Pirelli HangarBicocca dedica una mostra a James Lee Byars, la prima in Italia dopo la sua scomparsa nel 1997. Un percorso stratificato attraverso il suo lavoro, che si è sviluppato come un’esplorazione continua dei significati più profondi dell’esistente, ai confini tra misticismo, spiritualità e corporalità. A Milano dal 12 ottobre 2023 al 18 febbraio 2024.
Byars ha inventato lavori di arte concettuale, performativa e installativa prima ancora che esistessero definizioni di quello che stava realizzando.
Brenda Richardson, curatrice
La mostra di James Lee Byars (Detroit, Michigan, 1932 – Il Cairo, 1997), a cura di Vicente Todolí e organizzata da Pirelli HangarBicocca e Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid (dove sarà in mostra dal 25 aprile all’1 settembre 2024 al Palacio de Velázquez), si compone di una vasta selezione di opere scultoree monumentali, realizzate dal 1974 al 1997, provenienti da collezioni museali internazionali, alcune raramente esposte e presentate in Italia per la prima volta.
Todolí, che ha già curato due mostre di Byars (all’IVAM Centre del Carme di Valencia nel 1994 e al Museu Serralves di Porto nel 1997), sottolinea come egli “era solito adattare il suo corpus di opere allo spazio in cui veniva esposto, creando così una mostra che fosse essa stessa un’installazione complessiva. Pertanto, la nostra selezione di opere interagisce con l’ambiente ex industriale delle Navate, sfidandoci a interpretare lo spazio secondo l’approccio concettuale dell’artista”.
James Lee Byars è stato uno dei punti di riferimento assoluti nell’ambito dell’arte concettuale e performativa. Nato a Detroit nel 1932 e con una formazione che spazia dall’arte alla psicologia e alla filosofia, Byars caratterizza la sua arte – e la sua vita – sulla base del nomadismo che lo contraddistingue. Nella sua pratica rientrano infatti le esperienze di vita condotte tra gli Stati Uniti, il Giappone, New York, Berna, Santa Fe e la California. Stretto anche il rapporto con l’Italia, dove ha vissuto (a Venezia, dove nel 1975 realizza la celebre performance The Holy Ghost) e lavorato (nel 1989 è al Castello di Rivoli per la prima retrospettiva in un museo italiano).
Attraverso l’uso di media differenti, come l’installazione, la scultura, la performance, il disegno e la parola, infatti, l’artista ha dato vita a una riflessione mistico-estetica sui concetti di perfezione e ciclicità, sulla figura umana – sulla sua rappresentazione e smaterializzazione –, spesso attraverso il coinvolgimento diretto del pubblico in azioni temporanee o in interventi su larga scala. Dalla sua scomparsa nel 1997, questo aspetto richiede di interrogarsi sulla presenza-assenza dell’artista, che nel corso della sua vita ha incentrato la sua pratica sulla sua persona e raffigurazione attraverso azioni, gesti, rituali e indossando abiti caratterizzati dal legame visivo e simbolico con le opere.
Il percorso espositivo si apre con la monumentale The Golden Tower (1990). Il pubblico è accolto da una torre dorata alta 21,25 metri, che riassume in sé l’indagine dell’artista sull’interazione tra forme perfette e materiali immutabili. James Lee Byars realizza i primi disegni concettuali dell’opera già nei primi anni ’70: concepita per essere esposta in spazi pubblici, nell’idea iniziale doveva essere alta oltre 300 metri. La prima realizzazione risale al 1990, quando fu presentata al Martin-Gropius-Bau di Berlino.
Tra le opere storiche presenti in mostra c’è HEAR TH FI TO IN PH around this chair and it knocks you down (1977), una tenda in seta nera che ospita una sedia d’oro girevole dell’Ottocento sopra un tappeto di seta ricamato in oro. La seduta vuota, illuminata da una luce verticale, e la rarefatta preziosità dell’ambiente rimandano a immaginari provenienti da diverse tradizioni orientali, come il trono di Buddha, simbolo Zen dell’illuminazione attraverso la sparizione del sé, o la pratica shintoista di offrire scranni agli spiriti che abitano i santuari. L’installazione è stata esposta per la prima volta nel 1977 all’inaugurazione della galleria Marian Goodman a New York, durante la quale Byars ha dato vita a un atto performativo: vestito di nero e nascosto tra le pieghe delle tende, puntava una torcia sulla sedia ed esclamava la frase “Hear the first totally interrogative philosophy around this chair and it knocks you down”, da cui deriva il titolo dell’opera.
Per l’artista, forme archetipe, simili a obelischi e totem, diventano emblema della figura umana e dei suoi aspetti più trascendentali e spirituali, di cui The Figure of Death (1986) è rappresentativa. La scultura, una struttura verticale composta da dieci cubi di basalto, offre un momento di riflessione sulla natura della morte e sulla memorializzazione e monumentalizzazione della stessa. La ciclicità e la temporalità della vita, invece, sono simbolizzate dagli elementi del cerchio e della sfera, che si ritrovano in particolar modo in due lavori: The Door of Innocence (1986-89), una scultura di marmo dorato a forma di anello ed evoca un momento di passaggio e trasformazione, grazie al quale concetti metafisici e astratti assumono fisicità e concretezza nell’opera d’arte; e in The Tomb of James Lee Byars (1986), in cuui l’artista racchiude metaforicamente in una sfera di pietra arenaria i concetti intangibili e assoluti della spiritualità e della purezza, che si contrappongono al materiale poroso e stratificato.
A chiudere il percorso troviamo Red Angel of Marseille (1993): mille sfere di vetro rosso disposte a pavimento creano una sontuosa forma antropomorfica e, allo stesso tempo, floreale. L’opera riduce la figura umana alla sua essenza, mentre la connotazione angelica, suggerita dal titolo, apre nuovamente a una riflessione sulle sue potenzialità metafisiche e sul suo rapporto con il divino.