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Aeropittura. Una storia futurista tra prospettive vorticose e inedite, in mostra a Milano

Tato (Guglielmo Sansoni), Paesaggio Aereo, 1932, olio su tavola, 110,5x112,5 cm
Tato (Guglielmo Sansoni), Paesaggio Aereo, 1932, olio su tavola, 110,5×112,5 cm
AEROPITTURA FUTURISTA. L’avanguardia italiana tra Biennali e Quadriennali, esposta dal 13 ottobre al 2 dicembre 2023 alla Galleria Bottegantica di Milano, racconta dell’ultima grande costola del movimento futurista.

Enrico Prampolini, uno degli artisti più cerebrali del Futurismo, descriveva l’Aeropittura come “uno strumento essenziale per soddisfare il desiderio latente di vivere le forze occulte dell’idealismo cosmico“. Se posta in questi termini l’affermazione si gonfia di toni fin troppo filosofici e criptici, d’altra parte è evidente che la prospettiva offerta dall’ultima declinazione pittorica del movimento fondato da Marinetti è sostanzialmente inedita. Accennata già negli anni ’10, è nel periodo successivo alla prima guerra mondiale che la corrente si infittisce. Alzando gli occhi al cielo, con gli aerei a sorvolare città e campagne, l’Italia e l’Europa del tempo percepivano l’orrore del conflitto. Ma, sotto di esso, intravedevano l’incanto di macchine volanti a cavallo del magico e del tecnologico, intente in voli radenti, evoluzioni sinuose, scatti repentini. Ma soprattutto si domandavano come dovesse apparire il mondo visto da lassù.

Sentimenti e domande a cui l’Aeropittura, il cui manifesto ufficiale arriva solo nel 1929, risponde grazie a qualche prova sul campo e a molta, molta immaginazione. Se pare che Marinetti abbia tratto ispirazione per il manifesto dell’Aeropittura da un lungo volo in idrovolante sul Golfo della Spezia, e così qualche altro pittore avrà giovato di un passaggio aereo, è altrettanto vero che tante delle soluzioni aeropittoriche possiedono una cifra fantastica, se non addirittura astratta, che evidenzia come la corrente avesse intenti più suggestivi che paesaggistici. Dunque, se da una parte era intenzionata ad assecondare il desiderio documentaristico del pubblico, dall’altra l’Aeropittura con la sua matrice futurista non poteva fare certo a meno di esaltare l’entusiasmo per il volo, il dinamismo e la velocità, come anche l’innovazione, la tecnologia e le invenzioni scientifiche.

Augusto Favalli, Passaggio sulla base, 1935, olio su tavola, 150x94 cm
Augusto Favalli, Passaggio sulla base, 1935, olio su tavola, 150×94 cm

Di tutte queste spinte, che fanno dell’Aeropittura la più complessa tra le costole futuriste, rende conto la mostra AEROPITTURA FUTURISTA. L’avanguardia italiana tra Biennali e Quadriennali, esposta dal 13 ottobre al 2 dicembre 2023 alla Galleria Bottegantica di Milano. Come dice il titolo, ad essere presentate sono in particolare le opere che furono esposte tra gli anni venti e quaranta in occasione delle due manifestazioni artistiche principali in ambito italiano.

A partire dalla Biennale di Venezia del 1926, dove predomina un’interpretazione volumetrica dell’arte futurista, che si ispira al linguaggio della meccanica per creare un’arte basata sulla solidità costruttiva dei volumi e delle linee. Tendenza ben rappresentata in mostra dal bassorilievo Derivazione plastica da Bottiglie, Bicchiere, Ambiente (1926) di Ivo Pannaggi. É dalle successive Biennali che si coglie, invece, il progressivo emergere di una linea di ricerca attorno all’Aeropittura; o meglio, come abbiamo visto, di più linee di ricerca.

Attorno alla figura chiave di Ernesto Prampolini si sviluppa per esempio una corrente pittorica più lirica, che crea originali proiezioni cosmiche alla ricerca di una “nuova spiritualità extra-terrestre”. Lo stesso Prampolini in un quadro iconico come Maternità cosmica (1930) racchiude in una cornice astratta alcune istanze realistiche, come il busto di una Venere accovacciata e una sfera che richiama una testa, ma anche l’archetipo del cosmo. La sua idea era quella di dare forma all’ignoto e indagare per mezzo dell’astrazione gli estremi del cielo, e allo stesso tempo di “ricostruire la realtà trascendentale nelle sue architetture spirituali“. Un solco in cui si inseriscono anche Fillia, Benedetta e Augusto Favalli. Di quest’ultimo è esemplificativo Passaggio sulla base. Qui convivono diverse prospettive in un’unica immagine, con una sorta di base aerea arancione che accoglie due sagome umane insieme a dei velivoli, che compaiono anche nella parte alta della tela.

Tullio Crali - Aerocaccia I (Duello di caccia), 1936, olio su tavola, 80x100 cm
Tullio Crali – Aerocaccia I (Duello di caccia), 1936, olio su tavola, 80×100 cm

Accanto alla componente cosmica, vi è l’altra declinazione dell’Aeropittura, più attenta alla resa verosimile della realtà e alla celebrazione delle conquiste tecniche nel campo aviatorio. Ne è un esempio la scultura di Thayaht, S.55 Architettonico (1935-1936), che celebra le forme geometriche e puntuali dell’idrovolante sul quale Italo Balbo compì la sua trasvolata atlantica tra il dicembre 1930 e il gennaio 1931. In maniera simile, le dinamiche vedute dall’alto di Alfredo Gauro Ambrosi, come Virata sull’Arena di Verona (1932), o di Tato, come Paesaggio aereo (1932), o ancora le acrobazie aeree di Tullio Crali in Aerocaccia I (Duello di caccia) (1936).

É probabilmente in queste esperienze che i futuristi trovano la giusta convergenza tra contenuto storico, sociale, politico, estetico e artistico. Le visioni aeree fungono qui da finestra spaziale sul mondo, visto finalmente dall’alto; giocano con la percezione deformando i paesaggi, simulando i vorticosi ribaltamenti a cui sono soggetti gli aerei; esaltano il modernismo tecnologico, lo slancio verso un futuro meccanico che al tempo entusiasmava e spaventava; e, perché no, agivano (se non da propaganda bellica) quantomeno da immagini cronachistiche di situazioni che la fotografia ancora non poteva testimoniare.

Su quest’ultima linea si mossero sicuramente, invece, artisti come Cesare Andreoni e Renato di Bosso, che per le cosiddette “Biennali di guerra” (1940-1942) realizzarono alcuni dipinti a soggetto bellico relativi alle conquiste coloniali in Africa. Sono gli anni in cui i legami sempre più stringenti con il Regime fascista producono opere di carattere propagandistico e di esaltazione bellicistica, come Aereomitragliere d’Africa “Dinamismo plastico” di Di Bosso, che con sbalorditivo modernismo richiama l’estetica point of view di alcuni videogiochi, attraverso la prospettiva quasi in prima persona di un soldato visto dall’interno dell’aereo. L’ennesima testimonianza della visionarietà di una corrente che in modo più acuto di altre forme d’arte (su tutte il cinema, che potenzialmente aveva a disposizione maggiori mezzi tecnologici) era riuscita a porre lo spettatore come protagonista dell’opera, inserendolo in una fruizione esperienziale ante litteram.

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