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Human Image Recognition di Alessandro Sambini. L’arte di saper vedere, tra fotografia e IA

Human Image Recognition di Alessandro Sambini
Human Image Recognition di Alessandro Sambini

Che ne sarà della fotografia nell’era dell’intelligenza artificiale? E che ne sarà di fotografi e artisti, “sostituiti” da prompt testuali e algoritmi in grado di generare una narrazione della realtà attendibili tanto quanto quella “vera” del fotogiornalismo e del reporting? Queste e molte altre domande affollano la mente della critica come del grande pubblico, preoccupato che l’introduzione di nuove tecnologie digitali possa radicalmente cambiare l’esperienza del vedere così come la conosciamo oggi.

Il rapporto tra fotografia e IA è, però, molto più profondo di quanto possa sembrare all’apparenza. A una affidiamo il compito di restituirci un’immagine veritiera di ciò che ci circonda, mentre diffidiamo dell’altra per la sua capacità di ingannarci creando immagini sempre più credibili, seppur fittizie. Eppure, anche la fotografia conosce da sempre l’ambiguità e il rimaneggiamento. Già oltre un secolo fa, i fotografi intervenivano manualmente per schiarire o scurire determinate parti, oppure sezionavano i negativi per combinarli e dare vita a nuove immagini.

Human Image Recognition di Alessandro Sambini

Sia la fotografia che le immagini create con l’utilizzo di sistemi digitali nascono dalla precisa scelta di una “mente” – umana o artificiale che sia –che sceglie di selezionare specifiche porzioni della realtà e di manipolarle per dar vita a una nuova prospettiva del mondo. La differenza fondamentale sta nelle modalità con cui ciò avviene: nel primo caso, l’interpolazione avviene grazie all’intervento esclusivo del fotografo o del reporter che sceglie il soggetto da ritrarre, delimita l’inquadratura e definisce cosa ne verrà tagliato fuori, post-produce e rielabora fino a ottenere il risultato desiderato. Qui l’azione è squisitamente umana e il supporto fotografico rimane a disposizione assoluta del creativo che lo utilizza.

Al contrario, nel secondo caso, l’immagine che si ottiene a seguito di un input inserito in una IA è in parte soggetta alla casualità, ossia alla quantità e alla qualità di dati che la macchina utilizza, differenti di tentativo in tentativo seppur lo spunto iniziale fornito dall’utilizzatore sia lo stesso. Forse, è proprio questa parziale perdita di controllo ciò che spaventa di più l’uomo, abituato ad avere le redini di ciò che accade intorno a sé, a controllare l’ambiente che lo circonda, a essere – insomma – “faberfortunaesuae”, artefice della propria sorte.

Human Image Recognition di Alessandro Sambini

Eppure, questa forma di cecità dell’intelligenza artificiale, questa sua incapacità di percepire il mondo nello stesso modo in cui farebbe un cervello umano, è ciò che più ha incuriosito Alessandro Sambini (Rovigo, 1982), che da anni si interroga sulle potenzialità e sui limiti della fotografia. Nel corso delle sue ricerche – iniziate nel 2016 e continuate negli anni successivi, in dialogo con i ricercatori del MIT (Massachusetts Institute of Technology di Boston) – l’artista ha focalizzato la propria attenzione sui bias a cui sono sottoposti i sistemi digitali generativi, derivanti in primis dal fatto che la maggior parte delle intelligenze artificiali basano la loro alta percentuale di accuratezza ed efficienza su un numero limitato di database visuali di riferimento.

Così, proponendosi di osservare la realtà come farebbe l’IA – cioè basandosi sulla propria raccolta di immagini, reference e ricordi che derivano da esperienze, studi e dalla più generale cultura visuale occidentale in cui siamo immersi –Sambini ci offre una nuova modalità di guardare al presente. Se, per dirla come il sociologo Marshall McLuhan, “il medium è il messaggio”, in questo caso è l’occhio dell’artista stesso a farsi medium, riconoscendo in maniera inedita ciò che ha davanti ed estrapolando frammenti di memoria a cui assimilarlo.

Human Image Recognition di Alessandro Sambini

Le immagini protagoniste del progetto espositivo “Human Image Recognition” – visitabile gratuitamente con prenotazione obbligatoria su Eventbrite (https://www.eventbrite.it/e/human-image-recognition-tickets-866123778537) presso la sede milanese di BPER Banca Private Cesare Ponti (Piazza Duomo, n.19) fino al 27 giugno 2024– vengono scandagliate, sezionate e scomposte fino a quando i singoli elementi non assumono una vita propria, indipendenti dal contesto e da ciò che sta loro intorno. Delimitando ogni soggetto in uno spazio circoscritto e indicando cosa (e in che percentuale) ciò che vede gli ricorda qualcos’altro, Sambinici permette di entrare all’interno del suo personale campionario di riferimenti. L’artista prova a operare proprio come farebbe una macchina, estremamente attenta e precisa seppur incapace di realizzare il valore di ciò che vede nel complesso e la relazione che lega i singoli elementi: il risultato ci dice qualcosa di lui, della sua memoria, ricostruendo il dataset a cui ha attinto e attraverso cui ha strutturato la propria prospettiva e visione.

Human Image Recognition di Alessandro Sambini

La mostra – curata da Andrea Tinterri e Luca Zuccala, Patrocinata dal Comune di Milano e organizzata con la collaborazione dell’Art Consultant Giorgia Ligasacchi, del team arte di Pavesio e Associati with Negri-Clementi, e diGalleria Indice – presenta tre casi studio, naturale evoluzione della ricerca condotta dal creativo negli anni precedenti. Il percorso espositivo si apre con tre pale che riproducono a grandezza naturale la grande tela “Maria Stuarda nel momento che sale al patibolo” (1827) di Francesco Hayez, su cui l’artista è intervenuto eludendo racconto e significato dell’opera originaria. Il quadro viene trattato solo come pura e semplice immagine in cui una composizione di volti, corpi ed elementi architettonici si susseguono senza un legame logico. All’interno dello spazio della banca le opere sono visibili integralmente, mentre sull’altro versante, fronte strada, sono riprodotti e ingigantiti alcuni dettagli del dipinto. In tal maniera, si crea una sinergia di scala tra dentro e fuori che trasforma la vetrina in una lente di ingrandimento altamente performante.

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Le altre opere presenti in banca sviluppano due differenti linee d’indagine. Da una parte fotografie che raffigurano luoghi di villeggiatura scattate da amici e conoscenti dell’artista, del tutto simili a poster o cartoline di qualche agenzia di viaggio, logica continuazione del progetto iniziale cominciato su quelle che Sambini definisce “vanilla images”, ossia immagini di largo consumo di note pubblicità. Dall’altra, immagini create dall’intelligenza artificiale che simulano vedute di paesaggi incredibilmente simili ad alcuni tra i più celebri scatti della storia della fotografia contemporanea. Anche in questi lavori, come nel caso dell’opera di Hayez, l’intervento dell’artista evidenzia una fitta rete di sottotesti, derivanti sia dalle sue memorie sia dall’immaginario collettivo a cui noi tutti possiamo attingere.

Questo suo particolare modo di guardare alla realtà, questo estremo esercizio di astrazione e ricognizione, ci dice in realtà qualcosa sul modo in cui tutti gli uomini osservano il mondo. “L’obiettivo non è mettere in luce le insidie della macchina designando scenari distopici – sostiene il curatore Andrea Tinterri – ma, anzi, cogliere le opportunità derivanti da un metodo che rivela una potenzialità visionaria altrimenti inespressa.” Si tratta, quindi, della capacità di accedere a e utilizzare “una diversa forma di immaginazione.”

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