Eric Hebborn è celebre per essere stato uno dei più grandi falsari della storia, le sue opere hanno ingannato gli esperti più pignoli e supponenti, tanto che i suoi disegni eseguiti “alla maniera di” Mantegna o Piranesi sono stati acquistati da importanti musei. Hebborn è stato anche un pittore di pregio e un insegnante d’arte. Oltre a questo ha scritto un paio di libri eccezionali, ormai introvabili e reperibili a prezzi da antiquariato: l’autobiografia Troppo bello per essere vero e il celebre Manuale del falsario, vero e proprio vademecum per produrre falsi perfetti.
La prima cosa che si capisce grazie a questi libri è che per comprendere (e così anche copiare o “falsificare”) gli antichi maestri non ci si può fermare alla superficie ma si deve avere una conoscenza profonda dell’arte del passato sin dal suo fondamento, il disegno. Disegnare non significa soltanto tracciare linee su di un foglio, disegnare è un metodo per “vedere”, è una questione di disciplina, di attitudine; è pensiero che si manifesta attraverso i segni, per questo motivo disegnare è difficile.
Chi desidera ritrovare la difficoltà, e la bellezza, del disegno come metodo per pensare ha oggi a disposizione uno strumento eccezionale, si tratta del libro scritto proprio dal “Re dei Falsari” Eric Hebborn, Il linguaggio della linea. Trattato sulla pratica del disegno edito da Angelo Colla Editore e curato da Alberto Lolli (traduzione di Letizia Panti, 188 pagine, 28 euro).
La pubblicazione avviene a vent’anni dalla morte di Hebborn, il manoscritto è stato ritrovato tra le sue carte inedite, come racconta l’editore nella postfazione «per molti anni Hebborn aveva annotato le sue riflessioni [sul disegno] su fogli volanti e margini di monografie scientifiche di cui la sua biblioteca era fornitissima. Infine aveva riunito e ordinato in un manoscritto intitolato The Language of the line. Ma l’autore venne a mancare prima che la revisione definitiva fosse portata a temine. Queste lacune sono davvero poche, quello che invece mancava completamente era l’apparato iconografico previsto come parte integrante e indispensabile del libro». Angelo Colla continua scrivendo che «la pubblicazione del “Linguaggio della linea” sarebbe rimasta un desiderio irrealizzabile se non avessi potuto contare sulla consulenza di un esperto di disegno, Mauro Zocchetta, docente all’Accademia di Belle Arti di Venezia. È stato il suo giudizio che mi ha dato il coraggio di progettare l’edizione affidandone la realizzazione a un curatore in sintonia con Hebborn, Alberto Lolli. Lolli, come già Hebborn, ha lungamente praticato sia il disegno creativo che quello didattico».
Il libro è strutturato come un manuale didattico, con lezioni, apparati esplicativi, glossario ed esercizi. Si comincia con un gesto apparentemente semplice, tracciare una linea, per arrivare dopo ventisei densissimi capitoli a considerare «il disegno finito e l’effetto di tutti gli elementi che lo costituiscono osservati insieme e nelle loro relazioni reciproche e integrali». Tutti i passaggi sono spiegati con precisione, merito della scrittura chiara e colloquiale di Hebborn e dell’apparato iconografico, altrettanto chiaro, approntato e per buona parte eseguito dal curatore Alberto Lolli.
A un primo sguardo, Il linguaggio della linea sembra essere un classico manuale destinato agli aspiranti artisti ma in effetti è molto di più. Nella prefazione l’autore esordisce dicendo: «Lo scopo di questo libro è di mettere a disposizione dello studente di storia dell’arte uno strumento che gli consenta una maggiore comprensione dei capolavori del disegno e che gli fornisca un vocabolario critico per la loro analisi». Questa affermazione è davvero rilevante e chiarisce la differenza di questo testo rispetto a tutti gli altri manuali concepiti per insegnare l’arte agli artisti. Hebborn intende il disegno non tanto come un’attività “espressiva” ma piuttosto come un mezzo di analisi, lo strumento per un’ermeneutica che si compie attraverso la pratica.
Se il disegno è promosso a «strumento di comprensione», nella nostra ideale biblioteca “Il linguaggio della linea” non deve essere messo accanto ad altri manuali ma si deve collocare sullo scaffale dei libri dedicati alla filosofia dell’arte, magari vicino al testo classico di Henri Focillon “Elogio della mano” in cui il grande storico scrive «Io non separo la mano né dal corpo né dalla mente. La mente fa la mano, la mano fa la mente». Educare la mano attraverso il disegno, significa educare la mente. E così anche, seguendo Hebborn, possiamo affermare che esercitare la mano significa esercitare la mente.
Ritrovare l’intelligenza “naturale” della mano, in un presente in cui, sempre più spesso, chiediamo ai dispositivi tecnici, ogni giorno più potenti e raffinati, di disegnare per noi, sembra una proposta paradossale o fuori tempo ma se intendiamo affidare alle macchine il compito di eseguire i nostri disegni, dobbiamo essere capaci di pensare e vedere con chiarezza il nostro pensiero. Il disegno serve a questo. Con “Il linguaggio della linea” Eric Ebborn ci offre appunto questa possibilità, risvegliare l’intelligenza della mano – che non è separata dalla mente – per affinare lo sguardo e il pensiero. Ecco che questo libro non si deve intendere rivolto necessariamente allo «studente di storia dell’arte» o all’aspirante artista ma a coloro che desiderano vedere il proprio pensiero. Il disegno non è una prerogativa degli artisti, è una capacità umana potente e innata, solamente sopita. Risvegliarla è semplice, bastano un foglio, una matita e la guida di un grande maestro.