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‘Anche la notte ti somiglia’, un omaggio alla poesia di Pavese nella mostra di Emmanuel Régent in corso a Genova

E’ stata prorogata fino al 6 agosto la mostra personale di Emmanuel Régent “Anche la notte ti somiglia” in corso da fine maggio alla galleria Stella Rouskova a Genova

Il titolo della mostra prende in prestito il primo verso di una poesia di Cesare Pavese, scritta qualche mese prima che il poeta si addormentasse suicida, a soli 42 anni, nella notte di un albergo torinese.”Anche la notte ti somiglia” raccoglie nello spazio di Vico di San Matteo e nel Palazzo Sinibaldo Fieschi, uno dei palazzi dei Rolli di Genova, una decina di pitture recenti della serie delle Nebulose di Emmanuel Régent , artista originario di Villefranche-sur-Mer in Provenza.

Il filo che lega i versi di Pavese alle opere di Emmanuel Régent è il tempo sospeso dell’attesa e del ricordo. La notte ne è l’involucro metaforico, momento di silenzio e di pausa dove ci si ritrova di fronte alla propria necessità di vivere. Nella notte remota, il visibile e l’invisibile si scambiano d’abito. La corsa delle cose si perde nel buio e lascia spazio alle stelle e ai fantasmi che le abitano.

Le nebulose sono le formazioni di polveri e gas interstellari che macchiano di colore la volta celeste. Sono regioni dell’universo dove nascono le stelle, ma possono anche risultare dall’esplosione di una supernova, costituendone allora l’esatto opposto, l’ultima fase di vita. Pressoché invisibili a occhio nudo, le immagini con cui le conosciamo sono catturate dai telescopi astronomici che trasformano le loro radiazioni elettromagnetiche in pattern di pixel monocromi, calchi digitali che sovrappos: da algoritmi ne ricompongono le sfumature.

Emmanuel Régent comincia la serie delle Nebulose nel 2007. Sta carteggiando la scocca della sua piccola imbarcazione quando scopre nel sovrapporsi delle mani di vernice la possibilità di una pittura al tempo di calchi e pixel digitali. Sulla tela riproduce il lavoro del cantiere. Per strati, applica una dopo l’altra mani di colore acrilico monocrome. Per qualche giorno una tinta inonda di luce riflessa l’atelier prima di essere ricoperta dallo strato successivo, restando impressa solo nella memoria dell’artista. Lentamente, i colori creano una sedimentazione cromatica: il bianco costituisce il primo strato, tremolio latente di un’energia atomica pronta ad esplodere, il nero l’ultimo, profondità del cielo interstellare e degli abissi sottomarini.


Dopo aver aggiunto, l’artista toglie. Con una pialla elettrica imbastisce un lavoro d’archeologo. Immagina, poi scava – dapprima nel ricordo, poi sulla tela – per ritrovare e far apparire i colori nascosti. La grana della pialla è grossa, non c’è spazio per l’errore. La lentezza e la metodicità della stesura degli aplats di acrilico è sferzata dalla velocità e dalla pulsione del gesto energico del carpentiere. Le forme emergono dal supporto, come nei disegni che l’artista realizza senza tregua da anni, facendo apparire le sue figure sulla superficie del foglio lasciato intonso dai tratti della penna.
Negli strati di pittura Emmanuel Régent ritrova le fiamme di colore emesse dalle nebulose. La scelta dei materiali che le cos:tuiscono non è casuale. La pittura acrilica porta in sé l’oggi, la plastica, il materiale “miracolo” della produzione e della distruzione provocata dall’economia capitalista. L’acrilico ricopre la tela come l’olio nero delle petroliere capovolte che Régent è solito disegnare mentre affondano nel mare. Sotto lo strato di pece nera, la pialla riscopre le sfumature dei colori gassosi ma anche dei grumi di luce che l’ar:sta crea durante la preparazione della tela spolverando pan grattato sullo strato di pittura che lo interessa. Polvere di grano che, saltando so=o la rotazione meccanica, lascia apparire una manciata di stelle suggerendo un legame tra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande.

Di forma: e colori diversi, ciascuna Nebulosa porta il nome di una donna incontrata per un istante o con la quale l’artista ha condiviso parte della sua vita. La polvere di stelle diviene persona e i colori mezzo di contrasto per dare corpo a fantasmi (dal greco phantazomai, apparire) che vivono nello spazio sospeso dei ricordi e delle attese. Situate a cen:naia di migliaia di chilometri dai nostri occhi, le stelle incarnano il paradosso della vita dopo la morte. Quando la loro distanza supera quella che la luce percorre in un secondo, ciò che vediamo non è che l’immagine di ciò che sono state. Luce del passato, le nebulose portano la forza del futuro dando vita a nuovi astri. Il regista cileno Patricio Guzmán chiama questo fenomeno “nostalgia della luce”, luce dell’assente negli occhi di chi resta.

Anche la notte ti somiglia

Anche la notte ti somiglia,
la notte remota che piange
muta, dentro il cuore profondo,
e le stelle passano stanche.
Una guancia tocca una guancia
è un brivido freddo, qualcuno
si dibatte e t’implora, solo,
sperduto in te, nella tua febbre.

La notte soffre e anela l’alba,
povero cuore che sussulti.
O viso chiuso, buia angoscia,
febbre che rattristi le stelle,
c’è chi come te attende l’alba
scrutando il tuo viso in silenzio.
Sei distesa sotto la notte
come un chiuso orizzonte morto.
Povero cuore che sussulti,
un giorno lontano eri l’alba.

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