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La rabbia delle donne in Sonoma di Morau

© Alfred Mauve La Veronal
© Alfred Mauve La Veronal

Folto pubblico al Teatro della Tosse di Genova il 2 e 3 dicembre per lo spettacolo Sonoma della compagnia di danza contemporanea La Veronal creata nel 2005 dal coreografo Marcos Morau

Una compagnia che si trova sulla cresta dell’onda da quasi 20 anni. Questo perchè le sue numerose produzioni sono grandiose a livello di elementi scenici, costumi, collaborazioni e cast. I principali teatri e festival dentro e fuori l’Europa, certi di un sicuro successo, fanno la coda per avere come ospiti i componenti scelti da Morau che sono una squadra invincibile formata non solo da danzatori, ma da artisti provenienti dai campi della fotografia, della musica, della scrittura teatrale e del design.

Marcos stesso non nasce danzatore, né coreografo, né performer, arriva anzi da studi sulla fotografia ai quali ha integrato solo in un secondo momento un percorso di studi di coreografia e teatro. Ma è il movimento che ha scelto per esprimere al meglio il suo pensiero e le sue idee, per questo è il linguaggio della danza la principale chiave del successo della sua compagnia. Complessi e virtuosi  sono i movimenti dei danzatori, che in scena danzano coreografie complessissime fatte di incastri di corpi, cambi repentini di velocità, architetture di braccia e di gambe, passi estremamente tecnici eseguiti alla perfezione.

La danza più che un fine è un mezzo attraverso cui Morau instaura un rapporto di fiducia e di scambio reciproco: l’inteprete è chiamato a dare un grande apporto personale alla realizzazione del lavoro e in questo ci riporta un po’ al lavoro di Pina Bausch. Naturalmente la cura dell’immagine non è secondaria alla danza, grande è l’attenzione posta nella creazione del set, nello studio sulla luce, nella cura impeccabile del dettaglio, elementi che in scena assumono una grossa importanza nella comunicazione dell’immaginario dello spettacolo. 

Sonoma è uno spettacolo in cui l’ambientazione onirica e il gusto del lavoro dovrebbero rimandare al cinema di Luis Bunuel, su una linea di continuità con il precedente Le Surréalisme au service de la révolution. Bunuel è ancora un punto di riferimento per Morau, in quanto ci sono vari punti in comune fra i due a livello biografico, come il fatto di provenire da piccoli paesi pieni di tradizioni e di folklore. Le nove danzatrici in scena danzano e recitano (in francese) testi che fanno riemergere racconti antichi, religioni, usi e costumi del passato, ma soprattutto sono in perenne lotta con il mondo. La percezione che ha lo spettatore è di vedere una celebrazione del ruolo che la figura femminile ha avuto nei secoli, celebrazione che parte sommessa e che esplode nella scena finale.

© Anna Fàbrega Sonoma

Donne guerriere, ma anche streghe, donne che rinnegano la matenità prendendo in giro l’unica di loro che invece la vorrebbe. Donne come un fiume in piena di energie diverse, non tutte sane non tutte buone. Donne aliene, angeliche e luciferine, prima amazzoni, poi educande in candidi vestiti bianchi vittoriani, e ancora idoli sacri con i copricapi di gigli bianchi, come delle madonne in processione. Ed è proprio con questa scena irradiata da una bianca e sparatissima luce che apre sulle vestali in bianco che Morau avrebbe potuto (o meglio dovuto) chiudere il suo spettacolo, una scena che rappresentava una catarsi del tutto. Ed invece ha voluto calcare la mano chiudendo, dopo un’ora e venti (di cui venti di troppo) con l’aggiunta di un finale a scoppio: l’entrata prorompente delle nove protagoniste che percuotono con foga grossi tamburi diventando qualcosa di bestiale. Peccato. Questo tipo di rivalsa giunge stonata, non è con la rabbia che si arriva alla pace, nè con la voglia di vendetta e prevalicazione. Meglio un canto serafico e gigli bianchi per far alzare il pubblico in serenità e non in angoscia.

Ma Sonoma non è altro che lo specchio del mondo di oggi, dei sentimenti che purtroppo viviamo tutti al momento. Guerra e odio sono tornati dentro l’uomo che esteriora il suo disagio creando altro disagio. Il surrealismo di Bunel viene fuori in pochissimi momenti, quando entra in scena un uomo altissimo senza testa e quando entrano due danzatrici con grosse teste di vecchi in cartapesta. Il resto ha più un rimando al teatro di Emma Dante, senza però quella delicatezza, sensibilità e malinconia della regista siciliana.

Sonoma è uno spettacolo ricco, barocco, colmo ed opulento, in cui la cosa più apprezzabile è sicuramente la qualità delle danzatrici che sarebbe meglio definire “danzattrici”.

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