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I paesaggi di William Turner e l’anno senza estate

The Eruption of the Soufrière Mountains in the Island of St Vincent, 1815. Victoria Gallery and Museum, Liverpool
The Eruption of the Soufrière Mountains in the Island of St Vincent, 1815. Victoria Gallery and Museum, Liverpool
Non è un caso e nemmeno un’invenzione di William Turner, il cielo rosso dei suoi dipinti è esistito davvero.

«Dipingo quello che vedo, non quello che so», rispose William Turner al critico d’arte che gli rimproverava di aver raffigurato una nave senza gli oblò. E anche se la frase sembra contenere un substrato più profondo, forse legato all’immediatezza e alla spontaneità della pratica creativa, la possiamo leggere anche nel senso più letterale possibile. Cioè come se Turner non esercitasse effettivamente alcun pensiero critico (il che è oggettivamente falso, visto la sua pittura figurativa ma non certo mimetica) e si limitasse ad assumere un dato reale e a riportarlo sulla tela. Assumendo questa strana postura, lo possiamo allora immaginare mentre ogni giorno assorbe il mondo esterno senza farsi domande, registrando il dato e immortalandolo come opera d’arte. E trattando molto spesso paesaggi, potremmo addirittura a leggere i suoi dipinti come una sorta di previsione del meteo a posteriori, cartoline capaci di raccontare qualcosa di quei cieli anche a secoli di distanza.

Non a caso lo specialista in scienze atmosferiche dell’università di Atene, Christos Zerefos, una decina d’anni fa ha pubblicato su Chimica e fisica atmosferica un articolo dove utilizzava alcuni suoi dipinti per tracciare la storia dell’inquinamento atmosferico. Le quantità di rosso e di verde nei cieli dipinti all’epoca permettono infatti di calcolare lo spessore ottico dell’atmosfera, cioè la quantità di aerosol presente nell’atmosfera al momento in cui la tela è stata dipinta, e quindi dedurre quale fosse il grado di inquinamento a quel tempo. Ma non è l’unico dato in grado di fornirci. C’è almeno un’altra storia, sempre legata al cielo e alla terra, che può raccontarci.

Nel 1815 in Indonesia l’eruzione del vulcano Tambora fu la più potente dell’intero olocene, cioè degli ultimi 10 mila anni. La sua esplosione si sentì anche a 2 mila kilometri di distanza. Una tragedia per gli abitanti del luogo, con migliaia di morti sul momento e anche nei mesi successi, ma anche per il resto del mondo. L’immensa quantità di gas e cenere vulcanica che si accumulò nel cielo lentamente andò spostandosi, oscurando o comunque diminuendo la luce del sole anche in tutto il resto del globo. La temperatura scese di mezzo grado, avendo impatto sulle coltivazioni e generando l’ultima grande carestia nell’emisfero boreale. La mancanza del sole gettò la popolazione in un lungo e triste inverno, dove il tempo sembrava scorrere all’indietro, con il freddo ad aumentare più si andava verso l’estate.

Inoltre, l’evento ebbe un impatto anche sugli scenari che va ad interessare, modificando paesaggi e consuetudini date per scontato. Sulle Alpi nel 1816 (un anno dopo l’eruzione, il tempo per la polvere di muoversi) nevicò rosso, con i fiocchi intrisi di polvere vulcanica. Anche in Inghilterra il cielo era gonfio di questo colore inusuale, con l’azzurro che lasciò il posto a un rosso denso e polveroso. Come quello di…Turner. I paesaggi, tramonti, marine con colori spettacolari ma insoliti, rossi e violenti, non sarebbero frutto di fantasia e nemmeno un’interpretazione personale o protoimpressionista, ma effettivamente di quel che il pittore, nell’estate del 1816, osservava. D’altra parte, Turner l’ha sempre detto: «Dipingo quello che vedo, non quello che so».

High force, Fall of the Tees, Yorkshire, 1816
Sunset, 1816
Lancaster sands, 1816

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