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Preservare l’arte per le generazioni a venire: i (nuovi) Monuments Men al Metropolitan Museum, la U.S. Army al museo

Monument Men
Monument Men

«Ascoltate ragazzi», disse Frank Stokes ai suoi soldati. «Questa missione non è mai stata disegnata per il successo. Se fossero sinceri ce lo direbbero. Ci direbbero che con tutta la gente che muore chissene frega dell’arte. Ma sbagliano. Perché è per questo che noi combattiamo. Per la nostra cultura e il nostro stile di vita». Quei ragazzi salvarono 5 milioni di opere d’arte. Erano i Monuments Men, soldati un po’ così, professori universitari, bibliotecari, artisti. E George Clooney che faceva Frank Stokes nel film era George Stout, figlio di operai di Winterset, come John Wayne, nello Stato dello Iowa, Contea di Madison, assistente al Fogg Art Museum dell’Università di Harvard, che aveva pensato a questo corpo speciale prima di arruolarsi volontario nella Marina perché non sopportava gli intellettuali con la puzza sotto il naso. Fu il presidente Roosevelt a raccogliere la sua idea nel 1944. Il loro nome deriva da quello della sezione dell’esercito in cui prestarono servizio: Monuments, Fine Arts and Archives. I Monuments Men fecero il loro compito, e poi vennero dimenticati. Adesso sono tornati. E’ da qualche anno che sono tornati. Ma dal marzo del 2020 sono rinati anche ufficialmente, quando il Pentagono ha annunciato la collaborazione con lo Smithsonian Institution di New York per ricreare una squadra di Monument Men. Sono andati a scuola e si sono messi al lavoro per salvare l’arte dove ci sono le guerre, i terremoti, le inondazioni, o qualsiasi altra catastrofe naturale che colpisce i patrimoni della storia.

Pochi giorni fa al Met di New York hanno tenuto un seminario sulla protezione dei beni culturali durante i conflitti ad opera dell’esercito americano, coordinato con la Smithsonian Cultural Rescue Iniziative. Oggi i Monument Men sono molto diversi dai loro nonni degli Anni 40. Dopo un periodo di formazione, vengono spediti in giro per il mondo per insegnare agli altri come salvare i capolavori del passato. Nessuna missione avventurosa andando a caccia di dipinti in antichi castelli, cercando opere d’arte e beni preziosi nascosti in qualche miniera o ripostigli e vecchi sottoscala. Dovranno invece, come spiega Scott DeJess, insegnante all’Army War College di Carlisle, Pennsylvania, «fornire un collegamento accademico, spiegare ai militari della nazione che ci ospita come proteggere il loro patrimonio. Adesso sono loro gli eroi. Sono loro che devono cavarsela». D’altro canto già negli Anni 40 i Monument Men erano stati pensati come un reparto di  consukenza all’interno dell’esercito. Non avevano il diritto formale di impartire ordini agli altri soldati. Non avevano mezzi propri, niente. Entrarono in campo nel 1944, sbarco in Normandia, 15 soldati appena, di cui 7 assegnati a compiti d’ufficio e 8 alle diverse armate.

Metropolitan Museum

Avevano in dotazione soltanto elenchi e mappe. Neanche una Jeep per muoversi. Potevano contare solo sulla stima di Roosevelt e di Dwight Eisenhower, di Denison, Texas, il Generale Ike, un ciclone come runnig back che sapeva apprezzare l’arte. Un po’ poco per il lavoro che li attendeva. Ma George Stout era un tipo cocciuto che credeva molto in quel che faceva. Lui a questa idea dei Monument Men aveva cominciato a pensarci dopo la guerra di Spagna. Stisse un opuscolo sui danni causati alle ioere d’arte dai bombardamenti aerei. E poi presentò la sua proposta in ua riunione tra direttori di musei. Solo che gli davano così fastidio tutti quegli intellettuali così pieni di sé che prese le sue cartelle e se ne andò via per arruolarsi in Marina e dimenticare il suo progetto. Invece furono proprio quegli intellettuali a presentare la sua idea a Roosevelt. Ma arrivati a questo punto non bastava più. Capì che doveva fare da solo. Sequestrò a dei prigionieri tedeschi una Wolksvagen e cominciò ad andare in giro con i suoi uomini per effettuare sopralluoghi quando i territori erano stati liberati. Poi interrogava gli ufficiali nazisti, faceva indagini. E i Monument men crescevano sempre di più: diventarono 345 fra uomini e donne, di 14 paesi diversi. Continuarono il loro lavoro anche a guerra terminata, fino al 1947. Poi tornarono a casa e tutti si dimenticarono di loro.

La vita è strana. Quando nessuno manco sapeva che erano esistiti, una studiosa d’arte, Lynn H. Nicholas, lesse per caso su una rivista francese il necrologio di una donna che aveva salvato da sola 60 mila opere d’arte. Si chiamava Rose Valland e adesso le dedicano film e documentari, ma nel 1995 erano le sole righe che parlavano di lei su un giornale. Lynn pensò che meritava un libro questa storia dimenticata. Così cominciò a fare ricerche e ne scoprì un’altra, altrettanto grandiosa e completamente sparita nell’oblio del passato, quella dei Monument Men. Come hanno potuto cancellare tutto questo? Non ricordare chi aveva salvato 5 milioni di opere d’arte? Non era rimasto niente, neanche una memoria, nemmeno la corsa di George Stout al Louvre per fermarsi davanti alla parete vuota dove c’era scritto La Joconde e basta. Jacques Jaujard, direttore dei Musées Nationaux de France, prima dello scoppio della guerra aveva fatto in modo di evacuare il capolavoro di Leonardo assieme agli altri dipinti, nascondendoli in depositi di campagna per proteggerli dai bombardamenti aerei e poi spostandoli continuamente da un nascondiglio all’altro per salvarli dai nazisti. Lynn sollevò il velario su quella scena, dischiuse la tenda del teatro.

Captain Blake Ruehrwein, Cultural Heritage Preservation Officer, United States Army Reserve, speaking with reserve soldiers in The Met's galleries. Photo by Paula Lobo
Captain Blake Ruehrwein, Cultural Heritage Preservation Officer, United States Army Reserve, speaking with reserve soldiers in The Met’s galleries. Photo by Paula Lobo
E da allora si ricominciò a parlare del lavoro straordinario per l’umanità che avevano compiuto quegli uomini e quelle donne. Nel 2007 nacque la Monuments Men Foundation for the Preservation of Art, creata da Robert M. Edsel, con l’obiettivo di mantenere viva la memoria di questi eroi e non smettere di continuare a cercare le opere d’arte da restituire ai legittimi proprietari.

Su questo solco, nel 2013 a Monaco di Baviera in un appartamento del figlio di un collezionista sono stati ritrovati 1500 dipinti del valore di un miliardo di euro: capolavori di Picasso, Matisse, Renoir, Chagall, confiscati dai nazisti durante il terzo Reich e che si consideravano ormai perduti per sempre. E anche in Italia, nel 2016, i carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale, i nostri Monument Men, hanno recuperato tre dipinti del XV secolo di enorme valore rubati dai tedeschi negli anni della seconda guerra mondiale.

Questa volta cerchiamo di non rimuovere più la memoria. Come dice Richard Kurin, manager e ricercatore dello Smithsonian Insititution, «Distruggere i monumenti e rubare opere d’arte non implica solo far sparire oggetti materiali di enorme valore. Ma è molto di più. Significa cancellare la storia, la conoscenza e l’identità di un popolo». Lo diceva Frank Stokes ai suoi ragazzi: «puoi sterminare una generazione di persone, radere al suolo le loro case. Troveranno una via di ritorno. Ma se distruggi la loro storia, è come se non fossero mai esistite. Sono ceneri che galleggiano. Hitler vuole questo. Ed è la sola cosa che non possiamo permettergli». George Stout, naso adunco, baffetti sottili e la pipa, era morto tanti anni prima che Clooney recitasse la sua parte, nel 1978. Non c’erano neanche più i suoi ragazzi, e i collaboratori a ricordare quello che diceva loro. Era rimasto solo un suo discorso del 1950 a un seminario per spiegare le cose in cui credeva. «Un giorno un mio amico ha parlato con un contadino sulle colline pietrose del New Hampshire. Il mio amico ha detto: “Deve esserci un sacco di fatica in un posto come questo”. E il contadino gli ha risposto: “Il lavoro non è faticoso se stai costruendo qualcosa”». L’umanità fa percorsi strani, diventa violenta e servile, ma anche quando si allontanano, gli uomini tornano a costruire qualcosa, come diceva quel contadino. Perché, spiegava Stout, «la grandezza della crescita umana è infinita. Un vecchio disse: “I mansueti erediteranno la Terra”. Questo io credo».

Parlavano così i cavalieri che salvarono l’arte.

Monument Men italiani
Metropolitan Museum

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