Fondato nel 2020, MT Projetos de Arte è una anomalia nel tessuto brasiliano (e non solo) dell’arte contemporanea: non si tratta, infatti, né di una galleria, né di uno spazio indipendente, né tantomeno di un no-profit. Eppure, il progetto, produce, vende e amplia il suo successo: ne abbiamo con parlato la fondatrice, Margareth Telles, e con Léo Pedrosa
La sede di MT Projetos de Arte, oggi nel cuore del centro storico di Rio de Janeiro, al lato del Paço Imperial – nell’ambiente che per diversi anni ospitò la galleria Progetti di Paola Colacurcio e Niccolò Sprovieri, che portarono per la prima volta Kounellis in Brasile, nel 2008 – è una vetrina attraverso la quale scoprire un intenso lavoro di promozione, produzione e supporto di alcuni artisti. “Alcuni”, probabilmente, è già una parola che definisce una moltitudine troppo grande visto che Margareth e Léo – insieme ad un gruppo di collezionisti, negli ultimi tre anni si sono occupati principalmente di tre personalità: Heitor dos Prazeres, Gervane de Paula e JOTA, a cui si aggiungono la mostra “Podre de Chico” di Adir Sodré (1962-2020) e la collaborazione con il giovane Rafael Mateus Moreira (1996), seguendo la volontà di promuovere artisti black di diverse generazioni.
Heitor dos Prazeres (1898 – 1966) compositore, cantante e pittore per lunghissimo tempo occultato dietro l’etichetta di naïf, non solo ha avuto una retrospettiva al Centro Cultural Banco do Brasil, terminata lo scorso settembre, ma è anche tra i protagonisti di “Dos Brasis” e della mostra dedicata alla nascita del Samba all’Instituto Moreira Salles a San Paolo; Gervane de Paula (1961) è dello stato di Minas Gerais, e pur lavorando da oltre trent’anni con una pittura spigolosa e poetica, ironicamente tragica, che indaga la relazione bianco-nero nell’universo sociale brasiliano, non ha mai avuto alcuna rappresentazione in galleria; infine, JOTA (2000), astro sbocciato negli ultimi due anni e che – con i suoi 23 anni appena compiuti – è stato segnalato dal New York Times come il capofila, “artista rivelazione”, di quel gruppo – oggi numerosissimo – di giovani pittori brasiliani che ritraggono la loro vita nelle comunità. Il “Candido Portinari del Chapadão” come JOTA è stato definito da O Globo, è l’artista di punta di MT Projetos e a Rio è in mostra anche in “FUNK”, al MAR, e a sua volta in “Dos Brasis” a Sampa.
Ma cosa significa avere uno spazio per l’arte che non è una galleria e che ha scelto di investire sulla promozione di pochi artisti, dedicando lo spazio di Travessa do Comércio interamente, e a tempo indeterminato, a Gervane e a JOTA?
«MT Projetos è nata nella necessità, reale, di aiutare gli artisti che molto spesso arrivavano a chiedere un piccolo aiuto per fare un libro, per fare una mostra o semplicemente per continuare a fare gli artisti. Anche io arrivo da una zona completamente deserta in fatto di musei, la baixada fluminense, ma ho avuto la fortuna di lavorare per anni e anni al fianco di un collezionista che ha cambiato il mio modo di intendere l’arte. Così, dopo aver vagato alla ricerca di ispirazioni per Europa e Stati Uniti, nel 2020 sono tornata a Rio e ho aperto la prima sede di MT davanti al MAM, e ho organizzato una mostra dedicata agli storici colleghi di Hélio Oiticica: siamo riusciti a vendere opere, nonostante la pandemia, e ho pensato che questo modello avrebbe potuto funzionare», mi risponde Margareth, che insiste sul fatto che – per ora – la scuderia deve essere ridotta al minimo per dare agli artisti scelti il massimo delle attenzioni: «Il mio obiettivo è collocare i tre in un altro livello, un livello alto. Quando avrò raggiunto questo traguardo allora potremmo allargare il cerchio».
L’obiettivo di Margareth, a più riprese, in questi tre anni di attività ha centrato il bersaglio: Heitor dos Prazeres ha avuto la retrospettiva al CCBB, appunto, e ad aprile 2024 Gervane avrà la sua personale alla Pinacoteca di San Paolo, mentre JOTA è il più conteso sul mercato, richiesto da pop-star e collezionisti disposti a tutto pur di avere una sua pittura.
Rispetto ad una definizione ufficiale di MT Projetos, vista la confusione che potrebbe generarsi con l’aspetto dello spazio identico ad una galleria ci viene in aiuto Léo, che dichiara: «Io direi che si tratta di una piattaforma di collezionismo attivista», ricordando che il “team” di sostegno di MT Projetos è composto da circa 40 professionisti, mentre Margareth incalza: «Mi piace definirmi una attivatrice, una provocatrice, che lavora alle basi del sistema».
La domanda che sorge spontanea, ovviamente, è come si comincia un investimento di questo tipo, specialmente in relazione al sostegno degli artisti, e la risposta dei fondatori di MT è, per certi versi, inaspettata: «Noi vendiamo 4 o 5 opere per incamminare il progetto. Metà della cifra ricavata va all’artista e l’altra metà va per le spese vive della sua “formazione” e produzione, dai viaggi ai materiali per produrre opere». Insomma, avete capito bene, tutto il denaro ricavato dalle vendite viene devoluto all’artista come “fondo annuale”, il che permette di creare una rilassata struttura di lavoro e anche mentale.
E se in tanti sono perplessi, specialmente perché il progetto è esploso in pochissimo tempo e verso JOTA vi è stata un’attenzione della stampa completamente inaspettata, Margareth afferma: «Quello che guadagnerò io, con MT Projetos de Arte, probabilmente sarà a lunghissimo termine. Però sappiamo che stiamo percorrendo una strada che fa leva a una mancanza del sistema, entrando nel circuito utilizzando un’altra porta, perché contrariamente a quei collezionisti che comprano opere di giovani artisti in blocco, aprendo il loro spazio e mostrano la loro collezione, noi vogliamo far crescere davvero gli artisti in cui crediamo oggi, e quelli sui quali punteremo domani».
Ma c’è un altro aspetto, fondamentale, in questo sostegno: è quello che gli MT Projetos chiamano “mecenatismo di inclusività”; per capire il concetto bisogna ripercorrere un poco la traiettoria di JOTA, “formatosi” come muratore che voleva fare il tatuatore, scoperto attraverso instagram da un primo collezionista che gli comprò per pochi spiccioli un primo quadro. É a questo punto che Margareth entra in gioco, ponendosi come pigmalione del giovane pittore che, dopo essere stato presentato ad ArtRio nel 2021, ha avuto una personale nella sede Ateliê di MT nel quartiere Lapa (oggi chiusa), a cura di Pablo Léon de la Barra, curator at large Latin America al Guggenheim di New York, spiccando il volo.
«Abbiamo investito in JOTA aiutandolo a crescere nel lavoro, promuovendo la sua pittura realista che ha a che fare con la sua vita nel Complexo do Chapadão, la comunità dove ancora abita, dandogli una possibilità per allontanarsi dal razzismo strutturale che esiste nei confronti delle comunità afro-discendenti delle favelas, specialmente nella città di Rio de Janeiro», spiegano Margareth e Léo.
E per mettere nero su bianco l’identità di JOTA anche al Chapadão, dove l’arte visiva e per di più contemporanea non era mai arrivata, è nato anche il Muro da Paz, un vero e proprio murale a raccontare la vita della comunità, realizzato da Johny Alexandre Gomes (vero nome di JOTA) con altri giovani artisti della zona: una ulteriore responsabilità per l’artista che ora ha iniziato anche a offrire lezioni di pittura ai più piccoli della zona.
Un sogno di riscatto che non vuole seguire le leggi del mercato scritte da altri: «Voglio utilizzare le mie forze per dare visibilità a figure che il mondo ufficiale dell’arte avrebbe continuato a ignorare o a lasciare ai margini, ma che tutti devono conoscere», conclude Margareth
Perché l’arte, oltre a rappresentare un’economia, è anche una questione di orientamento e di cultura. E anche se il denaro compra tutto, o quasi, è altresì vero che non tutto si può vendere.