Da sempre tormentate da incomprensioni e ostilità, le straordinarie creature di Presti in Sicilia cessano le attività. Ma lui pensa già…
Siamo stati a Trovare Antonio Presti all’Atelier Sul Mare a Castel di Tusa, nel messinese. Il mitico albergo d’arte che insieme al Parco di Fiumara d’arte è uno dei patrimoni culturali d’arte contemporanea più importanti della Sicilia. Ma abbiamo avuto una sorpresa. Su un cartello affisso alla porta c’era scritto: “Cessazione di attività. Museo – Albergo Atelier sul Mare. Apertura 20 maggio 1990 – Chiusura 14 luglio 2023. Per volontà della Fondazione Antonio Presti – Fiumara d’arte sono sospesi tutti i servizi e le visite al museo – albergo Atelier sul Mare”.
Dopotutto, dentro l’ascensore del museo – albergo leggevamo scritto da Antonio Presti: “con lo stupore si inizia ed anche con lo stupore si termina”. La candida macchina dei sogni drappeggiata di edere che scendono, come verdi cascate, lambendo le finestre di quelle stanze d’artista che sono un unicum al mondo. Gli artisti, difatti, da quarant’anni hanno progettato e non semplicemente arredato le camere. Hanno così trasportato gli ospiti nella propria dimensione creativa inserendoli in un’esperienza percettiva totale. È una vera e propria immersione deprogrammata alloggiare nelle opere di Mauro Staccioli, di Mario Ceroli, Paolo Icaro, Piero Dorazio, Hidetoshi Nagasawa, Maria Lai o Fabrizio Plessi, e solo per fare dei nomi tra i tanti artisti che hanno collaborato con Presti a questa folle impresa.
Silenzio inaccessibile
Vivere in questi spazi significa abbandonare la condizione di osservatore distaccato per entrare in quella di abitatore. Cioè di chi condivide la propria interiorità con i segni di un luogo straordinario. Fuori dell’ordinario è, infatti, questo posto, dove ogni aspettativa d’uso viene disattesa poiché sconvolta e restituita dalla soluzione dell’arte. Il museo – albergo è anche una punta protesa sul mare e un concentrato di ciò che è disseminato nell’entroterra, su alture e poggioli, in valli e ripe fluviali: il parco di Fiumara d’Arte. Bene, tutto questo, forse già noto ai più, giace oggi in un silenzio inaccessibile poiché Antonio Presti ha sospeso le attività.
In verità, ascoltando questo silenzio, ci accorgiamo di essere al cospetto più che di una interruzione, di un invito a stupirsi nuovamente. Ecco allora, che risulta più comprensibile il cartello che s’accosta, come a formare un dittico, all’annuncio di cessazione, affisso anch’esso alle porte dell’albergo di Castel di Tusa. Su di esso campeggia la parola “Futuro”. In apparenza, un contraddittorio accostamento fa stridere questi titoli. In verità, questi due concetti s’uniscono in uno scambio vicendevole di senso tra una fine ed un inizio. Tutto è ancor più chiaro se rammentiamo quella nota d’avanguardia che da sempre ha caratterizzato l’attività di Presti, ossia la ricerca di quella bellezza che in questi luoghi viene sovente invocata come una formula salvifica.
Un’idea comune di bellezza
La fluida fuga dall’invecchiamento esiziale degli oggetti è solo un modo per interpretare l’attività di Presti. Qui le opere d’arte, da cui ci s’aspetta un inamovibile e rassicurante valore autoriale, le opere d’arte che riduciamo ad immagine se non addirittura a scenografia funzionale per una posa, magari per decorare la nostra presenza in un selfie, non sono più una tendenza da farsi piacere, ma un luogo di devianza da un’idea comune di bellezza. Quella bellezza, che è diventata oramai un motto orecchiato e sempre più proclamato, qui non serve a giustificare la stabilità uniforme di un’arte intesa nella sua vocazione costante all’intrattenimento.
La bellezza cui tende Presti, invece, non ha mai puntato sulla distinzione tra gradienti di apprezzamento. In pratica non conta i pollici alzati dei Like, ma si muove verso un più ampio superamento di un culto ossessivo del genio e della sua condivisione mediatica. Il repertorio iconografico che ha finito per dominare la cultura moderna, e nel suo abuso s’è trasformato in moda, qui a Castel di Tusa e Fiumara d’arte non ha senso di esistere. Poiché solo camminando e sostando in questi luoghi, solo contemplando in silenzio il paesaggio per ascoltare il dialogo dell’arte con le rocce, le specie botaniche, il venti e il mare, riusciamo a decrittare il codice nascosto nelle forme e che nelle forme muta.
Presti e Librino
Il cambiamento costante della percezione è importante per Presti. Ogni obsolescenza che nella solitudine spegne ogni sua unicità, è per lui sostituibile con una trasformazione costante. In tal modo l’arte sfugge al giudizio di un pubblico abituato a farne argomento di querule dispute, quel pubblico che, oramai persuaso dalla retorica dello schermo, Presti vorrebbe introdurre a un percorso che s’articola in una esperienza diffusa e confusa tra passato e presente. Questa esperienza sembra annunciata da Antonio Presti in un progetto di Triennale che ha luogo e data da destinarsi e che, per sua volontà, cede il presente al futuro offrendo ciò che è certo al possibile, ridando modo all’arte di riappropriarsi dell’imprevisto. È, infatti, imprevedibile l’azione di sottrarre ogni simbolica certezza, come quella di smontare, pezzo dopo pezzo, il Cavallo Eretico, opera di Antonello Bonnano Conti inaugurata soli tre anni fa.
Presti lascia un vuoto capace di volgere l’abitudine in un enigma. La sua assenza, davanti all’Atelier sul Mare, non è più l’affermazione di un significato, semmai una significante vacuità cui noi possiamo dare il senso che vogliamo. E un senso lo troviamo se arriviamo a Librino, periferia meridionale di Catania, luogo di degrado urbanistico e civile che Antonio Presti ha adottato come laboratorio di speranza. Forse è qui che rinascerà quell’eresia artistica che ha caratterizzato l’albergo e tutta Fiumara d’Arte. E che, come tale, è stata osteggiata e incompresa, ma che nel sacrificio della devianza ancora indica la strada per un futuro.