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La famiglia degli eredi. La luce ultravioletta di Wood

Giovanni Segantini, Le cattivi madri, 1894, Österreichische Galerie Belvedere di Vienna Giovanni Segantini, Le cattivi madri, 1894, Österreichische Galerie Belvedere di Vienna
Giovanni Segantini, Le cattivi madri, 1894, Österreichische Galerie Belvedere di Vienna
Giovanni Segantini, Le cattivi madri, 1894, Österreichische Galerie Belvedere di Vienna

Il buongiorno dell’arte è un caffè con la Moka. Senza zucchero.

Papà non avrebbe mai voluto i fiori al funerale” esclama a pranzo Gerardo. “E smettila di fumare, vuoi fare la stessa fine di lui, falla finita!” risponde veemente Luca – “Papà ha sempre detto che tanto si muore comunque e se muoio tanto vale che mi accenda una sigaretta”. Cosa rimane all’amore quando si percepisce solo dolore?

Tre fratelli, una sorella. Al tavolo della grande casa di famiglia si è da poco consumato un piatto di pasta con i pomodori, quasi seccati dal sole. “Che ci facciamo di questa casa? E i mobili?” – “La mia Elena sarebbe contenta se recuperassi un divano. Il nostro maledetto gatto lo ha distrutto” – “A me servono soldi, e da cameriera non riesco a sopravvivere, per voi è tutto semplice, ma io sto male, non vedo l’ora che sia domani. Che sia mercoledì.” – “Perché cosa fai domani Maria?” “Domani Gerardo ho la mia psicoterapeuta!

Un Perito d’arte viene chiamato. Il compito di un Perito è comprendere lo stato di conservazione, la qualità, il valore attuale di ogni singolo oggetto. “Buonasera a tutti, piacere di conoscervi. Rimanete pure comodi.”. Il perito si sveste della propria giacca, la piega e delicatamente la riposa sulla prima sedia. Sbottona con un click la borsa arancio. Estrapola un taccuino, una piccola macchina fotografica, una penna e una lampada di wood. Non utilizzate mai tale oggetto a casa perché vi rendereste conto di quanta sporcizia ci possa essere tra i tessuti e i ripiani. Continuate pure a ripulire senza dare conto dei dettagli. Quest’ultimi si palesano quando sarete tristi. Non ripudiatela la polvere.

Wassily Kandinsky, Black and Violet, 1923, collezione privata

Possiamo offrire un caffè?” esclama la sorella con un tono voce da interno chiesa. “Una moka, senza zucchero. Attendete pure qui in salotto, appena avrò finito ritornerò in salotto per godermi la tazzina”.

Sono passati diciotto minuti. Lo si legge dal falso Rolex di Gerardo. “Penso che il mobile di cucina valga tantissimo, è cosi bello e profumato!” – “Non dire stronzate Luca, qui le uniche cose di valore saranno quei quadri di camera sua. Vengono da nonno e sono vecchie opere, tipo roba del fascismo, c’è anche un grembiule di Mussolini nell’armadio. Ah e quel carillon russo!” – “Chissà quanti soldi ci avrà lasciato papà, con diecimila euro potrei comprarmi la macchina nuova”. La sorella è silenziosa. L’attesa cresce e quel tavolo ora sembra una sala d’attesa di un reparto di rianimazione. Se vi avvicinate al vostro schermo potreste sentire il loro battito cardiaco. Un battito lento e convulso. La sorella appoggia un gomito sul tavolo e si accende un sigaretta. Trattiene per secondi il fumo. Sono passati altri diciotto minuti. Un ventaglio di luce infrarossa viola si sparge improvvisamente dalla fessura della porta. Allaga l’intero salotto, tutti si alzano repentinamente dalle loro sedie. Luca urla qualcosa ma non lo potete percepire. Il viola ultravioletto ha preso il posto di ogni colore e sfumatura. Fuori nel mondo la primavera. In quella stanza tutti sono in piedi, esterrefatti e si guardano sorpresi l’uno verso l’altro. “Hai della sporcizia tra le tue corde vocali” “Lo sapevo! Sei sporco dentro!”– “Il tuo cuore è stato ritoccato! La tua anima è ridipinta!” Giancarlo si sente una crepatura crescere nella spina dorsale. La sorella finisce la sigaretta. La spenge sul tavolo. E se ne va.

Una lampada di Wood si aggira per il mondo. Ci sono così tante cose che non comprendiamo. C’è un mondo dentro di noi che non possiamo spiegare. Molte stanze da esplorare, ma le porte sembrano uguali. Non ci siamo persi. Dove è il lucchetto per una chiave che vuole tentare?

Ferzan Özpetek, Mine Vaganti, 2010

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