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A New York le opere di Giuseppe Penone dal 1970 al 2023, da Marian Goodman

Un'opera id Giuseppe Penone. Courtesy Marian Goodman Gallery
Un’opera id Giuseppe Penone. Courtesy Marian Goodman Gallery

Per la settimana dell’arte di New York Marian Goodman presenta un’imponente mostra dedicata a Giuseppe PenoneHands – Earth – Light – Colors“, con opere dal 1970 al 2023, visitabile dal 3 maggio al 29 giugno.

Nel percorso espositivo «una selezione di opere fotografiche, sculture e lavori recenti su tela che coprono gli anni 1970-2023, evidenziando un tema concettuale che ha animato la sua pratica e continua a risuonare oggi. Al centro di questo tema c’è la nozione di tatto e la sua importanza per l’artista: “toccare, comprendere una forma, un oggetto è come ricoprirlo di impronte. Una traccia formata dalle immagini che ho sulle mani”, scriveva Penone nel 1969. Al di là delle convenzioni della vista, l’impronta per Penone è il tatto trasformato in un gesto fossile che registra e modella la nostra realtà e le nostre percezioni. Indice dell’individuo, è contemporaneamente unico e “l’immagine più democratica che si possa trasmettere, un’immagine che riconduce l’uomo alla materia, alla natura”. Il tatto e il respiro, forme che appartengono a tutti, trasmettono il tattile al visivo, alla base della nozione di scultura vivente di Penone», ha anticipato la galleria.

Il percorso espositivo annunciato dalla galleria

«Plasmato da un movimento concettuale degli anni Sessanta e Settanta che cercava di fondare l’arte sui materiali di uso quotidiano, Penone ha lavorato in un ambito distintivo all’interno della tradizione dell’Arte Povera con un corpus unico di opere che privilegia il processo, il tempo, i fenomeni, il corpo e la natura come materiali scultorei, offrendo una continua reinterpretazione di queste forme e del loro significato.
In mostra sarà esposta una selezione di opere fotografiche, sculture e lavori recenti su tela che coprono gli anni 1970-2023, mettendo in evidenza un tema concettuale che ha animato la sua pratica e che continua a risuonare ancora oggi. Al centro di questo tema c’è la nozione di tatto e la sua importanza per l’artista: “toccare, comprendere una forma, un oggetto è come ricoprirlo di impronte. Una traccia formata dalle immagini che ho sulle mani”, scriveva Penone nel 1969. Al di là delle convenzioni della vista, l’impronta per Penone è il tatto trasformato in un gesto fossile che registra e modella la nostra realtà e le nostre percezioni. Indice dell’individuo, è contemporaneamente unico e “l’immagine più democratica che si possa trasmettere, un’immagine che riconduce l’uomo alla materia, alla natura”. Il tatto e il respiro, forme che appartengono a tutti, trasmettono il tattile al visivo, alla base della nozione di scultura vivente di Penone.

Punto di partenza di questa mostra è una prima scultura del 1979-82 intitolata Cocci, che traccia l’impronta delle mani a coppa dell’artista che tengono un recipiente frammentato, conservato attraverso il gesso colato. Queste forme solidificate delineano sia i cocci residui di un recipiente sia la forma dell’artista che stringe le mani intorno ad esso, ricordando il gesto primordiale di cercare di trattenere ciò che è fluido.

Ispirato dai gesti e dalle azioni di Cocci, due decenni dopo, nel 2004-05, Penone ha intrapreso un processo simile: creando forme di gesso più grandi che ricalcano l’impronta della mano, sostituendo i frammenti di vaso con blocchi di legno per bambini e fondendo i blocchi in acciaio. Con le forme in gesso in bronzo e i blocchi di legno in acciaio è stata creata Geometria nelle mani, 2005. La serie di cinque sculture esposte in mostra contiene un ricordo di Cocci. Le superfici in bronzo, apparentemente naturali, ricordano le impronte umane e sono accostate a geometrie in acciaio inossidabile, creando una dialettica di forme. All’interno di ciascuna scultura si nasconde una complessità: un piccolo vuoto della stessa forma del blocco di legno attraverso il quale si intravede la mano dell’artista – il principio di creazione al centro della pratica di Penone.
In un gruppo di opere giovanili del 1970-1973, Coincidenza di immagini e Svolgere la propria pelle, le fotografie di una parte del corpo sono correlate a stampe a inchiostro delle rispettive aree cutanee, stabilendo una relazione tra la rappresentazione visiva e la percezione del tatto e rivelando la ricchezza dell’immagine della pelle. Queste opere suggeriscono che l’incontro fisico con l’universo è più profondo dell’esperienza che se ne fa attraverso la vista.

Una mano che afferra il tronco di un giovane albero, mantenendone la presa anche quando l’albero continua a crescergli intorno per sei, otto, dodici, sedici anni. Fin dalle sue prime opere, Alpi Marittime del 1968, per Penone l’albero conserva la memoria di un’azione nel tempo, dando vita al rapporto tra le forme e all’impronta della mano all’interno di una scultura.
Installate a parete e sospese a un cavo d’acciaio sono le opere di Avvolgere la terra – il colore nelle mani, 2014, ciascuna formata ingrandendo una manciata di argilla che reca l’impronta delle mani dell’artista e rivelando tale impronta in terracotta e pigmenti di rosso, rosa chiaro, blu e giallo.
Nelle sue opere più recenti, una serie intitolata Impronte di Luce, 2023, Penone si rivolge alla pittura, esplorando il gesto e l’impronta in un contesto completamente nuovo. In ognuna di queste opere i gesti delle mani impressi su carta con l’inchiostro vengono ingranditi e trasportati su tela per creare composizioni colorate. I colori brillanti dello sfondo delle tele derivano dalla “policromia architettonica” di Le Corbusier, una tavolozza cromatica di 63 colori formulata nel 1931 e arricchita nel 1959. Ogni tela ha le proporzioni di un quadrato perfetto di 183 x 183 cm, ispirato al “Modulor”, il sistema antropometrico di proporzioni e misure di Le Corbusier basato sul rapporto aureo.

Le forme danzanti che emergono da queste tele, simili a impronte di corpi e a forme astratte, appaiono antropomorfe e vegetali. L’ispirazione per Impronte di Luce è stata una mostra al priorato di Couvent de la Tourette, in Francia, nel 2022, in cui Penone ha risposto alla pelle originale dell’edificio di Le Corbusier con una serie di disegni di frottage che ricalcano le venature del legno delle pareti, interpretandole ancora una volta nel contesto dell’architettura e dello schema cromatico di Corbusier. Gli sfregamenti dell’edificio anticipano le opere attualmente in mostra, reimmaginandole in una tavolozza affine e in una nuova forma come gesti del corpo: “L’impronta rivela il rapporto aureo che ho nelle mani”, dice Penone».

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