L’incontro con Raimondo Piaia di Neonlauro avviene a Bologna, davanti all’opera in esterno di Marcello Maloberti, durante la visita a I Preferiti di Marino, primo capitolo della presentazione della vasta collezione di Marino Golinelli alla Fondazione omonima, in corso fino al 2 giugno.
La scritta al neon dell’artista recita Il FUTURO NON FINISCE MAI DI INIZIARE e il neonista che l’ha realizzata è davanti a me. La curiosità cresce e Raimondo Paia racconta la sua storia. Nel 1956 suo padre giovane piegatore di neon, decide di mettersi in proprio e Neonlauro nasce come laboratorio di neon e insegne a conduzione familiare a San Vendemiano dove nei primi anni Cinquanta la tecnologia di piegatura del neon si è sviluppata rapidamente grazie ad una straordinaria maestria manuale, diffusa in questa parte d’Italia e, dopo quasi 60 anni, attraversato il primo passaggio generazionale, rimane genuinamente artigianale ma ha intrecciato proficue collaborazioni con tanti importanti artisti italiani e internazionali.
Ma cosa fa esattamente il neonista?
La figura del neonista rappresenta l’artigiano che sagoma un tubo di vetro chiuso con gli elettrodi e poi lo carica. Il neonista classico è all’origine del lavoro del neon e gli dà luce. Esegue un progetto e lo adatta all’utilizzo della materia del neon. Una volta il neonista eseguiva le idee dell’artista. La nostra evoluzione è invece dare i propri segreti e le proprie modalità all’artista. Il concetto di neonizzare nasce da una stretta collaborazione tra me e Cristina Pasqualotti, iniziata nel 2007 con il progetto Il Linguaggio dell’equilibrio di Joseph Kosuth, all’Isola degli Armeni. Traduciamo le idee e le portiamo al neon. È un upgrade del neonista di un tempo.
E oggi con i Led?
I materiali sono alternativi. Il Led nasce negli anni ’50, il neon nasce negli anni dieci del Novecento. Sono due mondi che vanno in parallelo ma la bellezza del neon è proprio l’utilizzo del vetro. Il Led nel mio intendimento è una sorgente che bisogna sempre nascondere dietro un diffusore. Potrebbe essere un lightbox in plastica o quello che va adesso, il Flex LED siliconico che fa il verso al neon. Il materiale base di lavorazione è il vetro e sempre si carica con le miscele di gas mentre il Flex LED è silicone. Il concetto di neon è sempre lo stesso da 115 anni. Il neon puro è rosso. Mentre a noi, per fare tutte le luci e soprattutto per fare il bianco, serviva l’azzurro e l’azzurro è dato da miscela di argon, neon e mercurio. E qui si parla della differenza, dall’inizio del Novecento fino a oggi. Quello che Neonlauro ha fatto è l’alternativa al mercurio, cioè la stessa tecnologia ma l’immissione dei gas è cambiata. Ed è una ricetta nostra, un nostro brevetto che è il greenNeon mercury free, la miscela di gas naturale senza mercurio, per sostenere un progetto interamente sostenibile.
Nel 2012 viene inaugurata la mostra Neon la materia luminosa dell’Arte al museo MACRO di Roma, un evento che consacra il neon a materia per plasmare l’arte e ad oggi i progetti possono chiamarsi green perché privi dei componenti nocivi alla salute. Piaia entra nel dettaglio: «Per noi il cosiddetto tubo al neon verte principalmente sul vetro. Il vetro diventa protagonista per noi. E contiene la nostra ricetta perché è un materiale riciclabile di ottima lavorazione e quando si piega rimane fermo nella posizione per creare le curve con la sagomatura a mano e con la fiamma. Si tratta sempre di arte. L’artista e il neonista parlano due lingue simili perché hanno a che fare con i materiali che devono gestire. Tra le installazioni più importanti ci sono quelle di Joseph Kosuth perché è un po’ il nostro mentore. Con lui abbiamo installato, dal Linguaggio dell’equilibrio nel 2007 alla Biennale di Venezia che segna l’inizio della collaborazione a quella all’Isola degli Armeni, un’installazione con una quantità incredibile di neon per la quale abbiamo dovuto chiedere aiuto ad altre soffierie, gli spazi dove si lavora il vetro. Il 2007 è stato emblematico per la nostra storia. Da lì sono partiti tanti altri lavori, a San Francisco come a Miami sempre con Kosuth e questo ci ha permesso di far sopravvivere il neon perché molte aziende l’hanno abbandonato. Per noi invece è un punto di forza a lo abbiamo spostato dal mondo pubblicitario al mondo dell’arte con un ottimo partner all’inizio come Kosuth e poi via via con tanti altri artisti, istituzioni o musei, da Marcello Maloberti a Nico Vascellari, Marinella Senatore, Anna Scalfi e Lorenzo Vitturi, da Christie’s a Sotheby’s a Londra, a Fondazioni come Querini Stampalia, dalla Fiac a Parigi o alla Biennale di Venezia, da Fendi a Bristot, dal MACRO di Roma al Louvre a Parigi».
E per il futuro?
Il concetto di neonizzazione si allarga a qualsiasi artista e adesso stiamo lavorando a un progetto con la giovane Irene Coppola che ha un concorso a Ca’ del Bosco. Noi le stiamo dando tutto il nostro know-how per non rischiare di copiare i maestri come Joseph Kosuth, Bruce Nauman, Keith Sonnier o gli italiani come Mario Merz, Pier Paolo Calzolari o Michelangelo Pistoletto, che hanno utilizzato il neon come materia. È materia dell’arte sempre di più ma lavoriamo molto anche sulla conservazione, sul ripristino e sul restauro. Eravamo a Parigi al Louvre la settimana scorsa per restaurare un’opera che ancora ad oggi dopo 15 anni funziona perfettamente. È una materia longeva il neon e vive tanto.
Lavorare con gli artisti rappresenta lo sviluppo naturale della filosofia lavorativa di Neonlauro ed è una sfida continua. Per Raimondo Piaia «il neon è la nostra unica passione e la nostra lotta per la sopravvivenza. Lavorando con la luce crediamo che ogni fonte luminosa abbia una propria espressione e crediamo fortemente nella sua bellezza». WE NEED LIGHT TO LIVE.