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Intervista a Stefano Mario Zatti: parole come involucro

Esodo Celeste III, Cartoncino, pannello led, 96x60 cm, 2018, Esodo Celeste I, dettaglio. Courtesy di Atipografia.
Stefano Mario Zatti, Sangue del mio sangue. Courtesy di Atipografia.

La parola scritta è diventato in qualche modo il segno grafico che contraddistingue la tua produzione. Le Sindoni, tuttavia, se ne allontanano, raccontando la storia della montagna attraverso immagini, dei lenzuoli bianchi abbandonati in luoghi precisi perché interagiscano con l’ambiente, e recuperati dopo diverso tempo.  Come nascono?

Nascono da una semplice osservazione naturale. Lungo le strade di montagna la roccia viva viene trattenuta da reti metalliche e teli, che rimangono lì per anni. Su Google View ho poi trovato diverse immagini dello stesso scorcio stradale, ripercorrendo così il processo di impronta della montagna sui teli. Ci ho visto qualcosa, delle forme, dovevo assolutamente recuperarle perché, di fatto, sono delle sindoni: stanno trattenendo l’impronta idro-geologica della montagna, del passare del tempo. 

Roccia, rete metallica e telo bianco potrebbero aprire tantissime porte, riferimenti,  riflessioni. Ti sei chiesto perché ti abbia fatto pensare a una sindone?

Forse proprio per l’impronta che aveva, sembrava un qualcosa di antropomorfo, come se qualcosa ci avesse dormito dentro per anni, in una sorta di riposo eterno. Alla fine poi la Sindone quello è: non è solo il segno che imprime, ma è l’idea di abbracciare qualcosa e nasconderlo, è il tramutarsi nella stessa forma di ciò che viene avvolto, è l’involucro che prende la forma del contenuto. Se ci pensi poi, tutti noi non siamo altro che involucri, noi come individui, il nostro confine è il limite del nostro corpo, che poi è anche ciò che ci distingue l’uno dall’altro. Ogni sindone è diversa, ciascuna ha una sua storia e cambia in base a quello che succede in relazione all’ambiente circostante. Le colloco in luoghi di montagna che sono per me importanti, con cui ho o con cui sto stringendo un legame e con l’idea di tornarci. Sono tutti luoghi che sceglierei per il mio riposo eterno.

Sindone di Lamen, Lenzuola, polvere, foto, 70×50 cm, ottobre 2015 – giugno 2016. Courtesy of Atipografia

Guardando invece ai tuoi lavori in cui la parola scritta è manifesta, pensi ce ne sia uno in cui la parola svolge la funzione di Sindone, quindi un involucro, un posto dove tornare?

Potrebbe essere la Perla perché è circondata da parole che diventano involucro e allo stesso tempo rivelano cosa c’è sotto che, essendo uno strato riflettente, riflette chi la osserva. La parola diventa in qualche modo involucro della persona che ci si rispecchia. 

Che parole incidi?

Sono tratte da un altro mio lavoro, Mundus, un esercizio poetico di sintesi verbale dove condenso il significato di ciascuno dei giorni dell’anno in una invocazione o una evocazione, che poi ripeto come fosse un mantra. Sono tutte frasi in cui tento di descrivere un’immagine che evochi ciascun giorno: può essere una frase completa o solo poche parole, sempre accomunate dall’incipit “Del giorno” che, in cui, quando…

Un  esercizio di sottrazione, caratteristica del tuo fare, per cui togli fino arrivare alla alla radice delle cose. A cosa ti ispiri per stilare le invocazioni/evocazioni?

La partenza è l’agiografia, quindi dal santo del giorno della religione cristiana, dopodiché analizzando le fonti cerco di andare sempre più in là, se c’è un legame di altro tipo con la religione romana, il paganesimo, fino alla Grecia e al Mediterraneo. Poi la storia è sempre molto umana, quindi fatta di carne ossa, sangue, sogni: il vivere quotidiano; poi ci può essere anche l’elemento trascendente, che è però sempre un’immagine come il sole, le stelle, o l’infinito che si proietta attraverso i nostri occhi.

Perla, tecnica mista, diametro 12 cm, 2022. Courtesy di Atipografia.

Menzionavi il Mediterraneo. Con i tuoi lavori hai fatto quasi un giro del mondo: hai percorso la Via della Seta, seguendo le principali vie commerciali, religiose, pagane, sei arrivato fino in Tibet e tornato indietro. 

Il Tibet è stato in realtà il mio primo amore. Da bambino volevo diventare buddista e imparare a meditare, cosa che non ho mai fatto perché non riesco a fermare il pensiero, ma del mondo tibetano mi rimane la sua origine di montagna, il collegamento tra la Terra e il Cielo. Da lì sono nate anche le ruote di preghiera, proprio perché avevo bisogno di creare un oggetto di preghiera che potesse essere azionato attraverso il movimento rotatorio e la ripetizione di un mantra.

Ti faccio ora una domanda che non dovrei fare: il tuo lavoro che preferisci. Se dovessi sceglierne uno in questo momento, domani puoi cambiare idea, quale sarebbe? La tua personale Sindone, il tuo personale involucro e segno. 

Forse ti direi che effettivamente la cosa che più mi rappresenta in assoluto è Esodo Celeste per un semplice motivo: ci sono dentro le stelle, la luce, il buio, la sofferenza, è una sindone nel senso epistemologico in cui ne hai parlato tu ora, perché per farlo mi sono ferito. Salverei quella perché è uno svelare una luce che c’è al di là, di fatto è una mappa stellare, che è forse l’unica cosa che mi interessa fare. 

Esodo Celeste III, Cartoncino, pannello led, 96×60 cm, 2018, Esodo Celeste I, dettaglio. Courtesy di Atipografia.

Una galassia fatta di persone, perché in fondo siamo galassia.

E alla fine veniamo a quella matrice materialista e atea, che è in realtà la base di partenza di tutto il mio pensare, e anche del mio avvicinarmi alle religioni e alla spiritualità.

Ti professi ateo, ma alla fine Dio c’è sempre. Non è un dio necessariamente cristiano, racconti anche quello musulmano, ma c’è.

Perché a un certo punto dio si è messo di traverso. L’idea di dio è un’idea estremamente antica ed estremamente potente tutt’ora. Ci mette di fronte la nostra condizione di esseri limitati che però hanno la possibilità di percepire la propria limitatezza, nel vedere la propria limitatezza si confrontano con cose invece illimitate, e proprio in quella distanza tra essere all’interno di un involucro limitato che però si confronta con delle cose  assolutamente incommensurabili, sta la parola come misura del mondo, la parola per dare il vero nome alle cose. 

È proprio questo il significato di Sindone a cui mi riferivo all’inizio: quando la parola smette di essere tale in senso stretto, ma diventa l’involucro per qualcos’altro. Per me Mundus, forse, è il lavoro che più svolge questa funzione.


Stefano Mario Zatti nasce a Padova nel 1983, si forma all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Vive e lavora tra la provincia di Venezia, Padova e il Cadore, è rappresentato dalla galleria Atipografia (Arzignano, VI). Stefano Mario Zatti indaga i temi del silenzio, del tempo e del sogno. Le sue opere nascono dallo studio delle tradizioni spirituali dell’uomo: dallo sciamanesimo alla liturgia egizia, dallo gnosticismo all’alchimia. L’artista ci accompagna in questo processo dall’ombra alla luce e dalla luce all’ombra in totale naturalezza, scoprendo semplificazioni e complessità imperfette. È nell’intimità personale che i lavori dell’artista trovano origine, per giungere in modo inatteso ad una verità oggettiva, ad una radice necessaria, ad un senso di umanità delle cose raro e prezioso, ad un paesaggio ritrovato.

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