Il Museo Nazionale Romano – Palazzo Massimo da domani, 29 marzo, fino al 28 maggio 2024 ospiterà la prima personale in un’istituzione museale italiana dell’artista venezuelano Juan Araujo (1971, Caracas, Venezuela. Vive e lavora a Lisbona), “Clouds and Shadows on Mars”. La mostra, curata da Luis Pérez-Ormas e Stéphane Verger, è realizzata in collaborazione con Galleria Continua, ed «è concepita specificamente per il Museo e, in particolare, per entrare in dialogo con gli affreschi romani della sua collezione, sfidando le nozioni convenzionali di tempo e spazio», hanno anticipato gli organizzatori.
«L’inclusione di riferimenti al sistema solare nelle opere di Araujo – hanno proseguito – agisce come un promemoria della vastità temporale e spaziale che trascende le civiltà umane. Mettendo queste rappresentazioni celesti in contrapposizione con il patrimonio storico del Museo, rimosso dal suo contesto originale e inserito in un palazzo, Araujo invita il pubblico a riflettere sulla natura effimera dell’esistenza umana e sulla perennità dell’universo. Questo dialogo tra il passato distante e il presente, tra l’arte classica e le astrazioni moderne, offre una nuova prospettiva sul nostro posto nel cosmo e nella storia».
L’artista ci ha raccontato la mostra nell’intervista qui sotto.
Il titolo della mostra, “Clouds and Shadows on Mars” è anche il titolo di una delle opere esposte, perché proprio questo?
Juan Araujo: «La mostra vuole farsi scoprire dei visitatori del museo – la maggior parte dei quali, immagino, entrerà per vedere le collezioni, non le mie opere – in modo progressivo, passo dopo passo, come “intercettando” i vari pezzi e “raccogliendo” frammenti all’interno delle gallerie di Palazzo Massimo. Questo è molto in sintonia con con mio lavoro, poiché la maggior parte dei miei dipinti si basa su connessioni inattese, giustapposizioni di immagini e di linguaggio, etc. I miei dipinti suggeriscono collegamenti tra realtà apparentemente scollegate, come – nel caso specifico di questa mostra – un articolo di giornale che include una descrizione della superficie di Marte diffusa della NASA, che può perfettamente diventare la legenda di un’immagine dell’attuale guerra a Gaza…
Le opere scelte per la mostra giocano con ciò che è “all’interno” (nel museo, per esempio) e “all’esterno”: Roma, la cultura e l’arte contemporanea italiane, i racconti e le leggende di metamorfosi, lo sport, i pianeti, che portano i nomi delle divinità mitologiche che “comandavano” su tutto ciò che è raccolto nel Museo Nazionale… La mostra suggerisce che Antichità e Modernità appartengono a una temporalità estesa apparentemente unica, senza soluzione di continuità, che si manifesta attraverso frammenti, come frasi interrotte in un testo discorsivo, brevi intervalli che in questo caso sono le mie opere collocate all’interno delle gallerie del museo. Scegliendo questo titolo ho voluto portare il mondo reale, con il suo fervore, all’interno della mostra».
Quale rapporto si instaura tra le tue opere e le testimonianza pittoriche conservate al Museo?
«Non c’è una relazione diretta tra loro, questo significa che non lavoro necessariamente sulla loro scia, né intendo avvicinarmi alla loro qualità estetica nei miei dipinti. Tuttavia, il mio lavoro si nutre sempre di immagini già esistenti: opere di altri artisti, fotografie, pubblicità, ritagli di giornale, immagini scientifiche, libri, documenti, etc. Non “invento” le immagini, piuttosto la mia “invenzione” artistica si basa sulla “capacità relazionale” delle immagini rispetto ad altre immagini: propongo associazioni con esse, tra esse, come metafore, a volte in modi che possono sembrare arbitrari ma che – spero – il mio lavoro “tesse”.
Riflettendoci ora, però, forse si può rintracciare una risonanza specifica tra gli affreschi antichi e le mie opere: io lavoro spesso con la cancellazione, cancellando le immagini, in modo tale che alcuni dei miei dipinti funzionino come “rovine” di immagini, per esempio i miei Erased Morandis (Morandi cancellati, ndr). Gli affreschi antichi sono inevitabilmente cancellati, e la cancellazione è un “materiale” di ispirazione per me. Nel percorso espositivo c’è solo un’opera che si riferisce direttamente a essi nella mostra, ed è proprio una cancellazione, anche se preferisco chiamarla Eclipse, perché ho solo mantenuto le linee di inquadramento dell’affresco che circondano un campo di pittura bianco, vuoto, cancellato».
Le opere in mostra appartengono a periodi e soggetti diversi, dal 2020 al 2024. Con quali criteri ha selezionato queste opere? C’è qualcosa che accomuna i diversi soggetti?
«Una “licenza poetica”, forse? L’arte moderna è fatta di incontri tra oggetti e situazioni che non hanno un legame necessario tra loro. Ricordate la famosa Chance Meeting on a Dissecting Table of a Sewing Machine and an Umbrella? Non sto dicendo che il Surrealismo mi interessi o che io abbia deciso quali opere includere basandomi sulla casualità. Al contrario, mi interessa suggerire contrasti tra diverse temporalità, intercettando “frammenti” di visioni moderne tra gli elementi dell’antichità e fare riferimento a esse attraverso immagini contemporanee – per esempio una foto di un giornale che mostra un pugile sconfitto la cui posa ricorda incredibilmente il Pugile seduto di Apollonio presente nelle collezioni del museo. Vale lo stesso per un’opera basata sulla metamorfosi di Pinocchio collocata vicino agli affreschi che raffigurano metamorfosi mitologiche, etc.
Nel percorso espositivo è inserita una serie di dipinti che funziona come una punteggiatura ripetitiva, una sorta di ritornello, poiché tutte le opere che ne fanno parte si basano in modo simile su immagini scientifiche dei pianeti».
Come è nato il tuo interesse per i pianeti?
«Mi affascina la sfida che queste immagini pongono a un pittore. Chi avrebbe potuto pensare nell’antichità che un pittore sarebbe stato in grado un giorno di rappresentare i pianeti “da vicino”, come se fossero realtà quotidiane? Una delle caratteristiche del mio lavoro è il fatto che le immagini possano servire da pretesto per far convergere elementi e tempi diversi. I pianeti mi permettono di dipingere quasi come se fossi un pittore astratto, attraverso i loro nomi mi consentono di dipingere le antiche divinità dei Romani e dei Greci. Inoltre, sappiamo che tutto ciò che si mostra nel lontanissimo paesaggio interstellare ci fa cogliere eventi inimmaginabili accaduti migliaia di anni fa. Ogni volta che si guarda il cielo di notte si osserva la risonanza luminescente dell’universo del passato profondo. Trovo che questa esperienza sia paragonabile all’idea di camminare in un museo che custodisce opere d’arte antichissime».
A questo si collega la tua opera Eclipse, che ricorre nell’invito della mostra?
«Forse tutte le mie opere, o almeno quelle scelte per questa mostra, funzionano come piccole eclissi: immagini che si sovrappongono ad altre immagini, linguaggio che si sovrappone a immagini, oggetti moderni che interferiscono con dipinti antichi. Tutte piccole eclissi, dunque, discrete strategie di eclissamento che possono portare un nuovo livello poetico di significato. Improvvisamente, oscurando qualcosa, sia pure in modo frammentario, si può avere una visione migliore, si può vedere meglio….Ma in questo caso il riferimento è ancora una volta obliquo, poiché ho scelto un’immagine della bellissima e iconica scena del film di Michelangelo Antonioni, L’Eclisse (1962), e quindi, ancora una volta, cerco di far convivere il moderno con l’antico e viceversa…».
Un’ultima domanda: diversi titoli dei tuoi lavori citano Morandi e Ghirri. Da dove nasce questa scelta?
«Amo questi due artisti italiani. E trovo fantastico che Ghirri abbia lavorato su Morandi, scattando foto del suo studio, per esempio. Ho guardato le loro opere e ho realizzato dei dipinti basandomi su di esse. C’è una profonda, commovente malinconia nelle loro opere. Morandi cerca sempre di cogliere la fugacità delle cose. Per questa mostra ho realizzato opere che sottolineano questa qualità, realizzando dipinti in cui i loro lavori appaiono come frammenti, cancellati. La loro inclusione mi permette di portare l’arte moderna e contemporanea nel museo dell’arte antica…».
Il percorso espositivo
«Nelle sale di Palazzo Massimo i visitatori potranno incontrare, tra gli oggetti permanentemente esposti nel museo, le opere di Juan Araujo. Si tratta di opere, dipinti su tela o lamiera, spesso allestiti come assemblaggi ed esposti su leggii moderni, che intendono entrare in dialogo con la collezione del museo, costituendo un pretesto per la collisione tra arte antica e contemporanea, attraverso incontri inaspettati e sottigliezze che trascendono una comprensione cronologica lineare dell’arte. “Forse c’è una risonanza specifica tra gli affreschi antichi e le mie opere: spesso lavoro per cancellatura, cancellando immagini, in modo che alcuni dei miei dipinti funzionino come “rovine” di immagini, ad esempio il mio “Morandis cancellato”. Gli antichi affreschi vengono inevitabilmente cancellati, e la cancellazione è per me un materiale di ispirazione”, ha commentato l’artista.
«Juan Araujo gestisce magistralmente l’arte della pittura e le sue opere sono spesso basate su riproduzioni trovate in cataloghi e libri d’arte, riviste, giornali, rapporti scientifici o altro. Araujo mette in discussione la temporalità delle immagini, mostrando la sua dimensione multistrato, suggerendo connessioni e contrasti allegorici tra la loro natura iconica e il linguaggio verbale. Un esempio emblematico è l’opera che funge da titolo per questa mostra, “Clouds and Shadows on Mars”. Fa riferimento a un’immagine drammatica che raffigura una scena di guerra durante l’attuale conflitto in Palestina, insieme a una descrizione fornita dalla NASA di una riproduzione del pianeta Marte; indicando, infine, il nome dell’antico dio della guerra, Marte».
«Trasmettendo immagini in cui temporalità diverse si scontrano, il lavoro di Araujo suggerisce che non esiste un tempo unico, reale e contemporaneo, ma piuttosto un presente fluido e esteso che porta tracce del passato, fatto sia di ricordo che di oblio, di rovine e cancellature. “La mostra suggerisce che Antichità e Modernità appartengono a una temporalità estesa apparentemente unica che mostra attraverso frammenti, come frasi interrotte in un testo discorsivo, brevi intervalli che in questo caso sono le mie opere intercettate all’interno delle sale del museo. Scegliendo questo titolo ho voluto portare nell’esposizione anche il mondo reale, con tutta la sua forza”, ha dichiarato l’artista».
«I soggetti di Araujo includono riferimenti alla cultura italiana contemporanea come Pinocchio, i film di Michelangelo Antonioni, i dipinti di Giorgio Morandi e le fotografie di Luigi Ghirri. “Adoro quei due artisti italiani. E trovo bellissimo che Ghirri abbia lavorato su Morandi, scattando foto del suo studio, per esempio. Ho guardato le loro opere e ho realizzato dei dipinti basati su di esse” afferma Araujo”. La mitologia antica è evocata attraverso svolte oblique e sognanti: l’opera di Cy Twombly e il suo personaggio raffigurati in una posizione malinconica, o dei Hypnos e Apollo».
«Tra i nuovi dipinti in mostra, emblematico è “L’Eclissi”. “Forse tutti i miei lavori, o almeno quelli scelti per questa mostra, funzionano come piccole eclissi: immagini che si sovrappongono ad altre immagini, linguaggio che si sovrappone ad immagini, oggetti moderni che interferiscono con dipinti antichi; come il telescopio astronomico contro il giardino di Livia: tutte piccole eclissi, eclissi discrete strategie che potrebbero portare un nuovo livello poetico di significato. All’improvviso accecando qualcosa, anche in modo frammentario, si riesce a vedere meglio, si vede meglio (…),” ha chiosato l’artista».
«Juan Araujo è noto anche per le sue opere che prendono vita da immagini di architettura moderna e paesaggi tropicali, nonché vedute di pianeti i cui nomi sono in risonanza con antiche divinità: Saturno, Giove, Plutone, Urano. L’astrofisica moderna ha rivelato che quando guardiamo le stelle nel cielo, otteniamo la risonanza visiva di eventi catastrofici e seminali accaduti milioni di anni fa, cogliendo a malapena i tremori dall’origine dell’universo. Guardare i pianeti è quindi simile a guardare il nostro lontano passato nei frammenti conservati in questo museo. Nuvole e ombre su Marte, antichi affreschi e frammenti scultorei, metamorfosi e cancellazione, ma anche sogno e risveglio improvviso dal furore della storia, danno forma alla sottile poetica pittorica di Juan Araujo».