Nell’anno delle Biennali brasiliane ce n’è una che ha fatto storia nel Paese, e che quest’anno completa niente meno che 40 anni: è la Biennale SESC-Videobrasil. Abbiamo incontrato la direttrice, Solange Oliveira Farkas
Geração Coca-Cola è una delle prime canzoni incise dalla band Legião Urbana, capitanata da Renato Russo, nel 1985. A colpi di rock, il testo parla della generazione dei giovani cresciuti da queste parti negli anni ’70, sotto la dittatura e allo stesso tempo assistendo all’inizio dell’epoca della globalizzazione. Negli stessi anni, qualche migliaio di chilometri a nord, Keith Haring – a New York – dichiarava di essere “figlio della televisione”. A São Paulo, nel nuovo contesto fatto di “onde elettromagnetiche” e “avanguardie di massa”, nasceva così la prima edizione del Festival Videobrasil, ovvero un’esplorazione pionieristica di quello che era – all’epoca – l’utilizzo del medium più contemporaneo nelle arti contemporanee brasiliane.
Ideata nel 1983 da Solange Oliveira Farkas, che oggi ne è la direttrice artistica, Videobrasil nel corso delle decadi ha abbandonato l’esclusività della “proiezione” per includere nel suo display installazioni, pittura, fotografia, aprendosi a un sud globale di partecipazioni (America Latina, Africa, Medio Oriente, Sud Est Asiatico), ma anche a Europa e Stati Uniti, connettendo istituzioni, invitando curatori esterni, creando residenze e dialoghi, sviluppando – insomma – una vera e propria piattaforma che oggi funziona a tutte le latitudini.
Ma torniamo alle origini: Solange Oliveira Farkas organizza la prima edizione di Videobrasil nell’agosto dell’83, appunto, negli spazi del MIS (Museu da Imagem e do Som) dove resta fino al 1993, per poi passare sotto la tutela del SESC (che cosa sono i SESC ve lo racconteremo nella prossima puntata di Fala Brasil) e in breve la manifestazione si trasforma in una vetrina per i giovani artisti più sperimentali del Brasile: «Dovevo stare attenta a quale cammino scegliere – mi racconta la direttrice negli spazi dell’Associazione Videobrasil, a due passi dal SESC 24 de Maio, dove fino al prossimo 25 febbraio 2024 è corso la 22ma edizione – e non so spiegare esattamente quale sia stata la mia “metodologia”, ma direi che la parola esatta è stata “intuizione” quando si parla dello sviluppo di Videobrasil».
Gli artisti stranieri iniziarono ad arrivare negli anni ’90, quando Solange iniziò a cercare figure che, in qualche modo, avessero una affinità con il Brasile: «Cominciai a portare qui tutti gli artisti che non si vedevano da nessuna parte, in nessuna Biennale o manifestazione del mondo. Africa e Medio Oriente sono le terre a cui ho sempre guardato con maggiore attenzione, perché la brasilità è ovviamente permeata di queste influenze».
Così, con quale breve stop e qualche riassestamento, Videobrasil passa ad essere una manifestazione biennale all’inizio degli anni ’90, subendo conseguentemente una trasformazione radicale: dagli anni 2000 la caixa preta, ovvero l’ambiente cinema, abbandona la composizione delle varie edizioni di Videobrasil, proprio perché il video si espande, in dialogo con l’architettura.
E si espandono anche le partecipazioni, associando alla open-call (che continua ancora oggi è che per l’edizione 2023 ha ricevuto qualcosa come 2700 e passa iscrizioni) una serie di inviti ad artisti internazionali: William Kentridge, Isaac Julian, Nam June Paik, sono solo alcuni dei nomi che arrivano per la prima volta in Brasile grazie alla visione di Solange.
«Quello che però era necessario creare, a quel tempo, era una manifestazione che fosse anche un luogo di incentivo per la produzione artistica, uno spazio di scambio vero e proprio tra artisti e resto del mondo. Per questo sono nate le prime borse di residenza all’estero alla fine degli anni ’80, in un’epoca in cui ancora non esisteva nemmeno il termine “residenza”, figuriamoci un programma politico/culturale che aiutasse questa necessità. Così iniziai a creare una rete che – ancora oggi – è l’anima di Videobrasil, che permette uno scambio e una crescita dell’arte del Brasile nel mondo mentre l’arte del mondo arriva in Brasile», continua la direttrice.
La Biennale, insomma, quasi dal suo nascere, si è strutturata come una vera e propria piattaforma che funziona in forma permanente, e non solamente nell’organizzazione della mostra.
«Un’altra cosa che mi premeva fare era una educazione alla nostra cultura: il Brasile è un Paese con una diversità enorme, ma molto spesso quello che abbiamo appreso arriva esclusivamente dall’Europa e dagli Stati Uniti, e nemmeno ci vogliamo ricordare la nostra origine africana. Per questo ho insistito nel cercare di rompere questi paradigmi, guardando altrove, superando questo buio nei confronti di altre culture», ricorda Solange.
L’edizione 2023 di Videobrasil
E così, rivivendo momenti e partecipazioni, ecco che si arriva all’oggi, con l’edizione attuale dedicata proprio alla “memoria”, con un titolo che è un verso del poeta Waly Salomão, figura legata al movimento Tropicalista degli anni ’60, di cui la grande Gal Costa e il mitico Caetano Veloso furono gli esponenti più conosciuti: “A memória é uma ilha de edição”, La memoria è un’isola di editing.
«L’edizione 2021 è saltata perché tutti sappiamo cos’è successo, e quando la vita è ricominciata ci siamo accorti che il 2023 sarebbe stato l’anno dei 40: un compleanno del genere non può passare inosservato. Così la proposta curatoriale è ovviamente virata al tema della memoria, un grande cappello partendo dalla frase di Waly Salomão, che ha tutto a che vedere con la storia della manifestazione, ma senza nostalgie e individualismi: è una memoria storica, di produzione culturale e allo stesso tempo dell’anima».
E alla fine, chi ha partecipato a questo anniversario? Gli artisti sono circa una sessantina, selezionati da una serie di curatori esterni, la cui provenienza è maggioritaria dalle aree del “Sud Globale”, appunto, come nella tradizione di Videobrasil.
Raphael Fonseca e Renée Akitelek Mboya sono invece i due curatori ufficiali, invitati da Solange Farkas, che hanno messo in piedi questa edizione che comprende – tra molti altri nomi – tre grandi sculture “ibride” del libanese Ali Cherri, il grande mosaico Il salto di Adrian Paci, Soliloquio del collettivo indonesiano Tromarama il cui ambiente di luci da tavola che si accendono a intermittenza quando la parola #parentesco viene digitata su twitter ricorda le poetiche dell’arte relazionale, le immagini della serie Life-Style in cui Samuel Fosso gioca con la propria identità negli anni ’70 in Nigeria, pioniero del suo tempo, fino a Janaina Wagner – per noi il lavoro più poetico e completo di questa biennale -, realizzato a Rurópolis, città dello stato del Pará costruita negli anni ’70 per albergare i lavoratori della Transamazzonica, la strada mai completata che avrebbe dovuto trasformare, negli anni della dittatura, il Brasile dell’economia e delle comunicazioni.
Quebrante, questo il titolo del video, racconta di come la luna abbandoni la propria distanza con la terra e si riveli in una grotta della zona, la più ricca del Brasile in fatto di caverne, portando con sé anche le esperienze della comunità, al limite del magico e dell’incredibile. Vincitrice del Premio Videobrasil 2023, l’artista (nata a São Paulo nel 1989), passerà un periodo di residenza nel Centro Cultural do Cariri, a Crato, nello stato di Ceará, altra fucina del contemporaneo brasiliano, a una distanza quasi siderale dai “centri” paulista e carioca. D’altronde, per addentrarci ancora una volta nella memoria storica della manifestazione, è ancora una volta Solange Farkas a ricordare che «All’epoca delle prime esperienze di “studio” all’estero notavo che dopo due o tre mesi appena, fuori dal proprio contesto, gli artisti tornavano trasformati, “ampliati”. Era il cammino certo su cui proseguire».
Un cammino che ha funzionato, mantenendo Videobrasil – nonostante la sua lunga storia di successo – un luogo di ascolto, di scommesse e, in fondo, anche di rischio.