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Ada Marino e l’indagine sull’universo femminile, l’intervista e le immagini più belle

COURTESY ADAMARINO
COURTESY ADAMARINO

Conosciamo Ada Marino, artista visiva italiana che indaga i ricordi, gli eventi e i traumi del passato attraverso una profonda introspezione manifestando allo stesso tempo un magico e oscuro surrealismo. In questa intervista Ada Marino ci accompagna in un viaggio tra  vita , arte, esperienze personali e sentimenti condivisi per diventare un canto universale di rinascita e resilienza.

Vorrei mi parlassi di te come persona, del tuo background e di come questo abbia influenzato la tua pratica, facendo riferimento anche le tue esperienze ai i tuoi ricordi.

Sono nata e cresciuta a Napoli e questa città ha segnato nel bene e nel male un pezzo del mio percorso di vita. Un luogo vibrante un po’ sacro e un po’ profano, con il culto dei Santi, di Madonne e Diego Maradona ad ogni angolo, brulicante di tradizioni e simbolismi dalle radici antiche.

Il mio background è composto da fede e superstizione, ottimismo e disperazione, che incarna una sorta di bipolarismo napoletano che mi ha permesso di sviluppare le qualità per analizzare fattori ambivalenti. Crescere in un contesto ostile tempera i caratteri, influenza il modo di pensare e ha profondamente plasmato la mia formazione artistica e personale, sentendomi profondamente legata alla mia cultura meridionale, al suo folklore, ed alla sua realtà conflittuale nonostante sia andata via giovanissima. La mia pratica infatti parte proprio dalle esperienze vissute, da ciò che ho assorbito da quella “terra nera e fertile” come direbbe Jean-Paul Sartre, forse un po’ come affermazione della mia identità culturale e senso di appartenenza, ma anche per esorcizzare il dolore di essere cresciuta in un ambiente conservativo, patriarcale e colmo di ostilità nei confronti delle donne. Questo ha però anche alimentato dentro di me il desiderio di sfidare le norme culturali e raggiungere aspirazioni tradizionalmente ritenute non alla portata da chi arriva da un contesto simile. Dopo aver dedicato la mia giovinezza alla famiglia, riflettendo un po’ lo spettro socio-culturale da cui provengo, ho deciso nel 2019, quasi all’alba dei 40 anni, di intraprendere gli studi con un corso di Documentary Photography & Visual Activism presso l’ University of Wales Trinity Saint David di Swansea.

Oggi non mi definisco una fervente femminista, ma piuttosto una donna che si sforza di liberarsi dall’ombra dei paradigmi patriarcali, attraverso l’attivismo visivo, con l’obiettivo di presentare una prospettiva emancipata, di testimonianza e denuncia, soprattutto rivolta di chi’ à ancora attaccato ad una realtà sociale in cui la donna ricopre un ruolo subordinato.

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Paterfamilias è un progetto autobiografico, un’indagine visiva che esplora il tema dell’oppressione nella sfera domestica, in risposta al quale nasce poi la serie New Moons. Mi parli di questi due progetti e del nesso che li collega?

Paterfamilias nasce come tributo a mia nonna, la celebrazione della resistenza dimostrata negli anni più bui. La mia missione era inoltre far luce su un fenomeno sociale troppo spesso sottovalutato e che non è stato ancora completamente sradicato. La serie Paterfamilias ha rappresentato un lungo percorso, formativo sia artisticamente che in termini personali, di introspezione, riparazione interiore, e per onestà direi anche come manifestazione di una rabbia covata, che durante il percorso si e’ dissipata, ma che soprattutto voleva fornire una visione esaustiva del fenomeno con una precisa funzione documentaristica.

Attraverso di esso ho cercato di affrontare molteplici dinamiche senza soffermarmi su un unico aspetto, ma cercando di analizzare più problematiche di quello che è un argomento vasto e complesso. New Moons nasce come desiderio di andare oltre, di manifestare attraverso la mia pratica la mia visione del futuro, un messaggio attivista che vuole essere una voce incoraggiante e sostituire il senso di smarrimento e vulnerabilita’ di una donna annientata da un ambiente domestico tossico con la resistenza ed il concreto riscatto sociale.

I 2 progetti navigano nello stesso spazio femminile, ma svolgono delle funzioni ben distinte, il primo informa, il successivo agisce. Anche i titoli hanno un etimologia completamente opposta, e mentre Paterfamilias indica un nucleo dominato dal maschio, New Moons con riferimento ad una nuova fase lunare, simbolizza la fine di un conflitto e l’inizio di una nuovo ciclo annunciando un futuro più egualitario e un fenomeno sociale che comincia a scemare. La coesione visiva tra i due progetti giunge attraverso l’uso deliberato di elementi, come la carta da parati. Questo filo conduttore stabilisce una continuità visiva, collegando le installazioni di Paterfamilias con la rappresentazione fotografica di New Moons. Un altro elemento di connessione sono le tracce della mistica femminile in New Moons, per descrivere le conseguenze di un patriarcato spietato, le cui ombre persistono nel tempo.

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Blessing if ruins invece?

Blessing of Ruins è l’unione dei progetti Paterfamilias e New Moons e viene concepito per la mostra organizzata da Artphilein Foundation a Casa Azul. Esso vuole esaltare la rinascita da un cumulo di macerie attraverso una narrazione ininterrotta e che richiama all’aspetto concettuale di rinnovo e guarigione del Kintsugi, per regalare una luce e una visione nuova partendo dalle rovine.

La scelta del bianco e nero come è avvenuta?

Secondo il fotografo Elliott Erwitt, “Il colore è descrittivo. Il bianco e nero è interpretativo”. Nel contesto dell’esplorazione di temi più profondi, la scelta di utilizzare il bianco e nero può potenzialmente aumentare l’impatto ed evocare una risposta emotiva più intensa da parte del pubblico. Rendendo Paterfamilias in bianco e nero ne ho volutamente esasperare la drammaticità e New Moons in quanto progetto risposta doveva rispecchiare le stesse caratteristiche per non dimenticare la sua origine nonostante esso si proietti al futuro. Il mio ultimo lavoro “Virgins on the Cross” invece abbraccia una forma “diversa”, di sperimentazione attraverso la fusione di bianco e nero con immagini a colori, anche con l’intento di alleggerire la mia pratica e non essere identificata come una fotografa che lavora esclusivamente in bianco e nero.

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L’ultimo progetto è Virgins on the Cross, ce lo illustri?

Con “Virgins on the Cross” scelgo di rimanere ancora nel territorio femminile toccando da vicino la maternità. Questo progetto ha duplici funzioni ossia quella di esplorare l’ambivalenza della maternità, ma anche smantellare la narrazione romanticizzata della maternità nel linguaggio visivo frutto dei paradigmi della società tradizionalista e che ha trasferito nozioni stereotipate intorno alla figura delle madri.

Sono rimasta colpita dal modo in cui riesci a fare composizioni così forti, cariche di simbologie che rimandano anche a un vissuto personale, che riflette le esperienze di molte altre donne. Eppure la surrealtà unita alla poetica dell’immagine, rende le tue immagini evocative. catturano l’occhio Riesci a coniugare in modo perfetto tematiche delicate senza risultare banale, anzi il tuo linguaggio è riconoscibile. In che modo hai lavorato per arrivare a questo risultato?

Intanto grazie mille, sono felice che le mie immagini arrivino a suscitare interesse, nonostante un linguaggio visivo complesso che va oltre il confine delle immagini esplicite. Il mio intento è stato sempre quello di adottare uno stile distintivo ai fini di raggiungere un individualità artistica e che spinge lo spettatore a confrontarsi ed interagire con delle realtà scomode, lasciandogli anche la libertà di un proprio spazio interpretativo. L’ ampia ricerca in ambito fotografico e arte performativa e’ stata una base solida per la formazione del mio profilo artistico. Uno dei primi approcci avviene con le artiste Cindy Sherman, Martha Rosler, affascinata dal rimodellamento della narrativa convenzionale per combattere gli stereotipi.

La ricreazione di scenari “teatrali”, il velato surrealismo e l’ inquietudine palpabile di Francesca Woodman. Weronika Gesicka e Johanna Patrioska entrambe, anche se in modalità diverse, coinvolte in contesti domestici, archivi familiari, comportamenti sociali devianti narrati criticamente attraverso un immaginario disturbante.

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Cosa dobbiamo aspettarci dalla prossima presenza al Liquida Photofetival a Torino?

Insieme alla collaboratrice Artphilein e quest’anno parte della giuria del Liquida Grant Vittoria Fragapane, stiamo collaborando allo sviluppo della curatela di New Moons, per dare vita ad una nuova installazione in uno spazio espositivo, la Cavallerizza Reale, carico di energia e che l’anno scorso ha ospitato il lavoro Paterfamilias. L’ integrazione di vari elementi, oltre alle immagini, conferirà una certa fisicità all’ intera opera e questa materializzazione guiderà il pubblico a sentirsi maggiormente coinvolto.

Sarà un contatto all’irrequietezza femminile, ma anche ad un desiderio di emergere perchè malgrado in New Moons possa essere percepita una sorta di tensione, il progetto è avvolto da un’aura di positività ed intende lanciare un messaggio di speranza e determinazione femminile.

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