Questa non è una caffettiera. William Kentridge porta a Venezia la mostra Self-Portrait as a Coffee-Pot. Una serie di nove film di cui è autore e protagonista. All’Arsenale Institute for Politics of Representation fino al 24 novembre 2024.
Mai stati nello studio di William Kentridge a Johannesburg? L’occasione per visitarlo è la mostra, dal titolo dadaista e surreale, Self-Portrait as a Coffee-Pot. Una serie di nove film da vedere in un ambiente dove è stato ricostruito il luogo della creatività dell’artista, filmmaker e regista teatrale sudafricano, il cui lavoro è caratterizzato dall’utilizzo simultaneo di diversi mezzi espressivi, dalla pittura alla scultura, al disegno, alle videoproiezioni.
Perché come una caffettiera? “Mi ha ispirato la classica moca Bialetti, di cui ho parecchi esemplari, con la sua forma antropomorfa, piuttosto femminile, e il coperchio che quando è aperto sembra una marionetta che canta. Lo studio stesso, dopo 40 anni, mi riflette”, spiega Kentridge, che ha già in programma di sviluppare un’opera di Monteverdi a Johannesburg, sempre disegnando. L’idea di un esperimento, attraverso opere filmiche, su cosa potrebbe succedere nella testa e nello studio di un artista, sospeso tra autoriflessione e gioco, è nata durante l’isolamento.
Questo particolare itinerario – che fa venire in mente, con le debite differenze, il Viaggio intorno alla mia camera di Xavier de Maistre – comprende nove episodi di 30 minuti ciascuno, creati, diretti e interpretati dall’artista, anche ottimo attore. I video erano pensati inizialmente per essere distribuiti online, sui cellulari o in televisione, ma alla fine i diritti di streaming globali della serie sono stati acquisiti dalla casa di distribuzione di cinema d’essai MUBI (e prodotta da Rachel e Noah Bashevin di The Office Performing Arts + Film, da Joslyn Barnes di Louverture Films e dal William Kentridge Studio, e a cura di Walter Murch, Janus Fouché e Žana Marović).
“Le riprese sono iniziate durante il primo lockdown. Lo studio è anche una testa espansa, una camera di pensieri e riflessioni dove tutti i disegni, le foto e i residui sulle pareti dello studio diventano questi stessi pensieri“, racconta Kentridge. All’Arsenale Institute of Politics of Representation, ci si trova di fronte a un allestimento-installazione in cui viene riprodotto parzialmente l’atelier dell’artista. Uno spazio chiuso, che rimanda all’isolamento causato dal Covid e alla mancanza di libertà.
“Dietro il titolo Self-Portrait as a Coffee-Pot c’è il fare artistico all’interno dello studio e come si costruisce la soggettività attraverso il fare stesso. Negli intervalli tra un film e un altro, si possono vedere gli appunti, i disegni dell’artista, come se ci si trovasse nel luogo della sua creatività. Nella serie di film gli alter ego e i doppelgänger (sosia ndr) di Kentridge dibattono su una serie di questioni: come funziona la memoria? Cosa crea il sé? Perché la storia va sempre storta? Si potrebbero interpretare le opere come un’inversione dell’ossessiva divisione narcisistica delle personalità della nostra epoca di avatar sui social media, in forme di tranquilla psicoanalisi”, racconta la curatrice Carolyn Christov-Bakargiev – già direttrice del Castello di Rivoli – amica dell’artista e autrice della monografia sui suoi lavori pubblicata nel 1998.
L’esposizione si snoda tra il pianterreno e il primo piano dell’edificio. Un’occasione per scoprire l’Arsenale Institute of Politics of Representation, fondato nel 2006 dal fotografo-artista Lewis Baltz (1945-2014), dall’architetto Marco de Michelis e dal filosofo Wolfang Scheppe, che ne è attualmente il direttore. Un’istituzione internazionale di studi culturali e filosofici, che si concentra sulla politica dell’immagine in diverse aree della comunicazione sociale, nei media e nelle arti. Con un focus sui movimenti d’avanguardia del XX secolo, in particolare sullo scrittore e drammaturgo francese Raymond Roussel, su Marcel Duchamp e sui movimenti DADA, surrealismo, lettrismo e situazionismo. La mostra di William Kentridge è sostenuta da Goodman Gallery, Lia Rumma Gallery e Hauser & Wirth.