Per celebrare Giacomo Puccini nel centenario della scomparsa, il Teatro La Fenice mette in scena La bohème dal 2 al 10 febbraio, in pieno periodo carnevalesco. L’allestimento scelto è quello del 2011 con la regia di Francesco Micheli, le scene di Edoardo Sanchi, i costumi di Silvia Aymonino e le luci di Fabio Barettin. Un allestimento tradizionale con qualche ardito tocco da cartoon come la soffitta dei quattro amici, il poeta Rodolfo, il pittore Marcello, il musicista Schaunard, il filosofo Colline in cui si svolgono primo e quarto quadro. Un ambiente misero come si confà ai quattro bohémien inquadrato da una cornice luminosa che contiene le principali attrazioni della capitale francese: la tour Eiffel, l’Arc de Triomphe e il Moulin Rouge, situato nel famoso quartiere a luci rosse. Una cornice in contrapposizione alla misera situazione dei quattro che offre una Parigi da cartolina, pronta per essere venduta ai turisti. Nel secondo quadro la scenografia suggerisce invece un’idea della metropoli francese all’avanguardia dividendo il piano scenico in due parti. Sopra il Cafè Momus e sotto i vagoni della metropolitana da cui fa capolino il coro. Ricordiamo però che la metropolitana a Parigi fu inaugurata in occasione dell’Expo del 1900 e quindi quando l’opera andò in scena il 1 febbraio 1896 non c’era ancora.
Al Cafè Momus sopra la galleria del metrò, i giovani racimolato qualche soldo cercano di divertirsi: Rodolfo ha occasione di presentare Mimì appena conosciuta, mentre Marcello si rode dalla gelosia vedendo arrivare la sua Musetta in compagnia del vecchio e pomposo Alcindoro de Mitonneaux. Tutto in fondo si svolge in un clima festoso sottolineato dalle maglie futuriste con linee geometriche e spezzate che indossano i quattro giovani amici.
Il terzo quadro è all’insegna della tradizione, solo l’edificio del cabaret dove lavora Marcello può rotare su se stesso mostrando un interno dal sapore di boudoir . La neve che cade lentamente aumenta il clima freddo e tragico che pian piano sappiamo avvolgere la vicenda di Rodolfo e della povera Mimì, malata di tisi senza alcuna speranza.
Ma è in quei giovani che Puccini si riconosce, scapigliato come molti dei suoi amici milanesi. Non ci sono più gli ideali del Risorgimento e la politica nazionale mostra le prime smagliature. Il futuro è incerto e l’approccio all’arte sembra il paradiso artificiale in cui andare a rifugiarsi. Che sia la penna o il pennello, sono quelli gli strumenti scelti dai giovani per sfidare il grigiore del presente.
Stefano Ranzani attualmente è uno dei direttori più affermati nel panorama internazionale (in particolare per il repertorio operistico, italiano e non solo, ospite regolare delle più importanti istituzioni musicali del mondo, fra le quali Teatro alla Scala, Metropolitan di New York, Opéra National de Paris, Wiener Staatsoper, Washington Opera, Liceu de Barcelona, Maggio Musicale Fiorentino, Teatro Colòn de Buenos Aires, Deutsche Oper e Staatsoper di Berlino, Opernhaus di Zurigo, Bayerische Staatsoper di Monaco, Teatro San Carlo di Napoli, Teatro dell’Opera di Roma). Alla Fenice ha dato una lettura dinamica e articolata del capolavoro di Puccini. Le note di Boheme hanno un ritmo incalzante, senza dubbio quello voluto dal compositore lucchese per narrare appunto la vita dei giovani amici. Nessun indugio, né smielato abbandono. Anche le scene più drammatiche pur essendo assolutamente avvolgenti non si perdono in languidi cedimenti. Insomma ottima orchestrazione e direzione di un’orchestra al meglio di sé.
Qualche perplessità sul tenore Celso Albelo, al suo debutto pucciniano. Diciamo che il cantante di Santa Cruz non sembra ancora a suo agio in questo repertorio. Sin da subito la sua voce è sembrata un po’ forzata e poco brillante. Il legato è apparso anche piuttosto approssimativo. Peccato perchè la sua partner Claudia Pavone è una Mimì molto convincente sia per timbro che per peso vocale. La sua è una vocalità versatile, unita a grande sensibilità. La Pavone ha offerto al pubblico una Mimì molto coinvolgente. Bravo e carismatico Alessio Arduini nei panni di Marcello, come molto bello il colore vocale del basso Adolfo Corrado (Colline) soprattutto nell’attesissima “Vecchia zimarra” cantata in maniera eccellente. Accattivante la Musetta di Mariam Battistelli, molto seducente fisicamente e dal timbro di voce pieno. L’ex cameriera della Scala scoperta da Domingo è davvero un talento. Armando Gabba, lo Schaunard “storico” della produzione, pur mostrando una lampante differenza di età coi i compagni riesce a creare un’ inedita e simpatica alchimia teatrale.
Molti applausi meritati alla fine per tutta la compagnia.
(Recensione replica domenica 4 febbraio)