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Rimettere tutto in discussione: Adriano La Licata, da Pantaleone

Piscine d'invenzione, installation view, ph by Fausto Brigantino
Adriano La Licata, Mainboard (3)
La prima personale di Adriano La Licata (1989) a cura di Agata Polizzi e Claudio Gulli, ospitata nella luminosa galleria di Francesco Pantaleone incastonata nel cuore di Palermo, nel titolo “Piscine d’Invenzione” suggerisce inganni visivi e concettuali stranianti, in un progetto concepito intorno due riferimenti: il primo alle Carceri d’Invenzione (1745-47) di Giovanni Battista Piranesi, e il secondo – come suggerisce l’artista stesso, al libro di Valentina Tanni Exit Reality (Nero editions, 2023). Questi sono i presupposti concettuali per configurare distorsioni, glitches e tracce dell’immaginario dell’artista intreccia pratiche digitali, scultura, pittura e interferenze creative, che mescolate insieme producono “schermi” di allusioni e di ironia.

Adriano è figlio d’arte, vive e lavora nel quartiere brulicante Vucciria di Palermo, frequenta e condivide progetti collettivi con artisti non soltanto palermitani, e trasforma la relazione umana in trama di operatività creativa. L’opera sta nel suo sguardo beffardo sul mondo, stralunato e curioso celato dietro gli occhiali: è voyeur della realtà, che compare in molte opere in mostra, e dai suoi occhi dobbiamo partire per fare un tuffo dentro il suo mondo d’immagini distopico ma armonioso tendente all’evasione, a cui invita la mostra.
Ma ci sono anche compressione di fonti d’ispirazione diverse perché, lo sappiamo, l’arte si fa con tutto. In galleria troviamo fotografie stampate su diversi supporti, anche su tela trovata e non incorniciata, grandi e piccoli acrilici dipinti con elastici al posto dei pennelli, in cui segno, gesto e pittura sono convergenti. Immobilizza lo sguardo un trittico esilarante Mainbord (2-3.4), composto cerotti su tavola di legno; una soluzione astratta-geometrica che sarebbe piaciuta a Mondrian.

Adriano La Licata, Frigus, 2024, dettaglio

Le diciannove opere esposte per lo più create per questa mostra, sono affiancate per associazioni concettuali e incorniciano un immaginario sui generis che attraversa astrazione e figurazione, in cui nulla è come sembra. Sono i dettagli delle opere a svelare le interferenze casuali incluse nel processo creativo dell’autore palermitano, da scoprire più che raccontare. Stranisce Ulisse (2024) un minuscolo rinoceronte in piombo ispirato alla famosa stampa di Albrecht Durer (1515), l’animale all’epoca sconosciuto in Europa e importato a Lisbona, che suscitò molta curiosità tra studiosi e popolo portoghese, che proprio come lo sguardo di La Licata sbircia i nostri movimenti, osservazioni e provoca domande ai fruitori straniti davanti a opere rebus d’invenzioni, assolutamente improbabili come Frigus (2024), uno sportello di frigorifero issato su una colonna al centro della raffinata galleria, concepita quasi come quinta scenografica che rompe il rigore minimalista dell’allestimento, messo lì per sorprendere il fruitore, invitato a tuffarsi dentro una piscina di alterazioni d’ispirazione poverista-dada, in cui ogni singolo oggetto non è lì per caso, come si vorrebbe far credere.

Piscine d’invenzione, installation view, ph by Fausto Brigantino

Levità, rigore, processualità sistematica di ricerca casualità, provocazione coesistono nelle sue opere disorientanti, volutamente ironiche, che seguono il ritmo vorticoso della libertà espressiva di un’artista irriverente, colto e non etichettabile, cultore di storia dell’arte e cinema, che se da una parte vorrebbe sfuggire dalla realtà, dall’altra parte sguazza dentro la cultura digitale, come specchio della complessità del nostro tempo caotico, ma anche magico, con opere antidoto contro la noia. La Licata è egocentrico e fa capolino qua e là nei suoi autoscatti, intrecciando “illusività immaginifiche” con piglio infantile dentro a opere rigorosissime, in cui ogni cosa e connessa all’altra, memoria inclusa, e tutte nuotano in questa “piscina” magmatica, uniche nelle loro differenze formali, cromatiche e materiche che rispecchiano gli ambienti digitali e reali in cui fluttuiamo. I suoi occhi spiano il fruitore che si aggira sospetto tra opere composte da materiali anche di scarto, che non mistificano nulla, ma tendono ad altro e rimettono in discussione tutto.

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