PAC è il nome di un noto museo milanese ma sono anche le vere iniziali di un amico collezionista che ha tante opere d’arte quante storie da condividere del periodo in cui collezionare era una vera passione e, come lui dice, faceva divertire. Di quando i criteri erano diversi e si andava un po’ a braccio, basandosi magari sul numero di ragazze che frequentavano l’atelier dell’artista o sulla possibilità di offrire, per l’acquisto, altri lavori in permuta. Antonio Sabatelli, ad esempio, – PAC racconta – aveva lo studio ad Albisola e un giorno lo invitò per una visita. Passarono tutto il pomeriggio a chiacchierare d’arte e quando, poco prima di sera, PAC si accorse che si era fatta una certa ora, si apprestò ad andare e salutò l’interlocutore. Varcò la soglia della porta e camminò per una dozzina di metri quando, attirato da strani richiami, si girò di colpo e vide alle finestre del primo e del secondo piano quattro ragazze in topless che lo fissavano. Fece per ritornare ma non ci fu verso di farsi aprire. “Non dovevi partire?” si sentì dire. E a lui parve incredibile che quelle ragazze avessero aspettato lunghe ore solo per mettere in scena la performance dell’autore, così da impressionarlo nell’’uscire. A quel tempo lo spirito era proprio diverso, si sceglievano opere poco comprensibili ma che facevano riflettere, tra errori e scelte giuste.
Quando si interessò al lavoro di Alighiero Boetti, tra gli altri, gli furono proposte due opere: un arazzo da un metro per un metro circa, con tanti colori e le parole messe in verticale, e una piccola Mappa, al tempo incomprensibile. La prima opera costava 10 milioni di lire e si riuscivano a leggere le frasi nei quadrati, l’altra ne costava 12 in totale e sembrava un banale ricamo che costava pure più caro. Scelse ovviamente il primo lavoro e quando me lo racconta, auto-ironico e rassegnato, aggiunge con un sorriso: “ci ho preso, vero?”. Altre volte è andata meglio, come per quello specchio di Michelangelo Pistoletto che ha ben visibile sul muro del soggiorno. Serigrafata sulla superficie specchiante c’è una bella donna sdraiata con il pube in chiara vista e, guardandola, si è automaticamente riflessi con lei nell’opera. Il parroco del posto, che passava di casa in casa per offrir la benedizione, vedendola subito nell’entrare si rifiutò di procedere. E se anche non protetta religiosamente, la casa-museo (che s’affaccia pure sul mare) è ricca di opere e persino di un caveau nascosto che ho avuto la fortuna di veder aperto. Tra le tante proposte c’è una bellissima Coca-Cola intelata di Schifano e, di fronte al mio sguardo rapito, partì il racconto del suo recupero. Una gallerista nota e molto attiva, tra le prima a proporre avanguardia in zona, esponeva anche i lavori di Mario Schifano e PAC si era deciso a volerne uno. Nessuna delle opere presenti sembrava però iconica al punto giusto e la gallerista gli suggerì di andare direttamente a sceglierla in studio. Lei avrebbe avvisato Schifano dell’imminente arrivo e PAC, in cambio, le avrebbe recuperato qualche lavoro. Così, soddisfatto, PAC organizzò il viaggio romano al quale si aggiunse un corniciaio del posto che fiutò l’affare e che si disse disposto a procedere a sua volta per un acquisto e a condividere parte delle spese di trasporto.
A bordo di una Citroën Due Cavalli i due partirono un bel mattino e arrivarono dopo diverse ore nello studio, con il corniciaio che aveva portato qualcosa di proibito per rompere il ghiaccio, sapendo che Mario avrebbe immediatamente gradito. PAC, ignaro e preoccupato, ne rimase indignato ma si concentrò nella ricerca del suo ideale lavoro, mentre Schifano, assentandosi per consumare il dono, chiedeva di fare in fretta e sgombrare presto il luogo. C’erano quasi un centinaio di opere ovunque e ne scelsero sei. Due se le tenne PAC, due il corniciaio, e due sarebbero state per la gallerista che aveva permesso il viaggio. PAC si riservò la Coca-Cola più ricca ed elaborata, con tanto colore e la composizione migliore, mentre dovette vendere l’altro lavoro a un amico, mettendogli come giusto che fosse un piccolo rincaro.
L’opera costava 100.000 lire e lui fu disposto a cederla per le 130 anticipatamente pattuite. Ci aggiunse però il plexiglass attorno come protezione, pagando preventivamente i 50.000 lire di spesa poiché il plexiglass al tempo costava come metà dell’opera. Purtroppo quell’ammontare non gli fu rimborsato e per PAC alla fine non fu certo un buon affare, ma PAC si tenne sempre stretto la sua Coca-Cola colorata, della quale scattò qualche polaroid che fece firmare di persona a Schifano un giorno che passò in zona. Del resto, mi dice, negli anni ’70 pochi pensavano all’autentica e gli artisti non rilasciavano nulla, si prendevano i soldi e basta. Nel frattempo all’amico inadempiente PAC ha tolto il saluto, la Due Cavalli è stata ceduta, la Coca-Cola è rimasta in casa, la gallerista d’avanguardia è solo storia e il corniciaio ha scontato qualche guaio con la legge per spaccio e consumo di cose che non si possono avere. A distanza di anni, quando nacque l’Archivio Schifano, PAC portò orgoglioso la tela con la Coca-Cola per la sua corretta autenticazione e nonostante il viaggio risalisse al 1975 fu attribuita all’opera una doppia datazione: 1974 – 1978. E PAC si diverte molto quando pensa che il Maestro ha continuato a lavorare alla sua opera anche dopo la vendita.
Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano), curatore (Settantaventidue, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle. IG: nicolamafessoni