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San Gimignano apre a un’Aurora delle metamorfosi col Festival Orizzonti Verticali

Anche quest’anno a San Gimignano ,dal 3 al 5 agosto, si è svolto il Festival 𝙊𝙧𝙞𝙯𝙯𝙤𝙣𝙩𝙞 𝙑𝙚𝙧𝙩𝙞𝙘𝙖𝙡𝙞 – 𝘼𝙧𝙩𝙞 𝙨𝙘𝙚𝙣𝙞𝙘𝙝𝙚 𝙞𝙣 𝙘𝙖𝙣𝙩𝙞𝙚𝙧𝙚, progetto a cura di Compagnia Giardino Chiuso, con il contributo di Regione Toscana e Comune di San Gimignano – Assessorato alla Cultura (nell’ambito di “Accade d’Estate 2023”)

Il titolo di questa edizione apre alla speranza di tempi migliori: 𝘼𝙪𝙧𝙤𝙧𝙖 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝙢𝙚𝙩𝙖𝙢𝙤𝙧𝙛𝙤𝙨𝙞, comprendendo tre giornate di spettacoli e incontri che si sono svolti nelle bellissime location della città toscana in quelli che sono stati giorni “ballerini” di sole e pioggia.

Il primo appuntamento “Peaceful Places” di Margherita Landi e Agnese Lanza, consisteva in una performance che è stata l’ispirazione per la stesura del progetto “Abbraccia un Borgo”. Fresco vincitore del bando PNRR TOCC,  Peaceful Places è il precursore di un percorso più ampio e articolato della metamorfosi che Orizzonti Verticali si appresta a compiere nel 2024. La performance ha coinvolto tutti i presenti  che avevano voglia di mettersi in gioco indossando una maschera che li catapultava nel mondo virtuale. Agnese Lanza lavora con la realtà virtuale dal 2018, Tutorial è stato il primo progetto del genere, e dal 2022 è sorta anche la collaborazione con Giardino Chiuso. La metamorfosi di oggi, appunto tema di questa edizione del festival, è quella di avvicinarsi alle novità. Questo è il primo festival italiano a cui la Lanza ha preso parte. Un lavoro di ricerca iniziato quando aveva 25 anni assieme a Margherita Landi, nato da un incontro casuale. Le due giovani coreografe si concentrano sul corpo in uno stato di immersione.

“Il corpo in stato di allerta diventa più precario- spiega Agnese- noi attingiamo dalla precarietà. In Peaceful Places si attua la pratica della mimesi. Abbiamo copiato dei piccoli gesti. Nel periodo della pandemia nascono due progetti. Il tema dell’assenza è il nostro tema. Peaceful è una riflessione sull’abbraccio, un gesto diverso che cambia, con una forte comunicazione non verbale. Si è lavorato su 4 coppie a Villa Manin a Udine, il loro modo di abbracciarsi e quello che chi indossa la maschera deve ripercorrere nella gestualità”. Quello che viene richiesto al pubblico non è tanto di far rivivere l’abbraccio, ma di stimolare il corpo. Un corpo che si muove senza vedere quello che fa e come lo fa, ignaro per altro di essere a sua volta guardato da altri.

Peaceful Place genera una doppia performance: quella di chi vede il video e ne ripete la gestualità e quella di chi vede coloro che col visore abbracciano il “niente” (l’assenza collegata da una gestualità analoga). Quello che ne esce fuori è molto interessante. Differenti e magici i movimenti di chi, immerso negli abbracci del video, ne ripete a suo modo i gesti. Una performance che ha attratto molto non solo gi addetti ai lavori, ma anche chi, passando da Piazza del Duomo, è stato stimolato a prendere parte all’esperienza, che è andata avanti dalle ore 19 fino alle 22.

Di tutt’altro genere “Apocatastasi” di Teatro Akropolis  andato in scena il 4 agosto. La compagnia teatrale genovese con questo lavoro (a San Gimignano in prima regionale) prosegue il suo viaggio attraverso il mito.  “Un lavoro nato da esigenze sceniche e di riflessioni su un testo (Le danze dell’Ade) – spiega  David Beronio di Akropolis – e dalle suggestioni nate da un affresco  sulla resurrezione della carne. Il luogo del giudizio è il non luogo, un paesaggio quasi lunare. Siamo stati attratti da una figura in un angolo dell’affresco in cui si vede un gruppo di ignudi che sta danzando. Si ragiona dunque sul concetto della danza in assenza del tempo che generalmente ne scandisce il ritmo”. Lo spettacolo si è svolto nella splendida sala di Palazzo della Propositura. Niente  sipario nè palcoscenico, il pubblico si è posizionato in fondo per poi venire completamente immerso dal buio. E’ il buio infatti  il primo protagonista di Apocatastasi. Quella poca luce che arriva in seguito ci riporta alla pittura caravaggesca, ma non possiamo dire che illumina i corpi già presenti in scena, piuttosto che li materializza. Al centro due donne che si concretizzano come nate da un’immagine originaria, diventando minacciose. I loro capelli lunghi coprono il viso di entrambe . Si sente palpabile una situazione di agguato, non è chiaro il rapporto che c’è fra le due, ma si percepisce tensione. I loro corpi sono sollecitati nella gestualità dal caleidoscopio musicale che oscilla tra la musica contemporanea di Pietro Borgonovo a quella barocca di Händel. La sedia, unico oggetto in scena, è l’unica cosa concretamente afferrabile perchè il resto è assolutamente inafferrabile. I due corpi anelano l’esistenza, la loro esistenza, come se reclamassero il diritto di situarsi in questo mondo difficile, disagiato e cattivo. Si colpiscono a vicenda e colpiscono sè stesse come se attraverso  sadismo e masochismo insieme uscisse fuori una sorta di liberazione purificatrice. È una lotta tra le due,  una  lotta  feroce, che fa rumore, e lascia i segni. Una lotta in cui si percepisce anche una maternità non voluta e quindi forse anche un rifiuto di femminilità.  Essere corpo sembra diventare impossibile, affermarsi come tale è conseguenzialmente insostenibile, ed allora tutto ciò che resta è il buio della fine. Brave le due interpreti Giulia Franzone e Roberta Campi che si sono formate al Teatro Akropolis. Ambedue hanno rivelato che non è stato facile rendere chiaro il significato del lavoro dei  drammaturghi e registi Tafuri e Beronio, anche se chiare erano invece le premesse. Come in ogni costruzione di un lavoro teatrale, durante l’approfondimento tutto sembra diventare difficile proprio perchè più si va a fondo di un concetto e più si ha l’impressione che sia impossibile trovare risposte esaurienti per esplicarlo.

A chiudere il festival il 5 agosto è stata la musica. Un concerto per quattro violoncelli dell’Accademia Musicale Chigiana cura del Maestro Antonio Meneses. Il programma ha spaziato da brani di Bach a quelli più contemporanei di Paul Hindemith, per chiudere con il famoso Valzer n.2 di Shostakovich  ad opera dell’ensemble al completo. Protagonisti tre giovani e talentuosi violoncellisti provenienti da tutti il mondo: l’albanese Klaudio Zoto, la giapponese americana Mei Hotta e l’italiana Maria Clara Mandolesi.

Ma l’installazione più pregevole e seducente del festival è stata l’opera collettiva “Sentieri di carta”, costruita insieme al pubblico durante le tre giornate. La compagnia Giardino Chiuso l’ha riproposta dopo la riuscitissima esperienza del 2020. Sentieri di carta, era nata per alimentare una memoria culturale che ci appartiene, quando la pandemia ha imposto un arresto improvviso di tutto, sconvolgendo il modo di vivere e di relazionarsi di ognuno. Dopo tre anni di Orizzonti Verticali  Tuccio Guicciardini e Patrizia de Bari hanno sentito il bisogno di chiudere un cerchio rimettendo in scena Sentieri, avviandosi verso un’ ”aurora della metamorfosi”, un inizio di trasformazione che volga lo sguardo ad un orizzonte positivo e propositivo. Come tre anni fa Sentieri di carta  è stata realizzata nel grande spazio scenico di Piazza Duomo, dove cittadini, artisti, giornalisti sono stati invitati a dare il proprio contributo attaccando pagine di libri. Alle 19 di sabato 5 agosto, ad avvalorare l’installazione,  è stata la performance Bianchisentieri_ Aurora ad opera di Patrizia De Bari. La danzatrice e coreografa del brano dopo aver fatto salire sull’ampio palco grossi rotoli di carta uniti fra loro, lentamente è andata ad indossare un abito (splendido) realizzato proprio con pagine di libri arrotolate.  Sulle elaborazioni sonore di Daniele Borri comincia a muoversi e ad interagire con la carta che è tappeto, ma anche alter ego. I rotoli sono un fardello indispendabile per continuare a sentire sè stessa , fanno parte di lei come di tutti noi.  Intensa l’interpretazione della De Bari, bella ed elegante in ogni movimento che si fa parola, quella che sta nascosta dentro ai rotoli di carta.

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