Da 53 anni Santarcangelo di Romagna, a pochi chilometri da Rimini, con poco più di 22mila abitanti e senza nemmeno un teatro, per alcune settimane diviene una delle capitali europee delle arti performative contemporanee, grazie alla forza sperimentale, alla lungimiranza e all’apertura internazionale di Santarcangelo Festival, organizzato dall’associazione senza scopo di lucro Santarcangelo dei Teatri.
L’edizione 2023 poterà in paese 40 tra performer, gruppi e compagnie per oltre 100 appuntamenti, che si susseguiranno dal 7 al 16 luglio (potete trovare il programma completo qui. Ricordiamo che Santarcangelo di Romagna è raggiungibile in treno).
«Il claim di quest’anno, enough not enough, – hanno anticipato gli organizzatori – apre lo sguardo a una serie di interrogativi. Cosa non abbiamo più intenzione di accettare? Di cosa sentiamo la mancanza? Come riuscire a condividere una realtà sempre più caratterizzata da disuguaglianze, ingiustizie e sfruttamento? daranno vita a una rassegna multidisciplinare diffusa, trasformando il borgo medievale in una “città-festival”, attraverso le più innovative tendenze del panorama emergente globale e numerose presenze internazionali».
Durante le giornate del festival saranno attivati numerosi eventi gratuiti e workshop. L’edizione 2023 segnerà anche il ritorno di Centro Festival e sarà costellata da numerose azioni a difesa dell’ambiente grazie a Presente Sostenibile.
Abbiamo parlato di tutto questo con Tomasz Kireńczuk, Direttore artistico di Santarcangelo Festival nell’intervista qui sotto.
Silvia Conta: Santarcangelo Festival è nato all’inizio degli anni Settanta, è il più longevo d’Italia e si colloca tra quelli storici a livello europeo. Come è cambiato nel tempo, soprattutto in termini di obiettivi e partecipazione?
Tomasz Kireńczuk,: «Sì, infatti Santarcangelo Festival è nato insieme ad altri grandi festival europei come un effetto dei cambiamenti sociali dell anni Sessanta. Chiaramente è difficile per me rispondere a questa domanda dal momento che sono a Santarcangelo solo da due anni, e la storia di questo festival è molto lunga. La cosa che mi colpisce molto di Santarcangelo Festival è questa sua capacità di rinnovarsi continuamente mantenendo allo stesso tempo una grande attenzione nei confronti del passato, della sua natura specifica e multiforme. Credo che ci siano degli elementi che fanno parte del DNA di questo Festival, che anche se prendono forme diverse rimangono sempre parte della programmazione e del pensiero che lo circonda, come ad esempio il coinvolgimento politico: credo che fin dall’inizio abbia voluto creare questi spazi di dialogo, scambio e confronto in cui si presentano visioni alternative del mondo, si sperimentano diverse modalità di convivenza sociale, in cui ci possiamo confrontare con prospettive sul contemporaneo diverse dale nostre, spesso provocatorie. Questa voglia di dialogare, di scoprire, di spingere verso ciò che non è ovvio e confermato è una parte importante della natura del Festival. Come anche l’interesse verso artiste e artisti emergenti, ma anche la ricerca verso i nuovi linguaggi all’interno del performativo. Questa natura multidisciplinare è cruciale per la programmazione del festival. Bisogna anche ricordare la grande importanze della relazione con la città e la comunità santarcangiolese. Fare esistere un festival per 53 anni in una città senza un teatro vuol dire cercare e trovare diverse modalità di adattare e cambiare il modo in cui si vive e si utilizza lo spazio pubblico. A me fa piacere pensare a Santarcangelo Festival come un laboratorio pubblico in cui si sperimentano non solo i linguaggi artistici ma sopratutto i modi in cui viviamo e vogliamo vivere ciò che è comune».
Per quali aspetti è maggiormente apprezzato oggi Santarcangelo Festival sulla scena nazionale e internazionale?
«Credo che ci sia una bellissima storia legata a una certa radicalità sin dall’inizio di questo Festival, che ci permette di prenderci molti rischi e di supportare un gran numero di artiste e artisti nel loro percorso di ricerca. Il pubblico del Festival è molto varigato: sulle nostre platee si incontrano performer, abitanti di Santarcangelo e molti professionisti che vengono da tutto del mondo. Questa connessione ci porta a una modalità unica di fruzione dello spettacolo. Poi, chiaramente un festival con pochi spazi teatrali, che in 10 giorni riesce di presentare 30-40 compagnie con piu di 150 repliche richiede alle artiste e agli artisti un sforzo ulteriore di adattamento. Succede spesso che gli spettacoli presentati a Santarcangelo si trasformino e prendano una nuova vita in questi contesti specifici. Quest’anno, ad esempio, presentiamo lo spettacolo di un interessantissimo artista sudafricano: Tiran Willemse. Il suo blackmilk è un lavoro da palco, pensato per uno spazio chiuso, scuro; questo lavoro riflette sulle aspettative culturali verso un corpo nero maschile nudo, ed è basato molto su luci, fumo, una certa oscurità. Volevamo davvero presentare questo lavoro in questa edizione ma non avevamo uno spazio adatto, teatrale. Tiran ha deciso di lavorare dentro una palestra, con luce naturale e senza fumo. Ha tolto gli elementi fondamentali dell’estetica del suo spettacolo per adattare una sua versione cinematografica. Proprio ieri ci ha detto che è molto emozionato perché domani a Santarcangelo debutterà con una versione di blacmilk, praticamente uno spettacolo inedito».
Quali saranno le principali caratteristiche dell’edizione 2023?
«Credo che ci sia una forte continuità con l’edizione dell’anno scorso. Proseguiamo la nostra ricerca sull’estetica queer, sul femminismo, sull’anti-razzismo. Quest’anno il claim è “enough not enough”. Ci piace l’ambiguità di questa frase e crediamo che possa essere interpretata in tantissimi modi. Ci interessa raccontare un mondo che esiste tra ciò di cui abbiamo troppo e ciò di cui non abbiamo abbastanza. Ci interessa anche – seguendo le artiste e gli artisti – capire il momento in cui il consenso diventa dissenso. Dove sono i nostri “trigger” personali che ci richiamano a un’azione, a essere coinvolti. Dall’altro lato il festival continua a essere attento ai performer emergenti. Siamo contenti di presentare i lavori di Emilia Verginelli e Agnese Banti, al termine di un lungo viaggio sostenuto da FONDO, progetto avviato da Santarcangelo e realizzarto insieme a 15 partner nazionali. Oltre Emilia ed Agnese presentiamo anche i lavori di Sara Sguotti, Mélissa Guex, Harald Beharie, Tiran Willemse, Anna-Marija Adomaityte, Catol Teixeira, Wojciech Grudzinski, sono per citare qualche nome».
Potete menzionare alcuni di eventi di portata nazionale e internazionale di particolare rilevanza nel programma di quest’anno?
«Quest’anno tornano al Festival Alex Baczynski-Jenkins e Catol Teixeira, due artisti importantissimi della scorsa edizione. Per la prima volta in Italia verrà a Santarcangelo Rébecca Chaillon, un’artista importantissima rispetto alle trasformazioni che stanno avvenendo in area francese. Tornano dopo anni anche Dana Michel (Leone d’argento alla Biennale Danza) e Ligia Lewis, coreografe fondamentali per la scena performativa internazionale.
Per la prima volta a Santarcangelo verrà Julian Hetzel insieme a Ntando Cele con Il loro fortissimo progetto SPAfrica, che mette in discusione il modo in cui funziona l’empatia, monetizzata e usata dalle logice capitaliste. Il Festival viene inaugurato con la prima nazionale di (nel) SOTTOBOSCO site-specific version, un nuovo lavoro di Chiara Bersani. Saranno con noi anche Silvia Calderoni e Ilenia Caleo con The present is not enough ma anche quattro artiste basate in Emilia Romagna: Dewey Dell, ColettivO CineticO, Giorgia Ohanesian Nardin e Cristina Kristal Rizzo, a cui dedichiamo un piccolo focus, grazie alla collaborazione con il Tavolo Regionale della Danza».
Quali progetti avete per il futuro di Santarcangelo Festival?
«Oltre festival stiamo molto impegnati in una serie di attività annuali. Ci fa piacere trovare nuovi modi di sostenere la ricerca di artiste ed artisti. Per questa ragione siamo coinvolti in diversi network e progetti nazionali e internazionali che coinvolgono residenze in Italia e all’estero. Siamo molto contenti di fare la parte di IN EX(ILE) LAB, un progetto grazie a cui possiamo lavorare e supportare tre artisti in esilio basati in Italia, i cui lavori si vedranno al prossimo Festival. Prosegue anche FONDO, a brevissimo annunceremo i due nomi a cui daremo un supporto artistico e produttivo durante il prossimo anno; anche I loro lavori si vedranno al prossimo Festival. E poi c’è molto altro ancora da confermare, immaginare e riinventare».