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Stabat Mater dolorosa. Sul valore dell’arte: chi decide e in base a quali criteri?

Stabat Mater dolorosa
Stabat Mater dolorosa

Fischia il vento e infuria la bufera sul comune Partigiano Reggiano DOC di Milano per la controversa decisione della “Commissione esperti in materia di opere d’Arte per la valutazione delle proposte di collocazione di manufatti artistici negli spazi pubblici” (Nikolaj Vasil’evič Gogol’ non avrebbe saputo dire meglio) per aver negato la dislocazione della scultura raffigurante una maternità dell’artista Vera Omodeo, dono della famiglia al Comune, con la motivazione che, pur rappresentando certamente valori rispettabili ma tuttavia non universalmente condivisibili da tutti i citoyen, sarebbe più adatta ad un istituto privato, ospedale o ente religioso. Da qui il bordello.

Ora dire che la maternità non è universalmente condivisibile mi pare tanta roba. In fondo, almeno per ora, da lì tutti veniamo. Pure i queer. Ma non è in questo ginepraio che desidero infilarmi, piuttosto in quello dell’annosa questione dell’arte pubblica che spesso ammorba le piazze e i muri dei palazzi italiani in genere e di Milano in particolare. La scultura della maternità controversa andava rifiutata non per il nobile sentimento rappresentato, ma piuttosto perché è brutta, come altrettanto brutte e pure retoriche sono alcune opere di molti venerati maestri, per dirla come Alberto Arbasino, del contemporary sparse per le città. Iniziando dalla Mela Reintegrata, dello novello Monaco Zenone (venite meco che lo ponte regge) simbolico portale verso lo Terzo Paradiso per finire con il “Maximus Delens” e le sue diciassette tonnellate di marmo a rappresentare non il mitico chicco d’uva passa (della bombastica Margaret Lee con Johnny Dorelli) ma lo seme di arancio ingrandito 1.500.000 volte nella speranza “…che prima o poi, là vicino o in un luogo non troppo distante (la Triennale), qualcuno si decida a impiantare una fabbrica di nuovo tipo…” Mah!

Ora, se torniamo alle commissioni di esperti in materia di opere d’Arte e ai criteri di valutazione, si apre un bel problemino: chi decide e in base a quali criteri? In base a quella che un tempo si definiva chiara fama, o piuttosto ai dettami di un piccolo circolo Verdurin che oltretutto si trova sovente in palese conflitto d’ interesse, come alcuni autorevoli commenti a questa vicenda hanno evidenziato? Ai posteriori l’ardua sentenza.

Burocratici saluti

L.d.R.

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