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Giorni felici di Beckett, l’utopia della comunicazione

© Duccio Burberi
© Duccio Burberi

Lo spettacolo diretto da Massimiliano Civica è in scena al Piccolo Teatro di Milano fino al 17 marzo

Dopo il successo di “Aspettando Godot” di Theodoros Terzopoulos, al Piccolo Teatro va in scena “Giorni felici” di Massimiliano Civica, tre volte premio Ubu. Proprio qui Strehler nel 1982 portava il suo Beckett con protagonista Giulia Lazzarini che a sorpresa ieri era presente allo spettacolo omaggiata dal pubblico con una lunga ovazione. La Winnie di oggi, interpretata da Michela Cescon, è una donna fragile e ironica sepolta fino alla vita in un cumulo di sabbia. Accanto a lei, Willy, interpretato da Paolo   Musio che con il suo tono dimesso e la sua aria rassegnata interpreta il dimesso marito che vive in una cavità alle sue spalle. La loro esistenza è ripetitiva e monotona, scandita da rituali quotidiani che assumono un sapore grottesco. L’accento che il regista vuol dare non è cupo o estremamente criptico, la sua regia si concentra sulla dualità tra la vita e la morte, la speranza e la disperazione, il bisogno di comunicare e l’incomunicabilità, in un gioco di luci e ombre che cattura l’essenza del dramma beckettiano. L’allestimento scenico, curato da Gianluca Amodio, è minimalista ma suggestivo. La scena è dominata dal cumulo di sabbia, che diventa una sorta di microcosmo in cui Winnie e Willy si muovono come marionette in trappola. Le frasi di “Giorni felici” sono spesso brevi, semplici e ripetitive: “un altro giorno felice”. Come riporta fedelmente il regista, il linguaggio serve per creare un’atmosfera di monotonia e di alienazione, di autoconvincimento. Attestata la misera condizione umana, la salvezza è guardarsi e capirsi ma se “recitiamo monologando” ci consumiamo in un solitario loop senza fine.

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