La Collecciòn SOLO di Madrid riflette sulle opere che la compongono esponendone una parte in Handle With Care, mostra che evidenzia i legami inaspettati che reggono l’essenza della raccolta. Dal 20 marzo a dicembre 2024.
Una collezione è una storia di per sé, lunga e più sfaccettata di quel che si può pensare. Le ragioni dietro l’acquisto di un’opera d’arte possono essere diverse, sensibili a rafforzarsi o a venire meno nel corso del tempo; e la raccolta può quindi consolidarsi o cambiare. Un organismo vivo e mutevole, che come uno specchio racconta delle passioni di chi l’ha assemblata. Ma al tempo stesso, come una matrioska, contiene al suo interno altre storie, quelle raccontate dalle opere che la compongono, o dalle relazioni attese o inaspettate che esse possono suscitare. Con la bambola russa condivide perciò anche la delicatezza, in qualche modo la fragilità di un sistema che potrebbe essere alterato anche solo a causa di qualche piccola variazione.
Non fa eccezione in tal senso la Collecciòn SOLO, di base a Madrid ma internazionale nell’ampiezza di vedute, con al suo interno opere di artisti proveniente da tantissimi Paesi differenti, che utilizzano diversi medium e affrontano tematiche disparate. Solo sottili equilibri ne reggono la coerenza interna, tanto che l’ultima esposizione che la vede protagonista – all’Espacio SOLO, quartier generale della Collecciòn, situato dietro la Puerta di Alcalà – prende il nome di Handle With Care, maneggiare con cura. Scatole, ombre, bancali, polvere, etichette, casse, adesivi: questo lo scenario da magazzino che il museo ha predisposto per l’occasione, rinunciando al perfetto e limpido allestimento che solitamente una mostra richiede.
Lontano dalle luci sterili delle gallerie, nel buio troviamo tele arrotolate e sculture avvolte nel cotone grezzo, serrate nel dialogo misterioso dei rivoluzionari. Condannate alla lunga stasi di chi non sempre è esposto, si sussurrano tra loro desideri da sottosuolo, eversivi, pronti a manifestarsi alla prima occasione. Attraverso più di 80 opere realizzate da quasi 60 artisti, che spaziano dalla scultura alla pittura, dal suono all’intelligenza artificiale, Handle With Care offre uno scorcio intimo sulla Collecciòn SOLO, sui suoi risvolti più personali, così nascosti che solo ora hanno per la prima volta l’occasione di mostrarsi.
E c’è chi che lo fa con una certa belligeranza, come Typewriter Guns (2015-2019) di Eric Nado: quattro macchine da scrivere hanno assunto la forma di altrettanti armi da fuoco, fucili e mitragliette che aprono a diverse allusioni. La cultura ci fornisce le armi per resistere in questo mondo? Oppure ogni cosa, anche la più genuina, è destinata a rivelare il suo lato pericoloso? La transitorietà di tutto ciò che esiste, e dunque la sua propensione a cambiare, è rimarcata anche in self-contained 009 (2024), opera digitale del collettivo Entangled Others. Qui biologia e tecnologia dialogano a partire dall’analisi della variabilità genetica presente in natura, tradotta dall’intelligenza artificiale in immagini in continua mutazione, specchio dell’inarrestabile cambiamento che vivono flora e fauna.
Mutazione che a volte le porta sulla soglia del fantastico, come mostra il giapponese Yoshitaka Amano in Eve (2019). La grande stampa digitale rappresenta un modo colorato e fittissimo, popolato di una miriade di personaggi generati da una fantasia debordante. Ogni angolo del fantabosco è saturato da creature impossibili, come un ippopotamo dagli occhi rossi, un drago blu dalla bocca sigillata, una pantera demoniaca, una rana multicolore, una ninfa voluttuosa o una pianta rampicante che avvolge e viene avvolta da un serpente. Non esiste sfondo: tutta la natura, qui, è protagonista di una danza lisergica e travolgente. Un pizzico di assurdo rimane anche quando la Collecciòn si avvicina a temi più quotidiani, come tracciasse qui il suo filo rosso, nel solco di una realtà a cui bisogna sempre fare attenzione (Handle With Care), che non si sa mai quando sveli il suo lato sinistro.
Non vi sarebbe nulla di anomalo e sottilmente inquietante, per esempio, in una coppia che si gode una serata di quiete sul loro terrazzo cittadino. Se non fosse che l’uomo e la donna al centro di Pause (2004) di Tilo Baumgartel condividano l’atteggiamento contemplativo del predatore più che quello del monaco, di chi nasconde una minaccia più di chi cerca la pace. Entrambi osservano un polpo che rilascia il suo inchiostro nell’acquario dov’è intrappolato. Una sorte che immaginiamo condividano altri animali, in altre vasche, all’interno dell’appartamento. Il silenzio e l’atmosfera piovosa che si respirano all’esterno dovrebbero rendere l’abitazione un luogo di protezione e riposo, eppure tra le sue pareti si respira solo freddezza e una sottile linea d’angoscia.
La logica dell’artificio e della suggestione pervade anche le due grandi tele – Going Home for Christmas (2023) e Home and Away II (2021) – di William Mackinnon che una gigantesca (e a sua volta sinistra, con il corpo sventrato e gli organi in vista) bambola di Kaws osserva come fosse sdraiata su un prato un pomeriggio d’estate. Ed in effetti nelle due tele un prato si intravede, ma nello scenario il pomeriggio è già scivolato nella sera e la serenità rimane come solo una delle possibilità che possono verificarsi. Il pittore americano sfrutta l’oscurità come generatore di possibilità, coltiva il dubbio il mistero su ciò che è accaduto o non è accaduto, insinua un possibile collegamento tra le due opere, parti di un racconto che potrebbe essere lo stesso, oppure no.
Proprio in questa apertura di senso, a ben guardare, risiede proprio il valore e il compito delle collezioni, almeno quelle più personali e ambiziose: raccogliere lavori non pensati per stare insieme, ma che legati da una visione possono all’improvviso avvicinarsi, dialogare, arricchirsi a vicenda e infine sentirsi veramente parte di un unico organismo.