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Intervista allo Studio Fontana: il restauro delle foto, il catalogo ragionato, la mostra di Brescia

FRANCO FONTANA © texas 1979 FRANCO FONTANA © texas 1979
FRANCO FONTANA © texas 1979
FRANCO FONTANA © texas 1979

Lo Studio Fontana fa il punto su alcuni dei progetti in atto dedicati all’opera del fotografo: dal restauro degli scatti alla mostra – curata dallo Studio Fontana, promossa dalla Fondazione Brescia Musei e co-prodotta con Skira Arte, all’interno del palinsesto di Brescia Photo Festival, promosso da Comune di Brescia e Fondazione Brescia Musei, in collaborazione con il Ma.Co.f – Centro della Fotografia Italiana – che li vede protagonisti.

Oggi la scelta di usare i colori appare normale, ma cinquant’anni fa fu rivoluzionaria. Come mai? 

Fu rivoluzionaria soprattutto in campo artistico, dove si pensava che solo il bianco e nero avesse una valenza in tal senso. La fotografia a colori era considerata alla stregua della cartolina. Ma per Fontana il bianco e nero era un distacco dalla realtà, un inganno, un racconto inventato. E del resto era proprio questa l’intenzione dei bianconeristi: trasfigurare la realtà per muoverla su un piano artistico, generare una visione che scollasse il mondo dalla sua immagine terrena per restituirne una visione lirica. Al contrario, Fontana scherzava spesso dicendo “Vedo a colori, perché dovrei fotografare in bianco e nero?“. Si può dire cercasse un’adesione maggiore al reale. 

Immagino non sia stato semplice. 

Niente affatto, per diverse ragioni. Innanzitutto, per una questione tecnica: scattare a colori è tendenzialmente più complesso, richiede di considerare più aspetti, ti espone a più criticità potenziali. La luce, le sfumature, i toni, le combinazioni cromatiche. E poi, per il retaggio bianconerista che resisteva, imporsi come artista che scattava a colori non è stato facile. Alcuni colleghi americani, per esempio, sono stati supportati nel percorso da varie istituzioni, università e musei, o da realtà private come le gallerie. In Italia invece Fontana si è ritrovato isolato – senza un supporto dall’alto, organico e strutturato – a crearsi da sé la strada. 

FRANCO FONTANA © SAN FRANCISCO 1979
FRANCO FONTANA © SAN FRANCISCO 1979

Quali sono stati i momenti di svolta lungo il percorso? 

La prima pubblicazione in assoluto fu ovviamente significativa, si chiamava “Modena una città” e ricordo che aveva le foto attaccate, nemmeno stampate, sul volume. Fondamentale è stata la mostra alla Galleria Diaframma di Milano agli inizi degli anni 70’, l’unica che ha supportato il movimento della fotografia a colori. E poi il progetto di Skyline, collana ideata da Ghirri, con cui Fontana era amico, ma diversissimo per stile. 

Ripristinare il colore delle opere era dunque indispensabile. Quando nasce l’idea del progetto? 

L’idea è nata circa 20 anni fa da Franco e nostra figlia Cristina ma si è “perfezionata” circa 8 anni fa grazie all’incontro con Germano Celant. L’archivio è piuttosto vasto e negli anni Fontana non è stato molto attento alla conservazione delle opere. Del resto, anche delle macchine fotografiche non aveva certo un visione idealizzata, anzi le vedeva come un mezzo e non come un feticcio. Quindi c’era grande necessità di rimettere ordine, di scavare nell’archivio, ordinare gli scatti per genere, salvare i negativi salvabili, le diapositive e riportare alla luce scatti realizzati alla fine degli anni 50 fino ai giorni nostri. Il materiale è stato in parte digitalizzato e restaurato ma il lavoro non è ancora terminato. 

Chi se ne occupato? Come è stato svolto tecnicamente il lavoro? 

La gestione del lavoro, per volere di Franco, viene gestito da tutti noi: da Franco, da me e da nostra figlia Cristina; con il supporto di validi collaboratori per quanto concerne la digitalizzazione e la stampa. É comunque sempre Franco che ne valida il risultato.

FRANCO FONTANA © SPAGNA 1985
FRANCO FONTANA © SPAGNA 19850188 001

I risultati si vedono? 

Eccome! Al di là della brillantezza dei colori, la ricostruzione ha fatto emergere dettagli che nelle stampe dell’epoca non si notavano, per una questione di materiale dalle limitate possibilità. Si può dire quindi che queste riproduzioni siano più aderenti alle intenzioni del fotografo rispetto alle fotografie originali.

É emerso qualcosa di particolare?

Abbiamo trovato alcuni negativi/diapositive che riportano i tagli che Fontana faceva per delimitare la zona che avrebbe stampato. Una soluzione di fortuna pensata per ottenere un risultato che avrebbe ottenuto solo con altri obiettivi, che però inizialmente non si poteva permettere. Ci sono dei negativi/diapositive in cui si vede il quadrato, la cornice, del dettaglio che voleva estrapolare.

Dopo il restauro, la mostra (Museo di Santa Giulia, Brescia, fino al 25 agosto).

Ora parte di queste fotografie sono in esposizione a Brescia. Al centro della mostra c’è l’idea di Fontana secondo cui tutta la sua opera sia paesaggio, anche gli scenari urbani o le immagini piene di persone. Noi cataloghiamo le sue fotografie per temi, per comodità e organizzazione, ma a livello poetico lui le intende tutte come paesaggi. In particolare, come paesaggi universali, scattati in un luogo preciso ma che a questo luogo non rimangono legati, ma anzi possono essere applicate ad altri contesti.

FRANCO FONTANA © APPENNINO 1962
FRANCO FONTANA © APPENNINO 1962

Per esempio? 

Per esempio, in mostra c’è una foto di Baia delle Zagare, scattata in Puglia, che il Ministero della Cultura francese ha usato per una campagna di comunicazione, proprio perché Fontana coglie l’essenza del paesaggio al di là del contesto in cui è inserito. 

Ci sono opere particolarmente significative? 

La foto degli sciatori nel 61’, esposta per la prima volta nel 2021, una prospettiva mai vista, una visione complessa della totalità dell’immagine. In generale la selezione racconta gli interessi eterogenei di Fontana, che raramente torna per molto tempo sullo stesso soggetto, si annoia piuttosto facilmente ed è alla ricerca sempre di cose nuove. 

Il tema di Brescia Photo Festival è Testimoni, che esalta la capacità dei fotografi di documentare il presente. Che valore specifico assume questo per un autore come Fontana che gioca spesso tra realtà e astrattismo? 

Tutto ciò che è dietro un obiettivo diventa presente, documentazione dell’immediato, anche se non ha un risvolto sociale. Le persone, i loro abiti, il contesto urbano e naturale in cui si muovono sono un racconto di ciò che si viveva in un tempo preciso, una testimonianza di ciò che è stato.

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