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Intervista a Vittoria Gerardi: velare, svelare, rivelare

Vittoria Gerardi

Ti va di andare in camera oscura così mi fai vedere un po’ a cosa stai lavorando?

Certo, vieni. Qui vedi un po’ del materiale che sto utilizzando per Latenze, un lavoro con vegetali e carta fotografica dove sostituisco il negativo dell’immagine catturata con con elementi botanici. La foglia crea una trama sulla carta facendo emergere tutte le venature e dettagli che spesso si perdono con l’uso dell’obiettivo, per quanto molto dipenda dalle lenti, finché muore perché subisce un processo organico di deperimento, si secca e infine si oscura. Utilizzo frammenti di foglie giovani creando delle maschere con l’idea di generare paesaggi immaginari, li rivelo con lo sviluppo fotografico ma non fisso la carta, quindi lascio che la carta subisca un processo di continua metamorfosi attraverso la luce. L’idea è un po’ quella di creare delle fotografie di luce attraverso la luce stessa, che diventa un elemento di percezione e non meramente strumentale per la creazione dell’immagine per come è concepita la fotografia tradizionalmente.

2020, Latenza, A48, 59x49cm, carta ai sali d’argento, sviluppo fotografico, cera, argilla, resina, fili d’erba. Courtesy Bigaignon

In qualche modo sposti il ruolo e la funzione della luce stessa, rimane l’idea della foto-grafia ma spostando il punto di intervento della luce sulla carta.

Esatto, in questo modo rompe un po’ il paradosso di creare un’immagine bloccata in modo permanente nello spazio e nel tempo. Non solo cambia la funzione della luce ma anche dei chimici, che vengono utilizzati come costruttori piuttosto che rivelatori di immagini.

Tu cerchi un’immagine che deperisca nel tempo, tra alcuni anni l’immagine è destinata a scomparire dalla carta stessa.

Sì, si scurirà e in una certa misura l’immagine deperirà anche, è un processo di metamorfosi e per tanto come comincia, finisce. È una dinamica ciclica perché inizia e muore ma nessuno potrà negare che questo materiale, arrivato alla fine di questo suo ciclo, diventi qualcos’altro iniziando un nuovo processo di metamorfosi.

2021, Latenza, Forme di resilienza, 100x30cm, carta ai sali d’argento, sviluppo fotografico, cera, argilla, resina, fili d’erba. Courtesy Bigaignon

Non snaturando la natura del vegetale, scusami il gioco di parole: il vegetale è destinato a deperire e la foglia a seccare e, pur trasformandola e spostandola su carta, non alteri il suo organico ciclo vitale.

Sì, è in perfetta analogia anche perché la funzione delle foglie in natura è di assorbimento: assorbono la luce e da questa traggono nutrimento, e qui lo vestono, perché le carte vanno da un giallo a un rosa a un lilla e a un blu, a seconda di dove si trovino nel processo di ossidazione, e quanto è più intensa è l’esposizione, più il cambiamento avviene rapidamente. Il fatto di non fissare la carta permette di aprire uno spazio latente che si chiude con la fine del processo di ossidazione dell’argento. Poi, siccome il cambiamento è molto rapido, ho creato delle cornici-coperture che permettono di controllare la metamorfosi e il cambiamento del colore della carta.

E da dove sei partita per arrivare a Latenze?

In camera oscura, nei vari processi di rivelazione delle immagini ho iniziato a notare tutte queste immagini latenti, scatti che erano stati impressi ma non rivelati. Quando sei in camera oscura succede spesso che stampi ma alcune fotografie non le butti nei chimici perché magari hai sbagliato esposizione, e le lasci là. Quindi per rispondere ho iniziato così, a furia di vedere carte non rivelate, immagini che rimanevano in qualche modo nascoste nella carta fotografica, in attesa di.

2021, Pompeii, Mito di Dioniso, 20x16cm ciascuna, composizione di stampe ai sali d’argento, gesso. Courtesy Mc2gallery

In attesa di scoprirsi o di essere scoperte.

La funzione della fotografia è storicamente stato quello di eliminare questa latenza, ridurre l’attesa per andare più veloci fino a raggiungere la fotografia istantanea, che scatti e ce l’hai pronta, scatti e la vedi subito.

La tua mi sembra quasi una fotografia lenta.

Sì, tutta questa velocità porta ad una mancanza di osservazione. Poi io in realtà quando lavoro non ho un programma né nelle ricerche né nei materiali: ho come fondamento la fotografia perché ci sono particolarmente legata, ho iniziato con quella, è una sorta di estensione di me e vuoi e non vuoi me la porto sempre dentro. Per il resto dipende da quello che incontro, ogni ricerca alla fine inizia un po’ per caso.

Quanto poco ti ci vedi a scattare in digitale?

Mai (ridacchia), non è proprio parte di me. Capire la propria natura è essenziale perché uno fa anche per liberarsi, ed è importante farlo nel modo più consono alla propria natura. Il digitale per me è repellente, lo uso per cose pratiche di archiviazione, ma mai per creare forme. Non lo voglio mettere in dubbio o a confronto con l’analogico, è che per me proprio non c’è attrazione.

Quando hai iniziato a scattare?

Verso i 17 anni, sono nata in un tempo che era già digitale, ma ho sempre amato la materia, come anche la banalità dell’album da sfogliare, ma per quanto la fotografia sia intangibile amo il fatto che possa avere un suo peso materico.

2019, Pompeii, Foro triangolare, 34x42cm, stampa ai sali d’argento, gesso. Courtesy Bigaignon

Parlando di materia, se non ricordo male aggiungi componenti materiche alle fotografie di Pompei.

Sì, uso il gesso non tanto per svelare, com’è stato parte del processo archeologico di riportare alla luce, quindi svelare, tutto ciò che per tempo è rimasto nascosto, ma per velare una realtà che è stata rivelata come Pompei, in una sorta di processo inverso. Mi spiego meglio: se ci pensi, l’immagine che abbiamo ora di Pompei è un’immagine rivelata, riportata alla luce, ma che non corrisponde a ciò che era Pompei in antichità, vediamo solo parzialmente ciò che era e il resto dobbiamo immaginarlo, quindi non è un’immagine che ci riporta fino in fondo alla realtà. Lo stesso discorso per me riguarda la fotografia: è e rimane sempre un’immagine illusoria, non potrà mai donarti una realtà o una verità.

Non ho mai pensato prima d’ora alla relazione tra il velare, lo svelare e il rivelare, e a come i prefissi non corrispondano a un diretto allontanamento o ripetizione dell’azione prima, o anche al significato di queste parole dentro e fuori la fotografia.

Sì, è molto bello il loro incastro. E che poi, è affascinante come ci sia una Pompei sotto ogni cosa.

Il lavoro di Vittoria Gerardi è stato ampiamente apprezzato da collezionisti privati e istituzioni pubbliche, tra cui il museo Marta Herford in Germania ha tenuto un’importante mostra nel 2021 che mostra una vasta selezione di opere delle sue prime due serie. Nata a Venezia nel 1996, Vittoria ha studiato a New York e Londra, vive tra Parigi e Padova, ed è rappresentata dalle gallerie Bigaignon, (Parigi) e mc2gallery (Milano/Montenegro).

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