Il buongiorno dell’arte è un caffè con la Moka. Senza zucchero.
Mi chiamo Benedetta. Sono nata in un piccolo rifugio di montagna. All’età di dieci anni mio papà condusse me e il nostro mulo, carico più di preoccupazioni che vestiti, nella piccola cittadina in valle. Aveva trovato un nuovo lavoro: il macellaio. Grande e lungo grembiule, spesso sporco ed unto ma che ogni sera ripuliva al meglio con dell’acqua e del sapone. “Ancora sei piccola, non voglio che ti abitui alla vista del sangue e delle carni, continua a bere il bianco del latte!”.
Quella sera stavo inseguendo un gattone. Pelo lunghissimo, grigiastro, dagli occhi arancioni. Superai la piccola drogheria, l’angolo dei contadini, formaggi e salami, pomodori e pugni di insalata: “Vieni qua!” – esclamai.
Il gattone correva ed a grandi zampate saltava da un balcone all’altro, senza indugiare, impaurito dai brutti toni dei piccoli commercianti. “Gatto del Malaugurio!” – “Bambina è tuo quel gatto?” – “Se ti acchiappo ti mangio!”. Correvo e correvo, sorridevo e mi sentivo un animaletto di montagna tra odori e profumi, colori e quella sana miseria di cibo e spontaneità! Raccolsi da terra un minuscolo salmerino alpino, pescato dai laghetti di montagna. Lo nascosi nel grembiule blu.
Girai l’angolo e ancora a destra. E ancora a destra. “Dove sei gattone, ho una sorpresa per te!”. Un balzo felino per poco sobbalzò il mio cuore. “Eccoti, gattone”. Lo appoggiai a terra, lontano dalle fogne e dagli scarichi. Un silenzio ancestrale. I baffetti, come due bacchette d’orchestra, risuonavano all’ombra di una sera umida e fredda.
All’improvviso un roboante urlo. Un uomo: “Non mi ha mai apprezzato! Mi ha dato un ceffone, ha iniziato Lei e davanti ai bambini!”. Mi incamminai verso la piccola piazza. Mi resi conto di essere davanti alla macelleria di Papà. Una piccola folla, intimorita dall’ignoranza e dalla paura, assorta, osservava il corpo, esanime, di una giovane donna. Le prime macchie di sangue dal naso e dalla bocca. Una contusione celebrale da caduta recente su una piccola pietra. Delle seconde macchie poco dietro, a terra, ed altre sulla parete d’entrata della casa.
Io e papà eravamo vicini. Senza saperlo. La violenza ha radici profonde, un raptus, una corsa. La pietra ferma non si distrugge, si logora al vento e dalla pioggia. La rabbia è un trauma non uno stato emotivo.