La qualità fa parte del suo Dna, e non l’ha mai tradita in oltre mezzo secolo di carriera. Forse proprio per questo ha voluto intitolare la prima mostra dedicata alla sua collezione “L’uomo senza qualità. Gian Enzo Sperone collezionista”, curata da Denis Isaia e Tania Pistone al Mart di Rovereto, prendendo a prestito il titolo di un celebre romanzo di Robert Musil.
“Io sono la mia collezione” ha dichiarato Sperone, il quale “ha compiuto il percorso classico del gallerista del suo tempo – ha scritto Vittorio Sgarbi – ma coltivando segretamente la sua passione per l’antico”. Questa mostra racconta in maniera ineccepibile e non banale un’avventura iniziata fin da giovanissimo, quando Gian Enzo sente il richiamo dell’accumulatore seriale e comincia a raccogliere e catalogare pezzi di quarzo, farfalle, maggiolini e coleotteri.
Oggi la sua collezione annovera 800 opere, di cui la metà esposte al museo di Rovereto, trasformato per l’occasione nella dimora di un “gattopardo globale”, con sale dalle pareti di colori sgargianti – dal fucsia al giallo al verde lime – dove le opere sono riunite per serie, in uno stile che ricorda alcune case museo londinesi, come il Sir John Soane’s Museum o la Leighton House. Un andamento enciclopedico e un allestimento tematico permettono al pubblico di seguire le disposizioni delle opere attraverso apposite schede numerate, da seguire con attenzione per comprendere i vertiginosi percorsi di Gian Enzo, erede del barone Utz descritto nell’omonimo romanzo di Bruce Chatwin.
“Sono un esperimento in atto, un tentativo di ibridazione che aiuti a sfuggire dalle trappole della vita moderna dove si continua a voler crescere senza evolvere, in una crescente cecità”, puntualizza Sperone. Nella sua sterminata e indescrivibile wunderkammer le sezioni dispensano molti capolavori, talmente tanti da non poterli citare tutti. In quella dedicata ad Astrazioni e modernismi spiccano alcuni disegni futuristi di Giacomo Balla e Composizione futurista (1915) di Mario Sironi, accanto ad un piccolo capolavoro metafisico di Giorgio De Chirico, Composizione metafisica (1916), accostata a un Achrome (1962) di Piero Manzoni e ad un Concetto Spaziale (1961) di Lucio Fontana.
Di notevole qualità la selezione di opere dei “compagni di strada” di Sperone: l’Arte Povera è documentata da Senza Titolo (Fibonacci) (1970) di Mario Merz, Città di Torino (1972) di Alighiero Boetti, una rara velina di Michelangelo Pistoletto Senza titolo (1963) e l’opera D.S.O. (1965) di Gianni Piacentino, mentre per la Transavanguardia sono esposti capolavori come Senza testa (1981) di Enzo Cucchi, Green Devil (1980) di Sandro Chia e Senza titolo (Autoritratto) (1981) di Francesco Clemente. Di grande effetto la sezione dedicata al ritratto, che unisce tele del Sei e Settecento come Ritratto di prelato (1630-44) di Bernardo Strozzi o l’Autoritratto (1794) di Anton Von Maron e il Ritratto del cardinale Francesco Saverio de Zelada (1773) di Anton Raphael Mengs, accanto a capolavori del Novecento, tra i quali Portrait de Suzanne (1942) di Francis Picabia, Autoritratto come Rubens (1930) di Filippo De Pisis e Buste de Femme (Dora Maar) (1943) di Pablo Picasso. Altrettanta qualità nella sezione dedicata alla scultura, con una teoria di busti tra i quali spiccano il Ritratto di Massimo d’Azeglio (1819) di Felice Festa e Eraclito e Democrito (1745-1750) di Antonio Gai.
Magnifica la sezione sull’arte indiana, con una strepitosa selezione di miniature di scuola mughal intorno alla scultura di Wolfgang Laib Rice House (2007-2008), Nella parete dedicata alla grafica Sperone ha allestito sapienti e colti dialoghi tra maestri come, Dürer, Mantegna, Rembrandt e Goya. Infine segnaliamo alcune perle rare come un disegno del 1978 di Andy Warhol Senza titolo (Autoritratto), l’Autoritratto (1725 c.) di Christian Seybold, il Ritratto di Antonio Canova (1805-1813) di Giovanni Battista Lampi, il disegno su carta di Carlo Carrà Il fanciullo prodigio (1915), il Busto femminile (1920 c.) in cera rossa di Vincenzo Gemito, l’Atleta trionfante (1813) di Francesco Hayez e il Ritratto simultaneo di Benedetta Marinetti (1938) del pittore futurista Mario Menin.
Come non notare infine l’opera di David Bowes Portrait of Ges, che sintetizza in un’unica immagine l’essenza di uno dei collezionisti viventi più eclettici e visionari del nostro paese, che questa mostra racconta e descrive in maniera perfetta.