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Il Sole allo Zenit #15: Lettere e filosofia

Luis Buñuel, Lettera manoscritta spedita dal Messico, 1981
In questa nuova puntata de Il sole allo Zenit si analizza un’altra storia dell’arte e della critica: quella passata attraverso la carta. Stavolta, però, non sono disegni, ma parole. In lettere d’affetto, di stima, di polemica e amicizia, dalle calligrafie di Longhi e Dalí, da Giorgio Morandi a Sandro Penna

C’è quel carteggio tra Roberto Longhi e Bernard Berenson così prezioso e ricco che sembra il pozzo di San Patrizio per l’infinita quantità di stimoli che si possono cogliere dal punto di vista umano e intellettuale. Era il 4 settembre 1912 quando Longhi scrisse per la prima volta la sua lettera d’introduzione al Berenson che segnò l’inizio di una guerra culturale che vide la riconciliazione solo a quarant’anni di distanza, con l’esperto dei Tatti ultra novantenne, dopo botte e risposte di cui rimangono celebri il “mai contraddire i tuoi juniors” del Berenson (che citava Oscar Wilde) o le varie frecciate Longhiane nei confronti dei valori tattili rivali. E pensare che la prima lettera iniziò così: “Signor Bernardo Berenson, comunque Voi dobbiate accogliere questa lunghissima confessione, io la rivolgo a Voi con spensierata fiducia” per poi così chiudere: “qualunque abbia ad essere la Vostra risposta, essa resterà con me per la vita. Perché Vi dobbiamo molto”.
Ammirevole è anche la descrizione di un presunto dipinto del Cariani in possesso del Longhi del quale descrive i colori: “piviale del vescovo in granata chiarissimo con damascature di granata più scuro; veste della Vergine arancione, mantello verde scuro con rovescio giallone; la Santa Caterina è in granata con mantello verde foncé”. Che precisione, vien proprio da dire, che le 5.000 Lire richieste per l’opera in questione sarebbero da sborsare solo per le sue parole. La loro coltissima sfida toccò una delle sue vette più alte in una memorietta polemica del Berenson sul Caravaggio con un trattato finito di stampare il 13 dicembre 1950, quando la mostra sul Merisi curata dal Longhi a Palazzo Reale era già in programmazione e avrebbe inaugurato di lì a settimane. Il Berenson nel suo “libretto gobbo e dispettoso”, come lo definì il Longhi, si lagnò spesso e in molteplici direzioni. Più volte rimarcò di non capire dove si trovava all’interno dei quadri Caravaggeschi per la mancata contestualizzazione tipica e segnalò le smorfie esagerate del ragazzo incongruo che faceva da Cristo nella Cena in Emmaus, raffigurato giovane per “épater le bourgeois”. Ma non continuiamo in modo monotematico, che non è questa la rubrica.
D’altro tono senz’altro è il carteggio di Dalì con Picasso, con cartoline, bigliettini e messaggi che il primo spedì al secondo senza ottenere mai risposta o seguito. Emerge sì un po’ di disperazione da parte dell’allievo che non è riuscito a rapire l’attenzione del primo Maestro spagnolo, ma serviva anche un divertentissimo animo per scrivere frasi come “in luglio né donne né lumache, un bacio sull’orecchio mio caro Picasso” e “passeremo verso il 12 forse e ci dovremo abbracciare. Un bacio sulla guancia, Dalì” in una cartolina che al recto presentava l’immagine in un’arena di un matador a piena pagina.
Di tutt’altro spirito ancora risulta invece il carteggio che segnava la grande amicizia di Luigi Magnani con Giorgio Morandi, grazie alla quale risulta oggi possibile ammirare la sua splendida Fondazione e una cinquantina delle sue magnifiche opere. E tra cordialità, ossequi e formalità d’altri tempi, emerge chiaramente un frequente scambio di cartoline, capponi e uve termarine che ogni tanto arrivavano in via Fondazza, nel centro di Bologna. Dolce era l’uva e le sue lettere pure: “Caro Magnani, ho ricevuto il santino che mi ha inviato in memoria del suo caro Babbo. La ringrazio anche a nome delle mie sorelle e Le invio il mio più affettuoso saluto. Ci ricordi alla Sua gentile Mamma. Il suo aff.mo Giorgio Morandi”.

Mamma Cecilia, Lettera manoscritta inviata al figlio Umberto Boccioni, 1916

Restiamo in ambito materno. Che dire della dolcezza di Mamma Cecilia, donna semplice e all’antica, con il fisico largo da donna di paese, che dimostrava più dei suoi anni e che tenne in grembo un miracolo dell’arte del secolo scorso? Umberto Boccioni era l’amato figlio, al quale scrisse diverse lettere amorevoli che per fortuna sono consultabili. In una maledetta nota, inimitabile per premonizione, gli ricorda di stare attento ai cavalli e di non essere imprudente quando cavalca, “perché lui meglio di lei sapeva che le bestie sanno essere capricciose”. E lo bacia lungamente con tutto il suo tenero affetto firmandosi “tua mamma” giusto pochi giorni prima di quella caduta che pose fine alla vita dell’artista. Esisterà mai sventura maggiore?
Cambiamo tono. Una lettera di August Rodin fa sapere che lo scultore finalmente si concede a una visitatrice che potrà recarsi nel suo studio. Lui, ormai famoso e riconosciuto, le offre appuntamento in atelier mercoledì o un altro giorno ma per solo mezz’ora, che poi avrebbe continuato a lavorare alla sua scultura. Una missiva di Luis Buñuel, spedita dal Messico nel 1981, rivela invece un cortometraggio previsto con Man Ray dal semplice soggetto ma che non venne realizzato perché mancava il denaro (n’etait pas facile d’avoir l’argent), e per tutti noi è un gran peccato.

August Rodin, Lettera manoscritta, 24 agosto 1908
Sandro Penna, Lettere manoscritta inviata alla Casa Editrice Vallecchi, 8 luglio 1954

Anche Paul Klee ha lasciato un interessante carteggio grazie alla corrispondenza che tenne proprio dal suo italianissimo viaggio con Mademoiselle Lily Stumpf. Siamo tra il 22 ottobre 1901 e il 2 maggio dell’anno successivo e Lily è la pianista che in seguito diventerà sua moglie e alla quale dedica più di una riflessione. Il 27 novembre, ad esempio, chiosa in questa maniera: “così è la vita. Quando si ha quanto si desidera in fatto d’arte, si ha fame di natura. Vorrei che fosse primavera, correrei subito in riva al mare”. Mentre il mese prima aveva iniziato a scrivere al mattino presto, considerando che “fuori dardeggiava un sole luminosissimo”, ma lui si era preso tempo per scriverle ancora un po’ di cose e “quanto più s’impara e quante più cose si accoglie in sé, tanto più preziosa – certamente – diviene la vita”. Paul viaggia tra Genova e Roma, Milano e Firenze, e tra dichiarazioni e dolcezze (“quanto vorrei stringerti tra le mie braccia, è la cosa migliore ch’io possa fare al mondo”) se ne ritorna dalla sua bella quando “tutto è in fiore: primavera piena e autentica. Colpisce in particolare la freschezza del verde. A casa un desinare semplice e un buon letto. Due gatte stupende: Mizchen coi piccoli, Mizi in dolce attesa. Fine del mio soggiorno”. Ma si potrebbe iniziare un altro viaggio. Quello di Federico Zeri ad esempio, con le mille lettere scritte all’editore Einaudi, con il quale iniziò a collaborare nel 1955 come autore di Pittura e Controriforma che uscirà in un paio d’anni. Montagne di lettere, ingombranti e imperiose, con quesiti incombenti sui quali il professore affaticava occhio e cervello, scritte con l’Olivetti Lettera 22 (ad eccezione di due) con i caratteri grevi e il nastro logoro. Del resto Zeri stentava a trovare un interlocutore, che non avrà tanto in Giulio Einaudi quanto in Giulio Bollati. A lui Zeri non mancò di dire che “in Italia la storia dell’Arte, salvo casi singolarissimi, è caduta in mano a venditori di fumo”. Conviene non commentare e lasciare cadere la Penna, con una lettera proprio di Sandro, inviata alla Casa Editrice Vallecchi l’8 luglio del 1954, che ringrazia Carlo e Enrico per il bene che seguitano a dimostragli e si lamenta di una forma d’asma che gli impedisce di lavorare, augurandosi che il caldo in arrivo gli faccia bene. Perchè dopo tutto:

È bello lavorare
nel buio di una stanza
con la testa in vacanza
lungo un azzurro mare

Sandro Penna

Sandro Penna, È bello lavorare, tratto da “Tutte le poesie”, Garzanti Editore 1957
Sandro Penna, È bello lavorare, tratto da “Tutte le poesie”, Garzanti Editore 1957

Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano), curatore (Settantaventidue, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle. IG: nicolamafessoni

 

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