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Il mio primo tirocinio. Foderature e maiali: una cicatrice non è una crettatura

Annibale_Carracci_Piccola_macelleria
Annibale_Carracci_Piccola_macelleria

Il buongiorno dell’arte è un caffè con la Moka. Senza zucchero.

Questa è la storia di un mio apprendistato. Tre maiali e un Laboratorio di foderatura. Mi sembrava di essere finita indietro nel tempo. Così lontana dal mondo che il Medioevo non era un mondo parallelo ma una culla familiare dove crescere e respirare. Tra sangue e tele, tra un Tintoretto e un macellaio.

Anno 2005. Provincia di Parma. Nel reparto di ritocco eravamo solo donne. Per onestà per quei tempi, ancora fortemente maschilisti, tale compito era particolarmente adibito al genere femminile. “Chissà” – pensavo – “nel restauro e per Dio le donne sono coloro che, essendo state ritoccate da una costola, per dono sono capaci di ritoccare la vita del mondo!”.

Il reparto della foderatura, invece, era esclusivamente compito del genere maschile. Mai nessuna donna poteva ambire ad essere parte di un’operazione con la quale si provvedeva a riparare i dipinti su tela (perché consunta, lacerata, riarsa o altro) rinforzandoli a tergo con un’altra tela incollata sulla prima. Questa estromissione significava che noi donne fossimo incapaci di particolare attenzione, abilità e competenza, che fossimo incapaci di assicurare una buona adesione tra la vecchia e la nuova tela, garantendo nella nuova condizione stabilità e solidità all’insieme del dipinto, interessando contemporaneamente la preparazione, il film pittorico e la vernice di finitura. Il destino è crudele, e spesse volte o è sordo o non vuole intendere.

Il Maestro del reparto di foderatura, improvvisamente, assunse la sua prima “quota rosa”. Di questa espressione si potrebbero aprire migliaia di conferenze. A parer mio non c’è celebrazione peggiore nel confondere il diritto alla felicità con il dovere di rispetto. La quota rosa è un maiale che viene rimpinzato di promesse e di affetto gastrointestinale fino al giorno del giudizio.

Era novembre. Una manciata di mesi dopo il mio arrivo. Ad occhi lucidi e mente sognatrice, mi trovavo a sperimentare le foderature di un Tintoretto, qualche Luca Giordano e un Giulio Carponi. Era novembre, e come foglie cadùte e càduche, una mattina, il nostro laboratorio si spogliò della sua arte. Liberammo lo spazio, pulimmo con cura le pentole dove si cucinavano le colle, e arrivò il “Mazzin”, ossia colui che si occupava di alcuni processi di macellazione e insaccamento. Il sangue sgorgava, putrido, a macchie, vitale. Il luogo della mia consacrazione e gratificazione divenne una insana agonia. Un mese. Un lungo mese dove arrotolai costolette, regali di Natale ai dipendenti e a vari sovrintendenti degli uffici di Belle Arti nazionali.

Io non capisco. Mi ci sforzo ma niente. Forse sarà il tempo di novembre. Pensare e pensare. Foderare e Insaccare. Una cicatrice non è una crettatura.

Tintoretto, La crocifissione, Sala dell’albergo, Scuola di San Rocco

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