Mondi Sotterranei: 20.000 leghe sotto la terra è una mostra profonda e avventurosa, che parte dal mito e arriva all’esplorazione speleologica per raccontare il rapporto che nei secoli l’uomo ha avuto con il sottosuolo. Al Louvre-Lens fino al 22 luglio 2024.
L’attrazione per il sotterraneo appartiene all’uomo da sempre: l’abbiamo esplorato, l’abbiamo immaginato, ne abbiamo elaborato nei secoli un’immagine che la scienza e le scoperte speleologiche non sono riuscite a liberare dalla patina di mistero che l’avvolge dall’alba dei tempi. Non è un caso, dunque, che anche l’arte si sia spesso interessata al tema, fornendo ciclicamente interpretazione nuove, attinenti alla realtà o totalmente inventate, del mondo che si cela sotto di noi.
Di questi regni invisibili, e delle opere che hanno cercato di dargli una forma, parla la nuova mostra del Louvre-Lens, Mondi Sotterranei: 20.000 leghe sotto la terra. In esposizione più di 200 lavori, tra cui le opere di Alphonse Mucha, Odilon Redon e Edward Burne-Jones, oltre a pietre preziose e fossili, che compongono un viaggio che parte dall’oltretomba di Orfeo, Dante e Virgilio, e arriva fino alle più recenti discese sotto terra dei minatori. Il sotterraneo indagato nei molteplici livelli di significato che si stratificano e si compattano attorno all’umana paura dell’ignoto.
A introdurre il percorso, e a fare da ideale guida all’esplorazione, è la statua della Sibilla Eritrea di Jean-Jacques Caffieri, del 1759. La Sibilla, il cui nome significa profetessa, si è guadagnata la sua fama predicendo sia la guerra di Troia che la venuta di Cristo. É solo la prima di una serie di figure mitologiche e antiche favole che si succedono in mostra, le quali raccontano di come gli antichi greci credevano che i terremoti fossero causati dai Titani sepolti sottoterra da Zeus, o di come il dio romano Vulcano avesse seppellito il gigante Mimas sotto il Vesuvio, segnando indirettamente il destino della città di Pompei.
Del resto, fu solo nel XVIII secolo che gli studiosi iniziarono a esplorare il sottosuolo per capire cosa ci fosse realmente sotto di esso. Fino a quel momento, le ipotesi sono rimaste delle più fantasiose anche avvicinandosi alla nostra epoca. Tra queste l’idea che il centro del mondo fosse vuoto, che fosse pieno d’acqua o che fosse il luogo dove le anime dannate andavano dopo la morte. Luogo di paure ma anche rifugio e orizzonte di espansione, almeno stando a guardare le città sotterranee costruite in tutto il mondo, percorsi di fuga o spazi di deposito.
Tra le opere che raccontano questo universo scuro e misterioso c’è la grande installazione in cartone di Eva Jospin, che immagine le caverne come portali tra un regno e l’altro. Le stesse raffigurate da Gustave Courbet, che presenziano ne il ciclo de Le prigioni di Giovanni Battista Piranesi, o che fanno da sfondo a L’abisso di Alphonse Mucha e a Chants sur l’eau di Jean-Francis Auburtin.