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Il fascino del suono digitale a Biennale Musica

Ph. © Biennale Musica
Ph. © Biennale Musica

La Biennale Musica, che si svolge sino al 29 ottobre come deciso dal Consiglio di Amministrazione accogliendo la proposta di Lucia Ronchetti (direttrice del settore Musica), mira a evidenziare “il fascino e la ricchezza espressiva del suono digitale”

Micro – Music è il titolo del 67esimo Festival Internazionale di Musica Contemporanea. Micro, come spiega Ronchetti, perché va a esplorare l’infinitamente piccolo del suono attraverso la sensibilità dell’artista digitale. La Direttrice di Biennale Musica crede fortemente nella potenza di realtà virtuale e realtà aumentata applicate al suono, generi  nuovi codificati da tutti i compositori che ha coinvolto nel festival. Molte le prime assolute commissionate dalla Biennale di Venezia e coproduzioni con i più importanti festival internazionali. Gli artisti invitati, provenienti da tutto il mondo, sono scultori di nuove entità sonore digitali, archeologi musicali alla ricerca di antichi suoni scomparsi, ricercatori della misteriosa, transitoria e magica natura del suono e creatori di inediti incantesimi acustici capaci di coinvolgere il pubblico con vasti affreschi musicali.

La città di Venezia è stata per tutti loro fonte d’ispirazione. Tutte le composizioni in programma hanno infatti l’impronta acustica specifica del paesaggio descritto e l’atto dell’ascolto rappresenta la lettura dello spazio circostante che arriva attraverso i riverberi articolati e mutevoli che l’ambiente rimanda. Nelle creazioni elettroniche emergono bellezza ed incanto sonoro scaturiti nel contesto architettonico degli edifici veneziani.

Ad aprire il festival, la mattina del 16 ottobre è stato Sounds of Venice Number Two, un progetto ad opera di Andrea Liberovici e Paolo Zavagna nato da un’idea e da una domanda “apparentemente folle”, come affermato dagli autori, di poter spostare Venezia a Mestre. Infatti l’installazione ha luogo a Piazzale Divisione Acqui a Mestre. I due musicisti hanno spostato la Serenissima catturandone i suoi suoni, unici e magici. I vari fixed media strutturati in otto quadri raccontano la storia e la contemporaneità di Venezia attraverso suoni rappresentativi della realtà e della memoria veneziani, non solo nella loro forma originale ma anche tramite elaborazioni, manipolazioni, composizioni elettroacustiche. Liberovici e Zavagna hanno attinto a registrazioni esistenti tra il Novecento e il Duemila, e per le epoche antecedenti hanno costruito oggetti sonori e soundscape ispirati a quadri, documenti, musiche scritte del grande patrimonio storico di Venezia.

 

Liberovici e Zavagna Sounds of Venice Number Two Ph. © Biennale Musica
Liberovici e Zavagna ph. F. Camponero

“L’immagine è oramai satura – ha dichiarato Liberovici all’inaugurazione – bisogna togliere le cuffie dalla testa. Le cuffie creano solitudine. La nostra installazione è l’opposto alla solitudine. In Sounds of Venice Number Two c’è volutamente l’assenza di rappresenzazione visiva. Qui è solo ascolto. La città di Venezia diventa un grande strumento musicale che apre un dialogo col pubblico. Tutti i compositori veneziani hanno ascoltato Venezia per poi tradurla in note, noi abbiamo voluto unire la Venezia antica a quella contemporanea attraverso canovaccio musicabile che vede protagonisti campane, acqua, parole…”.

E così nella prima vera mattina autunnale dell’anno (fino al giorno prima possiamo dire fosse ancora estate), i presenti, tirate fuori giacchette e sciarpine, si sono immersi negli evocativi quadri sonori creati dai due compisitori: dai valzer dell’orchestrina del Cafè Florian, ai botti del Redentore, al garrire dei gabbiani, fino al parlare sguaiato di uno strano personaggio che continua a gridare ”Trolley” come fosse un’ingiuria a qualcuno. I colori di Venezia: l’azzurro (del cielo), il giallo (dell’oro) e il grigio (dell’acqua) sono tutti all’interno di questi suoni che si rincorrono in dolby surround nel grande Piazzale attraverso gli altoparlanti fissati in alto.

Venezia è ancora raccontata da 1195 di Tania Cortés Becerra. La sua  è un’installazione audiovisiva all’interno del Teatro del Parco, sempre a Mestre, relativa al concetto di prospettiva e di memoria. La Cortés prende in esame soprattutto il luogo più emblematico della città di Venezia, la Basilica di San Marco. La chiesa, sinonimo del tempo, dal momento che raccoglie e manifesta il trascorrere della storia attraverso i diversi stili artistici della sua struttura, è archivio di memoria. La compositrice e performer equadoriana la destruttura anche visivamente: nei suo video San Marco si sgretola come fosse un castello di sabbia, un contrasto tra due prospettive che non è altro che la testimonianza quotidiana della coesistenza della Venezia antica e di quella attuale.

Nel pomeriggio ci si sposta a Forte Marghera per un’altra prima assoluta, Love Numbers, un’installazione di Anthea Caddy e Marcin Pietruszewski con il supporto di Miodrag Gladović per il design e sviluppo degli altoparlanti parabolici. L’installazione all’interno di un capannore che, probabilmente in passato era una scuderia, esplora le forze cosmologiche del sole e della luna. Come hanno spiegato gli autori Love Numbers si riferisce ai parametri introdotti nel 1909 dal matematico inglese Augustus Love per indicare la risposta elastica complessiva della Terra alle maree. Entrando all’interno, il pubblico ha un’esperienza fisiologica e psicoacustica in grado di evocare i corpi d’acqua in espansione e l’atmosfera come immensi territori spaziali e temporali. I quattro altoparlanti parabolici sono capaci di proiettare raggi sonori fino a tre chilometri di distanza ed il sole che filtra dalle finestre posizionate in alto, aiuta le sensazioni anche visive a seconda dell’ora in cui si entra all’interno della sound installation. Ed ecco che l’interazione dinamica tra ambiente naturale e artificiale svolge un ruolo centrale, insieme alla sua simulazione.

Ph. © Biennale Musica
Love Numbers, un’installazione di Anthea Caddy e Marcin Pietruszewski

La sera, finalmente a Venezia, al Teatro delle Tese all’Arsenale,  è  in programma la performance più attesa della giornata di apertura, quella di Morton Subotnick, uno dei padri di una rivoluzione estetica prima ancora che tecnologica, tornato a Venezia dopo 60 anni. A 90 anni compiuti lo scorso aprile, Subotnick non ha ancora smesso di giocare con la musica e l’elettronica e a Biennale Musica presenta As I Live And Breathe, una delle sue ultime opere performative. Nel lontano 1963 aveva commissionato e sviluppato il primo sintetizzatore, il Buchla, dal nome del suo costruttore, Don Buchla. Come ha affermato lui stesso nella conferenza tenuta il giorno dopo lo spettacolo, si trattava di “un complesso groviglio di cavi, manopole e interruttori” che, per chi è abituato alla levità di un touchscreen di oggi, ha il sapore di fantascienza vintage. Il compositore è arrivato sul palcoscenico assieme all’artista visivo Lillevan per performare dal vivo in prima europea quello che considera essere il compimento della sua attività performativa in pubblico. As I Live And Breathe si apre con il suono del suo respiro, amplificato da un microfono, quindi un po’ per volta la musica e le immagini si sviluppano in lunghe frasi in continua trasformazione. Come in tutti i suoi lavori, anche e soprattutto in questo, il suono si rivolge al corpo, una metafora della sua intera vita, in musica. La musica di Subotnick non è musica elettronica, ma musica che lui fa con l’utilizzo dell’elettronica.

“L’elettronica costringe a pensare dall’inizio, da prima del suono. – spiega il compositore americano – È come il pittore che non ha il colore pronto ma lo ottiene mescolando diversi elementi: e questo, tornando alla musica elettronica, è il puro aspetto sonico. Poi c’è il gesto del dipingere, che io associo all’inviluppo, che investe il suono sotto molteplici parametri e aspetti. L’inviluppo è insieme ampiezza e timbro, in cui nessuno dei due “guida” l’altro”. 

Lillevan e Lillevan
Ph. © Biennale Musica

Quello che si è visto ed ascoltato nel suo lavoro è proprio questo, il risultato di un incastro di elementi che, amalgamati così bene,  offrono un prodotto unico e irripetibile. Attraverso la tecnologia l’artista diventa il direttore d’orchestra che assembla il tutto nello stesso momento per restituire un’emozione che è la sua ma che è in grado di diventare anche quella dell’altro, l’ascoltatore.

Ed ecco che Biennale Musica 2023 offre luoghi dove il pubblico può penetrare e che si disvelano lentamente. Composizioni che trovano ispirazione dai suoni e che valorizzano la terra di Venezia attraverso appunto i suoni. Lucia Ronchetti parla di” bellezza dell’era digitale” grazie ad artisti che, attraverso le loro ricerche, ci fanno ascoltare suoni che non ci sono più, lontani nel tempo. Lo spazio acustico diventa un elemento compositivo in cui nuovi incantesimi che rappresentano il nuovo orizzonte sonoro presente peraltro da oltre 50 anni sulla scena musicale.

L’ascolto del suono digitale, privo della visualizzazione delle sorgenti sonore e del contesto gestuale dell’esecuzione e della produzione, invita quindi alla pura percezione acustica per una rinnovata ontologia musicale, resa possibile dall’evoluzione delle tecnologie legate alla riproduzione e diffusione del suono nello spazio. Un mondo ancora tutto da scoprire.

www.labiennale.org

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