La recensione de Il Lago dei Cigni, ovvero il Canto, con coreografia e regia di Fabrizio Monteverde, in scena per una sera al Teatro Politeama di Genova
Mantenere le suggestioni del classicissimo Lago dei Cigni di Petipa/Ivanov su musiche di Cajkovskij non è cosa semplice. Ci hanno provato in molti coreografi e non tutti con ottimi risultati. Ebbene il lavoro del coreografo e regista Fabrizio Monteverde, maestro di uno stile energico e personale, è assolutamente un ottimo risultato che indubbiamente rimarrà nella storia delle coreografie sul Lago.
Il Lago dei cigni, ovvero il Canto, questo il titolo, è un balletto che ha debuttato otto anni fa, nel 2015, al Teatro di Ferrara e che ieri sera, mercoledì 8 novembre, è stato riproposto al Teatro Politeama di Genova in tutta la sua originale freschezza. Uno spettacolo nel quale balletto classico e danza contemporanea fondono con armonia e bellezza il teatro al racconto psicoanalitico. Non si può assolutamente parlare di “nuova versione” del Lago dei Cigni, ma piuttosto considerare la regia di Monteverde come un’originale rivisitazione del racconto Il canto del cigno del 1887 dello scrittore russo Anton Čechov .
Monteverde, esponente di una generazione di talenti esplosa negli anni Novanta, artista sensibile alle suggestioni letterarie e teatrali, affianca abilmente Čechov alla storia doppia di Odette/Odile. Il suo lago diventa dunque un labirinto, un tunnel senza via d’uscita dentro il quale sono travolti i ballerini, che come nella realtà, sono sempre tesi verso l’irragiungibile. La scelta di mettere delle maschere da vecchi ai danzatori ha un significato ben preciso. Quei corpi vecchi (solo in apparenza perchè la loro oggettiva agilità dimostra ben altro) riportano alla maliconia di forze perdute, alla tramontata bellezza, insomma al dolore di qualcosa che non tornerà più: la giovinezza. La decadenza scelta da Monteverde scaturisce da una narrazione armonica, fluida e malinconica, che però si rivela senza speranza di lieto fine, che infatti non ci sarà.
Il lavoro di Monteverde riporta un po’ quello di Mats Ek mischiato alla carnalità di Emma Dante, il cui risultato è un’opera struggente e poetica arricchita da tematiche esistenziali legate alla disperazione e allo sconforto di una vita che sta volgendo alla fine dopo essere stata dedicata completamente al teatro e all’arte. I quattordici ballerini del Balletto di Roma sono bravissimi, valore aggiunto all’eccellente prodotto di Monteverde che diversamente non sarebbe messo in risalto come merita.
Anche questa rivisitazione non può fare a meno di mettere in luce la lotta atavica tra il bene e il male, rappresentata da cigno bianco e cigno nero, ma è una battaglia più con se stessi. Difficile e dolorosa l’accettazione della vecchiaia, come espresso nella scena finale in cui Odette guardandosi allo specchio soffre per quell’immagine che gli rimanda e che tradisce l’ineluttabilità del passare del tempo.
Gli “stracci”, tanti e colorati, sono una componente scenica non trascurabile. Diventano essi stessi protagonisti indispensabili: spesso vengono lanciati in aria, spesso usati e nella scena finale formano un buco nero che assorbirà come una spirale i protagonisti maschili, coloro che hanno tradito. Il cigno bianco/Odette rimarrà sola esibendo una giovane fierezza, che si mostra nella nudità di un florido seno. La dolorosa battaglia con il proprio “io” si placa quindi col sacrificio degli altri lasciando spazio ad una donna che pur avendo perso l’amore, ora, amaramente, risplende in tutta la sua bellezza.
Il Lago dei Cigni, ovvero il Canto
8 NOVEMBRE 2023