Chi ha letto Cecità di José Saramago ricorda la sensazione narrata dall’autore portoghese: “come essere immersi in un mare di latte a occhi aperti”. Il libro inizia proprio così, con quel mare di latte che si propaga di persona in persona, come un’epidemia, finché quasi tutti gli abitanti di una città indefinita perdono la vista. Le regole a questo punto sembrano riscritte, è un mondo rovesciato. Per non contagiare chi ancora ci vede, i ciechi vengono rinchiusi in un vecchio manicomio, ma quando l’epidemia diventa incontrollabile vengono abbandonati a loro stessi. È qui che l’uomo rivela la sua massima ferocia, i suoi comportamenti e istinti primordiali. Nel suo racconto fantastico, Saramago disegna la grande metafora di un’umanità bestiale e feroce, incapace di vedere e distinguere le cose su una base di razionalità, artefice di abbrutimento, violenza, degradazione. Cecità è un romanzo di valenza universale sull’indifferenza e l’egoismo, sul potere e la sopraffazione, sulla guerra di tutti contro tutti, una dura denuncia del buio della ragione.
Virgilio Sieni, in questo suo ultimo lavoro (in scena mercoledì 17 aprile al Teatro Ivo Chiesa nell’ambito della stagione del Teatro Nazionale di Genova), si è ispirato al celebre romanzo scritto da Saramago nel 1995, e lo spettacolo è una nuova tappa nell’appassionata sperimentazione sul gesto e il movimento del pluripremiato coreografo fiorentino.
L’avvio ci riporta nello stato di ansia dei protagonisti del libro: un tulle bianco non fa vedere cosa sta al di là del palco. Il pubblico è immerso in quello stato di cecità bianca che indubbiamente crea fatica e stanchezza agli occhi. Flash e lampi di luce influenzano la visione, creando un effetto prolungato di fotofobia che richiede riposo. Tutta la prima parte della coreografia di Sieni è giocata dietro a questo sipario opaco, e sul quale le immagini non si fermano. I danzatori si muovono in maniera sincopata, un po’ freneticamente, un po’ con lentezza. É chiaro il loro disagio che si legge nelle mani aperte che cercano appiglio sul tulle. Ombre imprecisate, parziali anatomie, figure incomplete come linee luminose di interferenza nell’alternarsi delle cromie.
Nella seconda parte (per fortuna per gli occhi degli spettatori) si alza il tulle più spesso, lasciando spazio a un velo più leggero che continua a sfumare la visione. Appaiono i sei corpi degli interpreti (Jari Boldrini, Claudia Caldarano, Maurizio Giunti, Lisa Mariani, Andrea Palumbo, Emanuel Santos), in uno spazio chiuso da larghi tendaggi che rappresenta il «mare di latte nel quale sono caduti gli abitanti del mondo». A terra vediamo sparsi fantocci, resti di corpi definitivamente arresi al suolo. Sono corpi incapaci di reggersi in piedi, continuamente spezzati o morti. È senz’altro il cannibalismo indotto nel romanzo di Saramago, ma può essere letto anche in maniera diversa: gente sopraffatta da un mondo usa e getta che ti prende e consuma senza che tu riesca più a reagire. Chi resta diventa selvaggio per forza. Non siamo più al servizio di un mondo ordinato, ce lo conferma anche l’universo sonoro di Fabrizio Cammarata, assolutamente d’effetto.
La terza parte introduce in scena la figura spettrale di un Arlecchino tutto bianco e senza volto che si aggira tra esseri che di umano hanno mantenuto solo il corpo, perché il volto è già quello di animali: cani, cervi e un cavallo. L’Arlecchino tiene in mano una lunga asta che termina con un microfono che fa vibrare poggiandolo sul telo bianco perimetrale: nel suo vibrare il microfono cerca e raccoglie i suoni di un mondo che forse non c’è già più. A che serve tutto ciò non sappiamo, forse ad aggrapparsi a ricordi lontani, o forse a cercare una via di salvezza che se c’è nel libro, non vi è assolutamente nella performance di Sieni.
Il lavoro di Sieni è meticoloso, attento, sensibile. Il coreografo tratta con rispetto e consapevole il testo, il suo è senz’altro un prodotto di pregio.
Cecità è una produzione Centro Nazionale di produzione della danza Virgilio Sieni ,TPE Teatro Piemonte Europa, Teatro Metastasio di Prato.