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Al via il PhotoVogue Festival 2023, dedicato all’intelligenza artificiale. Le parole di Alessia Glaviano, Head of Global PhotoVogue

Alessia Glaviano. Courtesy PhotoVogue
Alessia Glaviano. Courtesy PhotoVogue

What Makes Us Human? è l’interrogativo che si pone l’ottava edizione del PhotoVogue Festival, «il primo festival di fotografia di moda consapevole incentrato sugli elementi in comune tra etica ed estetica», che accoglierà il pubblico dal 16 al 19 novembre 2023 a BASE Milano, con una serie di eventi gratuiti. Alessia Glaviano, Head of Global PhotoVogue, ci ha svelato quest’edizione nell’intervista qui sotto.

What Makes Us Human? Image In The Age Of A.I. è il titolo completo di PhotoVogue Festival 2023, che «si concentra sull’impatto dell’intelligenza artificiale sull’esistenza umana e la creazione di immagini», hanno anticipato gli organizzatori.

Questa sera alle ore 18.30 a BASE Milano la lectio magistralis del new media artist e designer Refik Anadol Creating A.I. Art with a Thinking Brush aprirà l’edizione e da domani, 16 novembre, si susseguiranno un simposio di tre giorni e una serie di mostre ed eventi, tutti a ingresso gratuito (potete trovare il programma completo qui).
«Il festival – hanno ricordato gli organizzatori – offre anche letture di portfolio e tavole rotonde online sulla piattaforma PhotoVogue (a cui potete accedere direttamente da qui), e da la possibilità agli studenti di CondéFuture – programma di Condé Nast rivolto a studenti delle scuole superiori – di esporre alcune delle proprie fotografie e video».

Il PhotoVogue Festival è un progetto diretto da Alessia Glaviano (Head of Global PhotoVogue) a cui collaborano Chiara Bardelli Nonino (Editor, Writer e Curator), Daniel Rodríguez Gordillo (Content Operations & Strategy Manager, Condé Nast), Caterina De Biasio (Visual Editor, PhotoVogue) e Francesca Marani (Senior Photo Editor, Vogue Italia).

@ PhotoVogue Festival 2023

Silvia Conta: Si apre questa sera l’ottava edizione del PhotoVogue Festival. Come è nato e come si è evoluto nel tempo?

Alessia Glaviano: «PhotoVogue Festival è nato con l’idea di voler creare un luogo fisico di incontro per la community mondiale di PhotoVogue, globale e numerosa, che si riunisce con la voglia di incontrarsi per discutere e approfondire temi legati alla contemporaneità, legati anche all’anima di Vogue.
Non si tratta solo di immagini e fotografie, ma il festival è anche un impegno sociale nel suo tentare di andare a fondo nei temi della contemporaneità. Ogni anno la manifestazione ruota attorno a un tema centrale, ad esempio, nella prima edizione abbiamo parlato di female gaze, siamo stati i primi a trattare questo tema. L’edizione dell’anno scorso era incentrata sulla decostruzione degli stereotipi, con “A Glitch in the System, deconstructing stereotypes”, ed era dedicata a Susan Sontag con le sue riflessioni sull’ubiquità delle immagini, oggi estremamente attuali.
Per l’edizione di quest’anno mi sembrava importante attivare una riflessione su ciò che potrebbe portare l’intelligenza artificiale nel campo della generazione delle immagini».

Refik Anadol, Quantum Memories, 2020, National Gallery of Victoria, Melbourne. Courtesy Refik Anadol Studio

SC: Possiamo dire che nel tempo l’aspetto del festival come spazio per la collettività si sia rafforzato nel corso delle edizioni?

AG: «Abbiamo continue riconferme: fin dalla prima edizione abbiamo visto partecipare ragazze e ragazzi da tutte le parti del mondo, felici di stare in uno spazio per loro sicuro, in cui sperimentare e discutere tra di loro. Oltre alla grande gioia di vedere tutto ciò, mi sembra molto importante – come dicevo poco fa – dare vita a momenti di approfondimento, perché oggi tutto si muove troppo in fretta e sono sempre poche le voci che cercano di andare a fondo nei concetti. Questo per me è il cuore del festival, è un discorso molto legato alla community, allo stare insieme, approfondire e imparare assieme».

Michael Christopher Brown, Cubans crossing the Florida Strait are rescued by the American Coast Guard @PhotoVogue

SC: In questo rientra anche il legame tra etica e estetica di cui Lei spesso parla?

AG: «Assolutamente sì, perché per me non esiste l’una senza l’altra. Ricordo le varie polemiche che un tempo si sviluppavano attorno al fotogiornalismo, come, ad esempio, in merito al lavoro di James Nachtwey, forse uno dei più grandi fotogiornalisti dei nostri tempi. Lui pone grande cura nel modo in cui rappresenta le tragedie umane, attraverso l’attenzione all’inquadratura, alla composizione e in tutta una serie di elementi che potrebbero fare pensare a un’estetizzazione del dolore altrui, ma non è così, perché nel suo caso si tratta di consapevolezza del mezzo e di scelta del modo in cui veicolare le storie. È una questione di rispetto che si pone nel raccontare le storie degli altri: la cura per il racconto si esprime nelle forme che assumono fotografia, video e le varie forme artistiche. Questo concetto si avvicina molto all’etica. 

Penso sia sempre importante cercare di legare le immagini a concetti più profondi: sono convinta che le immagini possano contribuire in modo determinante a cambiare lo sguardo delle persone, il loro modo di vedere, molto più di quanto possano influire le leggi e molto altro. Consideriamo, ad esempio, il problema della rappresentazione, che costituisce un aspetto fondamentale: esistono dei bias che sono il frutto di anni di disinformazione visiva, il loro peso nella rappresentazione è una questione di estrema attualità, è sotto i nostri occhi giornalmente: pensiamo ad esempio alla guerra in Israele oppure a come sia stata depredata l’Africa in termini di rappresentazione di sé.
Nel mio lavoro cerco di combattere costantemente i bias nella rappresentazione, anche se purtroppo non sempre ci si riesce, ma almeno si contribuisce con una goccia nel mare».

Photography by Filippo Venturi

SC: Veniamo all’intelligenza artificiale e al suo legame con la fotografia. Qual è a situazione?

AG: «Innanzitutto è necessario porre una grande distinzione tra la fotografia come documento e la fotografia legata all’arte e alla moda. Questo si riflette nell’impostazione che abbiamo dato al programma del festival di quest’anno, che nei tre giorni del simposio sull’intelligenza artificiale offre indagini relativamente distinte: due giorni sono dedicati perlopiù a questioni giornalistiche e fotogiornalistiche – come l’indice di veridicità, la foto come documento, gli aspetti legali, il copyright, i bias – e una giornata destinata in modo prevalente all’arte e alla fotografia di moda.
Ho utilizzato il termine distinzione perché la fotografia è un mezzo che viene usato in modo molto ampio: è un tramite per far arrivare un’idea, che viene condensata in un’immagine, quindi diventa fondamentale distinguere quando si parla solo di immaginazione o di documentazione. Nell’arte e nella fotografia di moda, infatti, l’aderenza alla realtà non è un requisito, il limite sono solo l’immaginazione e il buon gusto; oltre, ovviamente, alla trasparenza dei mezzi utilizzati. Il tema diventa molto più complesso nel caso della fotografia come documento: ci troviamo in un’epoca in cui si fa ormai fatica a credere a qualsiasi immagine e di fronte a ciascuna ci si chiede “sarà vera?”.
Oltre alla generazione di immagini direttamente con l’intelligenza artificiale, la situazione è resa ulteriormente intricata dal fatto che gli smartphone di nuova generazione, grazie all’intelligenza artificiale, siano dotati di strumenti sempre più sofisticati che permettono di fare in pochi istanti editing di tipo professionale che fino a poco tempo fa avrebbe richiesto molte ore di lavoro con Photoshop. Come è possibile, con queste premesse, credere alle immagini? Ad oggi le soluzioni purtroppo non esistono, perché si tratta di tecnologie che stanno crescendo in modo esponenziale, a cui è difficilissimo riuscire a dare dei giusti margini, anche dal punto di vista legislativo. Ci sono poi tutte le implicazioni tecniche, come ad esempio la carenza di metodi per poter decifrare se un’immagine sia stata ritoccata o meno.
A mio parere cercare di trattare il tema, informarsi, offrire approfondimenti è, allo stato attuale, l’unica possibilità per orientarsi e muoversi in questi grandi mutamenti.
Cerco di essere positiva e pensare che forse la currency contemporanea sia diventata la fiducia che è possibile porre in chi propone le immagini, sia nel caso di individui che per carriera e professionalità possano essere considerati credibili, sia, nei medesimi termini, per le organizzazioni».

SC: Può darci qualche suggerimento per seguire la densa edizione di quest’anno? 

AG: «Questa sera ci sarà la lectio magistralis di Refik Anadol, uno dei maggiori artisti contemporanei, che introdurrà il festival: è un’occasione unica per poterlo incontrare.
Per quanto concerne le tre giornate di programmazioni è naturalmente possibile seguire tutti gli eventi, le mostre mostre sono sempre aperte e tutte le proposte sono gratuite, ma, in linea di massima, una persona maggiormente interessata a visual literacy e giornalismo può concentrarsi sul programma di venerdì e sabato, mentre una persona più interessata alla moda e all’arte può optare per le proposte di domenica».

CarlijnJacobs, Fishbowl, Vogue Italia, 2021 @ Vogue Italia

SC: Quali sono gli obiettivi per il futuro di PhotoVogue?

AG: «La speranza è che sia sempre più florido: da due anni PhotoVogue è diventato una piattaforma globale di Condé Nast, quindi non è più solo un progetto legato all’edizione italiana, ma è presente su tutte le edizioni di Vogue. Si tratta di un passo molto importante che va sempre più nella direzione di poter dare voce a tanti talenti di aree del mondo sottorappresentate». 

@ Charles Traub

 

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