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Miraggi contempornaei. Intervista a Peter Jellitsch

Automatic Writing (Diptychon), 2017, Matita, acrilico, pastello su carta, 160 x 240 cm
Peter Jellitsch, Photo by Ariel Pedatzur

La tecnologia è un elemento centrale nei tuoi lavori, prima nei Data Drawing, nei quali traducevi i dati delle connessioni Wi-Fi (velocità di download/upload e ping) in disegni dalle forme astratte e piuttosto complesse, e successivamente nei Palms Drawing, che vorrei invece approfondire ora con te.

Sì, ho realizzato l’ultimo Data Drawing nel 2018 o giù di lì, ma l’interesse verso le connessioni Wifi si ritrova anche nei lavori che ho iniziato successivamente, i Palms Drawing, quando ho iniziato ad interessarmi alle palme, intendo proprio gli alberi, a ciò che nascondono e rappresentano. I Palms Drawing nascono a Los Angeles, dove ho scoperto che la città utilizza le palme come trasmettitori e ripetitori per le connessioni Wifi: i dispositivi necessari perché noi possiamo essere sempre connessi vengono perfettamente nascosti tra le frasche. Mi sono poi reso conto che spesso non si tratta nemmeno di alberi veri, ma di strutture in acciaio e plastica, aerografati, fatti talmente bene da sembrare veri. Mi sono iniziato a chiedere perché lo facessero, mi sembrava qualcosa di estremamente bizzarro, anche se a Los Angeles, in particolare con gli Studios di Hollywood, è tutto ricostruito nei più minimi dettagli: città, set teatrali e architetture varie, non ti rendi conto che si tratta solo di acciaio e plastica finché non ci bussi sopra. Il mio interesse si è spostato poi su chi stia costruendo alberi finti fatti per nascondere modem e trasmettitori, allo stesso tempo mi interessa anche il tema della connettività e dei flussi di dati, così ho iniziato a legare i Data Drawing con i Palm Drawing, finché a un certo punto non ci sono state solo le palme.

Automatic Writing (Diptychon), 2017, Matita, acrilico, pastello su carta, 160 x 240 cm

Intuisco due temi: uno, il rapporto nascosto/manifesto – il fatto che le connessioni che attraversano tutto mondo non sono realmente visibili, ma esistono, e ciò che possiamo percepire, le palme, sono un miraggio. Un altro tema credo sia il rapporto tra ciò che è reale/finzione, il fatto che la palma sia riprodotta in modo così perfetto che, di primo acchito, non riusciamo a capire se è vera o no.

Proprio così. Ti faccio vedere questa mia pubblicazione, “Palm Tree Antenna”, che è una selezione di 50 immagini di Google relative a questi finti luoghi, dove sembra di essere nel Truman Show. Ti faccio una domanda per cui non ho una risposta: perché costruiamo natura finta, perché nascondere qualcosa di cui abbiamo bisogno 24/7? Se ci pensi, quegli alberi finti sono la ragione per cui possiamo essere costantemente su Instagram. Guarda, questa foto è un cactus che brucia nel deserto dell’Arizona: è una foto scattata da una signora che ha poi condiviso su Facebook, scrivendo “abbastanza caldo da friggere un uovo” per dire che era una giornata estiva particolarmente calda. Il fatto è che un cactus non può bruciare perché è fatto al 98% di acqua, o qualcosa del genere, e il motivo per cui questo cactus bruciava è semplice: non era vero, era finto, era una struttura di comunicazione corporate in mezzo al nulla costruita solo perché anche in mezzo al nulla vogliamo scattare belle foto per Instagram e vogliamo condividerle immediatamente. Improvvisamente la realtà si dispiega davanti a te, capisci? Inoltre, il cloud, l’archiviazione digitale, è il nostro spazio d’azione, è super flessibile ma non lo possiamo vedere. Nel momento stesso in cui cerchi di misurarlo, come nel caso dei miei Data Drawings, è già cambiato, perché ci sono talmente tanti elementi che lo condizionano che non è mai uguale a se stesso. E in qualche modo, non so perché, cerchiamo tenere insieme ciò che vero e ciò che non lo è, finendo con il costruire natura finta solo per richiamare una sensazione di quotidianità.

Palm Tree Antenna, pubblicazione

Parlando delle forme che crei, sembra quasi tu voglia trasformare in analogico la cosa più puramente digitale: le connessioni online. Mi chiedo se la tua pittura su tela sia uno strumento più semplice da approcciare e capire dal pubblico per gettare un ponte con qualcosa di meno immediato da afferrare come il flusso di dati e questo strano rapporto che ci lega ad essi.

Non ho mai voluto essere un artista digitale, ma la tecnologia è una grande fonte di ispirazione per me. Allo stesso tempo amo tanto le cose fatte a mano, le cose diciamo fisiche, che posso toccare, poter mescolare i colori eccetera. Non sono quel tipo di pittore che guarda fuori dalla finestra e cerca, non so, idee e ispirazione, non è proprio il mio modo di fare. Non guardo fuori dalla finestra, ci guardo attraverso, guardo dentro lo schermo. Il fatto è che non appena la mia mano tocca la carta, inevitabilmente entrano in gioco tutte le interpretazioni intuitive del gesto, quindi anche “difetti” e imprecisioni, se comparate alla perfezione del flow dei dati. Tutte queste imperfezioni, questi momenti umani nel fare arte, sono il modo attraverso cui io provo a capire e interpretare questo fenomeno iperflessibile che in qualche modo come dici trasporto nel mondo analogico, beh, fisico, reale. Ora la base di tutti questi disegni e dipinti deriva dal ripercorrere, ridisegnare e riscrivere il ruolo di quelle invenzioni di alberi di plastica che circondano i trasmettitori mobili.

Data Drawing 40+41 (talking to a palm), 2015, matita, acrilico, pastello, lacca su carta, 46 x 70 cm

E i colori? Le tue opere sono principalmente bianche e nere, giusto?

Sì, perché penso di aver a che fare con un fenomeno che è fatto solo di zeri e di uno, e non ha senso usare i colori perché il supporto dove disegno sulla carta è bianco, è lo zero, e la vernice che uso è nera, l’uno. A un certo punto ho avuto la sensazione che avrei dovuto provare con i colori, una volta all’improvviso ho notato tutti i mattoncini Lego di mia figlia in giro per l’appartamento, in qualche modo i colori mi hanno incuriosito e ho iniziato ad inserirli nel mio lavoro, ma in maniera molto minima.

 

Nato a Villach, in Austria, nel 1982, Jellitsch si è formato all’Accademia di Belle Arti e all’Università di Arti Applicate di Vienna. Vincitore di numerosi premi d’arte tra cui il premio Outstanding Artist della Repubblica d’Austria (2010), la borsa di studio Margarete Schütte-Lihotzky (2013) e il premio Theodor Körner (2014). Dal 2011 insegna presso l’Accademia di Belle Arti di Vienna. Conta esposizioni in tutto il mondo, tra le mostre personali più recenti ricordiamo Without You I’m Nothing alla Strabag Artlounge di Vienna (2014), It could be like this…” al Museum Moderner Kunst di Kärnten (2015), Only the Memory alla Galerie Crone di Vienna (2016), e Patents and Palm Trees alla Galerie Crone di Vienna (2017).

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