Picche per Io, Capitano, Barbie, Maestro e Killer of the Flower Moon. A Oppenheimer 7 statuette, 4 a Poor Things, 2 per The Zone of Interest
Poorthingheimer
Non c’è mai stato un “Barbenheimer”. Semmai un “Poorthingheimer”. A stabilirlo gli oltre 10.000 votanti degli Academy, che hanno premiato con 7 Oscar su 13 nomination il film di Christopher Nolan e 4 statuette su 11 candidature quello di Yorgos Lanthimos.
Ma iniziamo da principio. Con stanotte l’anno cinematografico si è concluso e mentre già si attende la line up del Festival di Cannes, prevista tra la seconda e la terza settimana di maggio, che il Delegato Generale Thierry Fremaux annuncerà a breve, è tempo di bilanci.
Il motivo per cui questa 96ma edizione degli Oscar, di cui lo show non è stato tra i più coinvolgenti, sarà forse ricordata è per una interessante inversione di tendenza. Se da un lato l’host Jimmy Kimmel ci ha messo l’intera serata a carburare dopo uno speech iniziale ovvio e noioso di quelli per non offendere nessuno, ci sono tanti indizi che l’era del politically correct inizia a vacillare.
The Zone of Interest vs Io, Capitano
Tra gli eventi più vistosi che indicano questo cambio di registro uno ci riguarda da vicino. Il film di Matteo Garrone, spettacolare nella composizione pittorica, ma debole e manicheo nella struttura narrativa, tocca una categoria di temi che negli ultimi anni, facendo leva sul senso di colpa dell’audience borghese e sui cavalli di battaglia della woke generation, era diventata una formula quasi automatica di successo. Il film invece ha perso a favore del rarefatto, lattiginoso incubo iperrealista di Jonathan Glazer, The Zone of Interest. Il quale oltre ad aver soffiato l’Oscar al Miglior Film ad Io, Capitano, si è anche aggiudicato quello per il Suono strappandolo al favorito Oppenheimer.
Vittoria ancora più importante mentre molti luoghi della cultura internazionale, incluso università prestigiose, sono investiti da un’ondata di antisemitismo. Il regista Glazer ritirando l’Oscar ha citato le vittime di entrambe le parti del conflitto mediorientale, mantenendo una posizione imparziale rispetto all’increscioso episodio della premiazione all’ultimo Festival di Berlino su cui anche il Ministro della Giustizia Marco Buschmann ha chiesto di fare chiarezza.
Contro gli stereotipi razziali
Il secondo dato è quello alla Migliore Sceneggiatura non Originale per American Fiction diretto da Cord Jefferson, un film, a piccolo budget, contro gli stereotipi promossi dalla società massificata e conformista, la cui vittoria segna finalmente nuove prospettive narrative per il futuro prossimo. Da notare che Erasure di Persival Everett da cui è tratto il film risale al 2000: ci sono voluti 20 anni perché si riuscisse a produrre un film dove un uomo di colore rilevasse il paradosso dei clichè razziali.
Limiti delle riforme e nuove prospettive
Comincia ad essere evidente, dopo alcuni anni di sperimentazione, come i vincoli imposti dall’Academy nella produzione cinematografica – cast and crew con quote fisse destinate a minoranze etniche o categorie specifiche – non abbiano portato i risultati sperati, anche se concepiti con le migliori intenzioni. I film, che dovevano essere inclusivi e rappresentare la diversità, perdono spesso autenticità e con l’obbligo di dover rappresentare tutti ad ogni costo, finiscono per non rappresentare più nessuno.
Emma Stone su Lily Gladstone
Il terzo dato inatteso è la vittoria, meritata, di Emma Stone (Poor Things) su Lily Gladstone (Killer of the Flower Moon). Quest’ultima, tanto minimalista nei dialoghi del film, quanto logorroica in tutte le conferenze della stagione delle premiazioni, doveva essere la prima nativa americana a vincere un Oscar. In uno scenario globale dove ormai artisti e maestranze candidati agli Oscar sono sempre più internazionali, dove differenze e distanze tendono ad annullarsi, e il gruppo di votanti è quanto mai variegato, il verdetto della serata parla di equità.
Poor Things
Da rilevare che Poor Things ha ricevuto altre tre statuette: Trucco e Parrucco (contro il favorito Maestro di Bradley Cooper), Scenografie e, Costumi, che gli allibratori prevedevano finisse a Barbie di Greta Gerwig. Di quest’ultimo, hit al box office, l’unico premio inoppugnabile era quello alla strepitosa Billy Eilish per What I Was Made Of?, che infatti dopo la migliore esibizione canora della serata ha ritirato l’Oscar.
Oppenheimer brilla
Oppenheimer, forse il film più sopravvalutato dell’anno, ha preso i premi più importanti, tra cui, Miglior Film, Miglior Regista, Miglior Attore Protagonista (il blasonatissimo misantropo Cillian Murphy), Miglior Fotografia, Miglior Colonna Sonora, Miglior Montaggio, Miglior Attore Non Protagonista Robert Downey Jr.
Premi residuali e paradossi
The Holdovers ha confermato Da’Vine Joy Randolph come attrice non protagonista. Jasmine Triet si è aggiudicata l’Oscar per la migliore Sceneggiatura Originale di Anatomia di una caduta. Wes Anderson, non presente in sala, ha vinto il suo primo Oscar per il cortometraggio La meravigliosa Storia di Henry Sugar.
Chicche dello show
Sean Lennon, figlio di John, premiato per il corto d’animazione Happy Christmas (War is Over!) fa gli auguri alla mamma novantunenne, Yoko Ono, in diretta. “I gemelli” Arnold Schwarzenegger e Danny De Vito divertono il pubblico nel gioco delle parti con Michael Keaton/Batman. John Cena annuncia l’Oscar ai Costumi senza vestiti. La lampo (saltata) all’abito Louis Vuitton di Emma Stone.
Scenografia mozzafiato
Alana Billingsley e Misty Buckley, scenografi anche per la passata edizione degli Oscar, si sono ispirati alle architetture di Tadao Ando per concepire lo spazio come una piazza. «Volevamo un luogo grandioso ed intimo – avevano dichiarato sul periodico statunitense House Beautiful – in grado di esaltare le persone che si avvicenderanno durante la serata». Spettacolare l’idea dell’orchestra sospesa a mezz’aria sul fondo circolare.
La citazione a Marilyn
Puro intrattenimento all’americana il siparietto di Ryan Gosling sulle note di I’m Just Ken. Citazione all’iconico numero di Marilyn in Gli uomini preferiscono le bionde: strass sull’abito fucsia di Gosling e corpo di ballo sulla scalinata con tanto di fascia a strisce rossa e bianca sotto lo smoking, proprio come in Diamonds are Girl Best Friends.
La diretta in chiaro su Rai 1
Diversamente dagli ultimi anni in cui Sky aveva tenuto il monopolio (a pagamento), per questo 2024 è stata la Rai a comprare la distribuzione della Notte degli Oscar per l’Italia, che grazie a Garrone appunto concorreva nella categoria Miglior Film Straniero (peraltro distribuito al cinema proprio dalla 01). Tuttavia perché non scegliere per la conduzione della serata un giornalista competente sulla materia? Alberto Matano è stato molto garbato, ma di cinema è evidente che ne sa poco. Paola Jacobbi ospite fantastica, sarebbe stta forse la migliore conduttrice.
Molto piacevoli e preparate sia Claudia Gerini che Ambra Angiolini. Gabriele Muccino sempre un po’ sopra le righe. Montatura nera modello Dolce Vita sia per lui (Tom Ford), che per Antonio Monda (Prada), che rumors danno per eventuale successore ad Alberto Barbera nella direzione del Festival di Venezia – i tempi sono tuttavia prematuri e c’è un competitor di altissimo livello con cui dovrà fare i conti, ma ne parlaremo più in là. Vale la pena concludere con due note: una sullo spassosissimo Claudio Santamaria che ha “asfaltato” più volte Barbie nello sdegno dei colleghi e l’altra su Claudia Gerini che, dopo i salamelecchi collettivi a Garrone, ammette la superiorità oggettiva di The Zone of Interest. Viva il Cinema.