L’opera è ispirata a Édith Piaf, cantautrice simbolo del Novecento francese, a 60 anni dalla sua scomparsa. È in replica ancora giovedì 21 dicembre al Carlo Felice di Genova
Nonostante lo sciopero indetto dalla sigla sindacale Snater che conta molti iscritti nel coro, domenica 17 dicembre alle ore 15, è ugualmente andata in scena al Carlo Felice di Genova la prima assoluta di ‘Édith’, opera in un prologo e due atti di Maurizio Fabrizio su libretto di Guido Morra
Édith racconta la vicenda reale, la storia d’amore di Edith Piaf e del pugile Marcel Cerdan, finita con la morte di lui in un incidente aereo. Per questo forse sarebbe suonato meglio il titolo “Édith e Cerdan”. La storia di un amore clandestino, in cui “la vita è come un ring”. Un duro combattimento sia per il “passerotto” che per il “bombardiere”, come venivano definiti dai loro fan.
Il ring infatti è lo scenario predominante in tutta l’opera di Fabrizio, una sorta di slow motion che rappresenta un parallelo introspettivo, molto diverso da quanto visto fino ad oggi e che affascina per la novità. Il primo atto è dominato dalle arie di Cerdan che comprendevano anche la compagnia corale, ma purtroppo la sera della prima per via dello sciopero il coro era in forma ridotta il che ha senza dubbio reso la scena meno forte e meno efficace. Ha funzionato senz’altro di più il secondo atto col secondo match, quello che Cedran combatterà sino al 10° round con Jake La Motta. Un mach che ha fatto la storia del pugilato e che la regia ha voluto proporre su due grossi schermi che scendono sul palco. Interessante sicuramente rivivere il vero mach del ’48, ma il pubblico fa fatica a seguire i cantanti con la distrazione dei video. L’opera continua con l’attesa di Édith a teatro, un’attesa senza riscontro. Alla Piaf arriverà solo la cattiva notizia al posto dell’amato. Ma è nel tragico epilogo che la protagonista affronta un’ultima battaglia sorretta dalla scrittura musicale in cui archi ed ottoni si incontrano e scontrano come le forze del bene e del male.
La partitura di Fabrizio è stata in primis una scommessa per lui, come ha detto alla presentazione, del resto quante sono state le opere nuove che hanno avuto un immediato successo anche ai tempi d’oro della lirica? Pochissime, al contrario Fabrizio si può certamente considerare fortunato per il successo ottenuto alla prima dimostrato dai lunghi applausi ricevuti. Édith è appunto da considerare un’opera nuova e nel suo caso anche un’opera prima. Sicuramente, se ne seguiranno altre, il compositore saprà fare tesoro di qualche imperfezione o mancanza. Lo sviluppo armonico non è cosa semplice per chi ha sempre scritto musica per cinque o sette minuti al massimo. Fabrizio in questo suo lavoro si è senz’altro messo a nudo con umiltà, ripercorrendo il trascorso della tradizione tonale. Ha fatto benissimo. Se si sono spesso sentite note che rimandano a Puccini tanto nel primo che nel secondo atto, si può solo parlare di valore aggiunto più che di penalizzazione. Fabrizio ha puntato tutto sui duetti amorosi in cui è indiscutibilmente abilissimo chiudendo alla grande con l’assolo finale di Édith: in quelle note vi è tutto l’amore che sprofonda nell’abisso come è accaduto all’aereo di Cedran inghiottito dall’oceano.
E ora arriviamo a lei, la grande protagonista, Édith, alias Salome Jicia, splendida sul piano vocale e scenico. La sua Édith rispecchiava perfettamente il carattere della cantante francese scomparsa , passionale, viva, tragica, ma forte. Il soprano georgiano lo dimostra da subito il suo talento, che esplode alla fine quando secondo la dura legge di “the show must go on” decide di cantare ugualmente malgrado il suo dolore. Il suo è un invito ad accettare ciò che succede nella vita, sempre. E questo è forse il messaggio di tutta l’opera di Maurizio Fabrizio.
Accanto a lei nel ruolo di Cerdan il tenore Francesco Pio Galasso, mentre in quello di La Motta c’è il bravissimo basso Claudio Sgura. Buono il resto del cast da Blagoj Nacoski a Giovanni Battista Parodi, Alen Sautier, Valentina Coletti, Manuel Pierattelli e Marco Camastra. Puntuale la direzione di Donato Renzetti.
Un plauso al lavoro delle studentesse dell’Accademia Ligustica a cui era affidato l’aspetto visivo. Zoe Amato, Cecilia Danesi, Sara Guzzardi, Gaia Macassaro, Beatrice Napoli, Ilaria Romano, Natalia Sacco e Olimpia Cecilia Tonini coordinate da Elisabetta Courir (regia), da Francesca Marsella (allestimento scenico), da Angelo Boriolo (video) da Luciano Novelli (luci) hanno puntato su una scena spoglia con un piano inclinato che si trasforma in ring garantendo una lettura pulita, intensa nella resa psicologica dei vari protagonisti. Un lavoro di pregio che senz’altro andrà a curriculum delle studentesse, ma che sarebbe stato anche opportuno fosse retribuito considerato l’impegno e le ore di lavoro dedicate, ma questo è un tasto dolente del mondo del lavoro di oggi, più che mai in quello artistico.
Replica ancora giovedì 21 dicembre alle ore 21.