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Il mondo di Mario Dondero

Mario Dondero, seconda metà degli anni sessanta

Prosegue fino al 6 settembre, a Palazzo Reale di Milano, la mostra “Mario Dondero. La libertà e l’impegno”, curata da Raffaella Perna, prodotta da Palazzo Reale, Comune di Milano e Silvana Editoriale in collaborazione con l’archivio Mario Dondero di Altidona e la ferrea volontà di Maddalena Fossati Dondero

La mostra è suddivisa in 10 stanze a raccontare in sezioni tematiche il lavoro del fotografo in un approccio schematico molto scorrevole. Mario Dondero era amato da tanti, tantissimi. Quel suo modo affabile e genuino lo ha reso amabile oltre i confini della cerchia, sempre più ristretta, di giornalisti e professionisti del mondo della fotografia della sua generazione. All’apertura della mostra erano presenti molti amici,  sul loro volto commosso si evidenziava il senso di appartenenza e di condivisione dello “stile Dondero” a testimonianza dell’affetto radicato nel tempo.

L’obiettivo della mostra è quello di esporre lo sguardo che il fotografo, per lunghi anni, ha avuto sul mondo e sul suo metodo, personalissimo, di rappresentarlo. Iniziò la carriera in modo del tutto casuale: Mario ha cominciato a fotografare perché si occupava di cronaca nera, all’inizio della sua carriera di giornalista. Se faceva le foto lui stesso non c’era bisogno di pagare un fotografo, per il giornale. Ha imparato i rudimenti in un’agenzia e poi ha continuato da solo.

Dondero conobbe Ugo Mulas su una panchina a Milano. I due frequentavano il Bar Jamaica e si trovarono subito in sintonia a condividere sogni e progetti. Cominciarono a lavorare facendo anche molti reportage insieme (sulla storia della loro amicizia si possono approfondire i dettagli anche nell’introduzione di Raffaella Perna nel catalogo della mostra).

Ragazzi a Belfast, 1968

Il loro era un mondo vivace, scanzonato e squattrinato, come ben narrato nel romanzo “La vita agra” di Luciano Bianciardi, amico fraterno di Dondero, alla cui figura lo scrittore s’ispira per tratteggiare il personaggio del fotografo Mario.
Sebbene la sua morte risalga già a diversi anni fa (2015), rimane indelebile lo spirito del fotografo, grande uomo di immensa umanità.

La mostra, e il relativo catalogo, fanno rivivere quell’energia che l’uomo, Mario Dondero, raffinato e di grande cultura, riusciva, con una semplicità disarmante e naturale empatia, a introdurre nei rapporti con qualsiasi persona, sia quelle incontrate per caso, che forse gli suscitavano più interesse, sia con personaggi famosi e importanti, premi Nobel o capi di Stato che fossero.

L’esposizione ha uno stile accademico/illustrativo, forse come giusto che sia per un fotografo molto disordinato nell’archivio e indisciplinato nella cura di sé, contrappasso necessario per mettere un primo ordine alla vulcanicità irrefrenabile dello spirito “donderiano”, e della sua vasta produzione, che di calcolato e rigoroso non aveva nulla, se non nello spirito libero e avventuriero.

Tuffo sul Malecòn, L’Avana, 1992

Dondero si definiva un giornalista con l’uso della macchina fotografica, la sua insostituibile Leica, e, in effetti, di avvenimenti ne ha raccontati numerosissimi, alcuni ormai legati solo alla memoria della storia. La retrospettiva con ben 100 stampe in b/n (stampate digitalmente, migliorabili nel contrasto cromatico) ne coglie lo spirito di apertura e curiosità verso il mondo.

Tra diverse generazioni di intellettuali, artisti, scrittori, cantanti, attrici, ballerine (bellissima la foto della giovanissima Carla Fracci mentre passeggia dopo uno spettacolo) Dondero coglie l’essenza del tempo, da quella più intellettuale e culturale a quella politica e sociale, oltre, come detto, a quella istantanea degli incontri casuali. Dava importanza a tutti con lo stesso interesse e impegno, il tempo non gli era tiranno e dedicava a ciascun incontro il più ampio agio senza pensare allo scadere dei minuti, anche a costo di perdere un treno.

Il suo obiettivo era rivolto a testimoniare le disuguaglianze sociali, i tumulti e le guerre nel mondo ma anche la bellezza delle cose semplici di tutti i giorni, sui treni o nelle campagne, quasi a monito per conservare i valori della tradizione e della lingua dialettale.

La ballerina Carla Fracci, Londra, 1961

La sua vita lo vede nascere a Milano nel 1928, figlio giovanissimo di genitori subito separati, frequenta la famiglia paterna nelle vacanze estive a Genova, città che ha molto amato per i ricordi di gioventù e per le sue contradizioni e le lotte politiche, tifava per il Genoa Calcio del quale amava raccontare con fervido ardore le prodezze di Diego Milito per i suoi goal in rimonta negli ultimi minuti della partita, incantando i suoi ascoltatori con l’entusiasmo del tifoso appena uscito dallo stadio.

Inguaribile romantico, dotato di memoria infallibile, metteva anima e coraggio in tutto quello che faceva, dalle bicchierate con gli amici agli incontri più formali, con verità e sentimento stringeva forte la mano e con un sorriso chiedeva: “Come ti va la vita?”.

Iscritto al liceo Berchet di Milano non terminato, fu partigiano volontario a soli 16 anni e non è mai mancato ai raduni annuali commemorativi della sua Brigata della Repubblica dell’Ossola. Riusciva ad unire profondo impegno politico militante con le più spensierate e allegre considerazioni sulle cose del mondo. Un uomo raro che si è fatto molto amare da chi ha avuto la fortuna di incontrarlo e di frequentarlo.

Santa vergine a Valencina de la Concepción, Siviglia, 1961

Su di lui, uomo discretissimo in tal senso, si narrano innumerevoli storie d’amore, tra colleghe fotografe e artiste, attrici e cantanti, alcune confermate dalle dirette interessate, altre smentite da lui stesso. Era un abile canzoniere, specialmente per le vecchie canzoni francesi per le quali vantava un vasto repertorio, e sapeva conquistare chiunque con la sua maniera sincera di guardare negli occhi e porre attenzione sulla vita degli altri.

Seguendo un sogno romantico, all’inizio degli anni ’70 tornò a vivere a Parigi per amore di Annie Duchesne, madre di Bruno e Elisa. Dopo la sua morte nel 1995, Mario si trasferì definitivamente a Fermo, nelle Marche, in quella che era, dalla fine degli anni ’80, la loro casa per l’estate. Qui, dopo una lunga malattia ed innumerevoli viaggi, è mancato, con le cure più affettuose di Laura che gli è stata accanto fino all’ultimo giorno. Padre “non perfetto” di 3 figli, avuti da due compagne diverse, col tempo ha ritrovato la pace con loro, che ne hanno accettato i lati meno privati della sua frenetica vita pubblica di viaggiatore incallito.

L’uomo che voleva raggiungere la luna, Festa del Maggio, Accettura, Lucania, 1994

Su di lui è stato girato il film CALMA E GESSO – IN VIAGGIO CON MARIO DONDERO, di Marco Cruciani che con paziente lungimiranza ha avuto la costanza di seguirlo nelle sue pellegrinazioni in un percorso di quasi cinque anni trascorsi al fianco del fotografo. Nel 2021 è uscito anche il documentario di Maurizio Carrassi ECCETERA, NEL MONDO DI MARIO DONDERO.

Nell’epoca in cui viviamo sempre più priva di umanità e gentilezza ma propensa al profitto e al calcolo economico, una figura come quella di Mario Dondero pone gli interrogativi sui modelli di vita che vede questa nostra contemporaneità  condizionata dal traguardo del risultato ci vede perseguire obiettivi del tutto individuali piuttosto che ambire alla libertà e all’impegno per una società migliore.

 

MARIO DONDERO. La libertà e l’impegno
21 giugno – 6 settembre 2023
Milano, Palazzo Reale
Piazza Duomo 2
Catalogo Silvana Editoriale

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