ogni opera con il nome dello scrittore che l’ha ispirata.
Non so se ritengo che il legame tra linguaggio e arti visive sia una necessità per tutti, ma per me e per la mia curiosità è eccitante. Soddisfa anche qualcosa di ineffabile…per quelli di noi che sono cresciuti tra culture e lingue diverse, per dare un senso a un mondo da cui siamo fuori. Ma questa è l’esperienza umana, non è vero? Cercare di fare ordine tra i segni e i simboli lasciati da chi ci ha preceduto».
SC: A proposito di simboli: uno dei simboli chiave del tuo lavoro è la parola “LOVE” in una cornice lineare rettangolare. Come è nato questo simbolo?
AG: «Il simbolo LOVE proviene da un precedente corpus di opere realizzato sulla base di testi del pioniere dell’ipertesto Michael Joyce, intitolato Six Portals. Ho inserito di nascosto un testo dei Beatles nel dipinto First Portal (Sight), 2008, esposto alla Honor Fraser Gallery di Loa Angeles e poi alla Biennale di California all’Orange County Museum of Art nel 2010, su cui c’era scritto “A love that should have lasted”. Sono rimasta colpita dalla forte presenza della forma circolare della parola love in una scultura che accompagnava il dipinto, l’ho fotografata e poi trasformata in un simbolo.
Il simbolo è ora un marchio, ispirato da Newman’s Own e Robert Indiana (il quale non controllava dove fossero dirette le risorse create dalla sua “LOVE art”). Ho registrato il mio simbolo LOVE e ho iniziato a riprodurlo in ogni tipo di forma ed edizione, dalle sculture al neon ai gioielli, per sostenere le organizzazioni non profit. Negli Stati Uniti agli artisti viene spesso chiesto di donare opere d’arte per aste di raccolta fondi. Se mi venisse chiesto di farlo, vorrei donare all’infinito e il progetto grantLOVE mi permette di farlo senza intaccare l’autonomia o l’economia dello studio. Il simbolo e il progetto grantLOVE sono indipendenti dal mio studio di pittura e sono ora ospitati come parte delle iniziative dedicate al sociale della Entertainment Industry Foundation. grantLOVE aiuta a raccogliere fondi per la solidarietà verso arte, sicurezza alimentare, istruzione e, spero, in futuro verso molti altre altre tematiche. La storia del simbolo LOVE insieme a tutti i suoi progetti, collaboratori, artisti e beneficiari fanno parte del libro LOVE, pubblicato da Abrams Books nel 2022».
SC: Sei un’artista impegnata socialmente. Cosa significa questo per te? Ritieni che l’arte possa essere uno strumento di impegno sociale?
AG: «Direi che sono prima di tutto un essere umano e, nel mio lavoro, un’artista socialmente impegnata. Ho uno studio e oltre a questo sono impegnata in diverse comunità attraverso il progetto grantLOVE e nella pubblicazione del lavoro di altri artisti con X Artists’ Books. Mi piace porre la domanda: chi è incluso? E se sono invitato al tavolo, a chi altro posso estendere l’invito di unirsi alla conversazione? Nell’editoria, in particolare, cerco progetti che rappresentino il giusto passo in avanti per la carriera di un artista.. I miei dipinti sono responsabili della mia gioia, ma è attraverso il lavoro fuori dallo studio che cerco impegnarmi nella dimensione sociale».
SC: Crei molte opere d’arte in collaborazione con persone che hanno background molto vari. In che modo la collaborazione con persone con punti di vista diversi influenzano la tua pratica?
AG: «Mi piace lavorare con persone gentili, curiose e disposte ad aprirsi per creare qualcosa di nuovo. Da bambina mi sono spostata in tutto il mondo, dagli Stati Uniti al Messico, dalla Francia alla Spagna, e ho viaggiato molto grazie al lavoro dei miei genitori, che si sono incontrati mentre si laureavano in Nigeria (mia madre, statunitense, e mio padre scozzese). Sono stata plasmata dal fatto che erano cittadini del mondo e mi hanno insegnato che l’eccellenza può venire da qualsiasi parte. Ogni collaborazione a cui partecipo ha un peculiare sistema di scambio reciproco e profondo rispetto…quindi mi impegno a imparare come fare spazio agli altri e a chiedere il permesso di interpretare. Credo in un modello di artista in relazione con gli altri, diverso dal genio solitario delle generazioni precedenti».
SC: A quali progetto e mostre future stai lavorando?
AG: «Sono entusiasta di lavorare su alcuni progetti diversi che si sono sviluppati negli ultimi anni. Innanzitutto, la mia mostra alla Miles McEnery Gallery prosegue fino al 3 giugno. Continuo a dipingere le opere di Antigone 3000 nei miei studi di Los Angeles e di Berlino e la serie continua a evolversi. Nella capitale tedesca sto lavorando a una serie di dipinti basati sui testi di sei poetesse polacche, intitolata Everything Belongs to the Cosmos. Per l’anno prossimo, inoltre, sto preparando la mia prima mostra personale in Polonia, al Museum of Literatutre, che tornerà sui miei primi lavori di scultura e disegni basati su testi di Wislawa Szymborska e Michael Joyce. Sto anche elaborando un secondo progetto con la filosofa e drammaturga francese Helene Cixous, che sarà esposto l’anno prossimo al CAPC di Bordeaux. Il nostro primo progetto, Interior Forest/Foret Interieure, si è svolto nel 2013 sia a Los Angeles che a Parigi.
Mi ritengo molto fortunata ad avere quella che mi piace definire una “metodologia a lievitazione naturale”, in cui ogni progetto contiene il “lievito” per il successivo. Quindi tutto, se guardo indietro, è collegato».