70 opere per 60 anni di carriera. La retrospettiva che il Museo Guggenheim Bilbao dedica a Martha Jungwirth è un’analisi profonda del linguaggio astratto della pittrice austriaca, posto con stile unico sul confine con il reale. Dal 7 giugno al 22 settembre 2024.
Pochi campi come l’arte richiedono un lungo tempo di gestazione per apprezzare appieno un suo protagonista: la crescita personale dell’artista, il riconoscimento dei pari, poi dei critici e degli addetti ai lavori, infine quello del pubblico. Queste a grandi linee le tappe di un percorso in realtà molto meno lineare, dove nulla è garantito e tutto è imprevedibile. Alcune di queste variabili, per esempio, portano Martha Jungwirth, figura fondamentale nella scena artistica austriaca del secondo Novecento, a conquistare definitivamente il successo internazionale.
Se è vero che non si tratta di certo di un artista sconosciuta – è rappresentata da Thaddaeus Ropac e in area tedesca le sono già state dedicate importanti personali – è altrettanto evidente come la pittrice viva oggi un’ulteriore e più ampio considerazione. Il terreno è quello del rinnovato interesse per l’arte astratta, così come quella della meritata valorizzazione dell’astrattismo. Prima di lei, negli anni precedenti, non a caso, sul mercato e in campo espositivo, una parabola simile l’ha vissuta Joan Mitchell. Ora è però il momento di Jungwirth, che dopo la personale alla Galleria di Palazzo Cini a Venezia assiste è protagonista di una mostra di risonanza ancora maggiore.
Il Museo Guggenheim Bilbao le dedica infatti una retrospettiva composta da una selezione di acquerelli e dipinti a olio, oltre a tre libri d’artista, che ripercorrono quasi cinquant’anni di intensa attività, dal 1976 al 2023. É la prima volta che Jungwirth espone in Spagna dal 1966, anno in cui le fu conferito il Premio Joan Miró. Al centro della sua poetica, ora come allora, un’attenta osservazione delle forme umane, degli animali, della storia dell’arte e di numerosi viaggi in tutto il mondo. Le opere che ne derivano evocano un senso di spontaneità attraverso forme irregolari e colori intensi.
I dipinti e i disegni di Jungwirth esplorano il labile confine tra realismo e astrazione, non puntano a raffigurare una narrativa o una rappresentazione visiva diretta, ma sono caratterizzati da pennellate esplosive e gestuali e tonalità intense che diventano espressioni cariche di pathos. In essi sembrano racchiuse esperienze profonde, emozioni e ricordi che la pittrice restituisce evocando la profondità della percezione e della coscienza umana. I soggetti sono vari tanto quanto i suoi interessi, e vanno dagli autoritratti introspettivi ai paesaggi e alle opere ispirate da eventi attuali, come la COVID-19 o gli incendi boschivi in Australia.
Vari come i supporti, decisamente anticonformisti, che Jungwirth ha utilizzato cartone, libri contabili o carta marrone. Ma anche cimeli invecchiati, segnati da bordi stracciati e macchie, che fungono da tela e catalizzatore per un’espressione disinibita, briosa, in grado di valicare i confini artistici convenzionali.