After Reminiscence è un progetto realizzato a cura di Federico Montagna negli spazi milanesi di Cassina Projects. La mostra, fruibile fino al 16 marzo, coinvolge opere inedite realizzate da otto giovani artisti italiani: Camilla Alberti, Leonardo Devito, Carla Giaccio Darias, Aronne Pleuteri, Matilde Sambo, Norberto Spina, VEGA (Francesca Pionati e Tommaso Arnaldi) e Martina Zanin.
Fulcro della narrazione estetica e critica del progetto è una originale rilettura del rapporto dialettico e storiografico che problematizza l’idea di reminiscenza. Memoria collettiva e libertà di pensiero critico individuale sono i due estremi di un percorso che tutti i giovani artisti devono intraprendere per sviluppare una poetica originaria e originale, per bilanciare studi accademici e urgenti libertà personali. All’interno di questo processo l’opera d’arte diventa strumento identitario e storico, oggetto significante che mostra il percorso evolutivo della più interessante ricerca culturale contemporanea.
In occasione della mostra abbiamo dialogato con il curatore Federico Montagna per meglio conoscere il progetto.
After Reminiscence, come nasce il titolo della mostra e quali tematiche hai voluto indagare attraverso questo progetto?
Il titolo, e in realtà tutto il concept della mostra, nasce da un quesito critico che credo interessi particolarmente il panorama artistico culturale del nostro paese. L’idea di memoria, di archivio, di ricordo fa parte di un’eredità a cui molti giovani artisti hanno il privilegio di attingere, ma allo stesso tempo rappresenta una sfida se si vuole intraprendere un percorso individuale e sviluppare un linguaggio espressivo personale – troppo spesso, forse, condizionato dai processi accademici nei quali sono inseriti. Da qui scaturisce la domanda: cosa significa essere un artista contemporaneo oggi? Cosa può nascere di nuovo? Ma, soprattutto, nel periodo storico in cui viviamo, esiste qualcosa che possa veramente definirsi tale? La tematica connessa all’idea di reminiscenza, affrontata qui in mostra grazie alle ricerche estremamente personali degli otto artisti coinvolti, cerca di ragionare proprio su questo.
Come le opere dialogano con lo spazio espositivo e come è nata la tua collaborazione con Cassina Projects?
Insieme alla galleria collaboro ormai da tre anni come Gallery Manager ma questa è stata la prima volta in cui mi è stata affidata la curatela totale di un progetto espositivo, con il quale abbiamo inaugurato il programma del nuovo anno. In mostra ho voluto che le opere avessero una loro dimensione specifica che permettesse di esprimere la ricerca individuale di ogni artista ma, trattandosi di un progetto collettivo, le associazioni – anche solo visive – all’interno dello spazio espositivo sono state sicuramente un altro fattore determinante per la disposizione dei lavori.
Quale linea critica ha sostenuto la scelta degli artisti in mostra e in che modo hanno dialogato fra di loro?
Fin da subito, l’idea condivisa insieme alla galleria è stata quella di ragionare su un progetto che portasse l’attenzione su una giovane generazione di artisti italiani, quella più vicina a me (anni Novanta e Duemila). Da diverso tempo conduco un’attività di ricerca sugli artisti emergenti, in particolare qui in Italia, e questa è stata l’occasione per lavorare con persone che conoscevo da molto tempo, ma allo stesso modo è stato un motivo in più per proseguire questa analisi sulle nuovissime generazioni. Come raccontavo prima, ciò che lega tutti gli artisti in mostra, che sia partendo da un’idea di memoria collettiva o di storia autobiografica, è il concetto di reminiscenza e di come esso rimanga davvero solo un ricordo, un punto di partenza da cui estendere lo sguardo per andare oltre e scoprire cosa esiste dopo o, più concretamente, qui e adesso
Il progetto espositivo oscilla fra ricordo e futuro. Come un artista può oggi agire sulla società e smuovere le linee di pensiero dominanti?
Questa è proprio la domanda che la mostra vuole porre e che, forse, non ha ancora una risposta certa. Credo che il miglior modo in cui un artista possa agire, e che ne definisce anche il suo ruolo oggi, sia quello di non di dover dare o cercare necessariamente delle risposte a qualcosa, ma di saper invece guardare al mondo con il coraggio di interrogarlo costantemente, di indagarne i limiti e metterlo continuamente in discussione.
Nel 2016 hai fondato Artoday, piattaforma che presenta a un vasto pubblico giovani artisti internazionali: qual è il tuo pensiero sull’attuale panorama artistico e curatoriale?
Artoday rappresenta ancora oggi una piattaforma di ricerca inesauribile, un archivio online di interviste e progetti espositivi che dal 2016, insieme alla mia collega Alessia Romano, portiamo avanti alimentato dalle storie di giovani artisti da tutto il mondo. Se penso al panorama artistico di oggi vedo in realtà un rinnovato fermento anche verso gli artisti italiani più giovani, il che non è per nulla scontato. Per il ruolo del curatore, invece – e per quello del critico ancora di più -, ho un’infinita ammirazione. Sono ancora convinto che il curatore o il critico con la “C” maiuscola lo si riconosca meglio da un testo o da un allestimento più che dalle sue attività di PR. In questo senso, nutro grandi speranze per le nuove generazioni, auspicando in un giusto equilibrio tra accademismo e lavoro sul campo al fianco degli artisti.
Questo contenuto è stato realizzato da Marco Roberto Marelli per Forme Uniche.
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