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Il resto di niente, una mostra dedicata alla relazione tra i contesti architettonici e le esperienze identitarie ed emotive che li abitano

Tobias Zielony, Overshoot 3, 2024, stampa cromogenica, Courtesy dell’artista e Galleria Lia Rumma, Milano/Napoli
Tobias Zielony, Overshoot 3, 2024, stampa cromogenica, Courtesy dell’artista e Galleria Lia Rumma, Milano/Napoli

Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee – museo Madre e Gucci presentano, per tutta l’estate, la collettiva Il resto di niente, dedicata alla relazione tra i contesti architettonici e le esperienze identitarie ed emotive che li abitano, a cura di Eva Fabbris con Giovanna Manzotti, da un’idea di Sabato De Sarno.

Gli spazi del Madre di Napoli accolgono, fino al 29 luglio, un racconto corale fatto di installazioni, fotografie, modelli, opere sonore, video, sculture di neon, schizzi architettonici e grandi disegni che si confrontano tra loro, partendo da uno sguardo sul lavoro di uno dei protagonisti più visionari della scena architettonica italiana della seconda metà del Novecento, Aldo Loris Rossi (Bisaccia, 1933; Napoli, 2018). Oltre a lui, protagonisti del progetto espositivo sono i lavori di Vincenzo Agnetti (Milano 1926 – 1981), Giulio Delvè (Napoli, 1984), Özgür Kar (Ankara, 1992), Donatella Mazzoleni (Firenze, 1943), Franco Mazzucchelli (Milano, 1939), Jim C. Nedd (italo-colombiano, 1991), Sara Persico (Napoli, 1993), RM (Bianca Benenti Oriol e Marco Pezzotta, duo fondato a Ginevra, 2015), Domenico Salierno (Napoli, 1967), Nanda Vigo (Milano, 1936 – 2020), Angharad Williams (Ynys Môn, 1986) e Tobias Zielony (Wuppertal, 1974).

Il titolo della mostra riprende l’omonimo romanzo di Enzo Striano (Mondadori) che, a partire dalle vicende personali della protagonista Eleonora de Fonseca Pimentel, traccia un ritratto delle trasformazioni sociali e antropologiche che interessano Napoli negli anni della rivoluzione del 1799. La mostra Il resto di niente riprende in modo figurato i temi trattati dal libro che, tra soggettività e storia, indaga la possibilità di trasformazioni sociali e antropologiche in un’epoca di fortissimo cambiamento per la città partenopea.

Napoli e i suoi mutamenti sono al centro del percorso espositivo che trova il proprio filo rosso nell’indagine di Aldo Loris Rossi. Figura fondamentale e visionaria della scena architettonica italiana della seconda metà del Novecento, Rossi imposta a partire dagli anni Sessanta un radicale discorso estetico e politico sull’architettura e sull’urbanistica, riservando un’attenzione particolare alla città di Napoli. La visione di Aldo Loris Rossi emerge in mostra dalla selezione di disegni e progetti da lui realizzati per Napoli, molti dei quali concepiti insieme a Donatella Mazzoleni, posti in un inedito dialogo con le opere di dodici artisti contemporanei di diversa provenienza e generazione, ognuno dei quali porta risposte e interpretazioni diverse.

La mostra sancisce la ripresa dell’attività espositiva del Museo, dopo l’interruzione per consentire la prima fase di lavori e opere di manutenzione straordinaria; costituisce inoltre un esempio virtuoso di prima collaborazione pubblico privato intrapresa dal Madre, collocando l’istituzione al centro di un dialogo proficuo e rispettoso tra il mondo dell’arte e quello delle imprese. Testimonia inoltre la forte volontà, da parte di Gucci e del suo Direttore Creativo, di creare una sinergia con un’istituzione che ne rispecchi i valori estetici e artistici.

In mostra sono presentati numerosi disegni di Aldo Loris Rossi e di Donatella Mazzoleni, pensati per coniugare forme organiche, passionalità espressionista, ascendenze futuriste e costruttiviste. Progetti come la Casa del Portuale (1968-1980) e il complesso residenziale di Piazza Grande (1979-1989) si inseriscono nel panorama urbano napoletano, vividi esempi di architettura brutalista, e appaiono come enormi e autonome astronavi, ideate nel solco delle utopie del secondo dopoguerra. Ripensando al futuro che quelle costruzioni prospettavano, e guardando all’immaginario che oggi creano (vi sono ambientate, per esempio, alcune tra le più famose serie televisive e video musicali realizzati a Napoli), questi edifici sono spunto per una riflessione sull’abitare e le sue implicazioni affettive.

L’interazione più diretta con queste tematiche è restituita da Tobias Zielony che ha già all’attivo un progetto di ricerca video e fotografico dedicato alle Vele di Scampia a Napoli e che in occasione della mostra Il resto di niente ha realizzato una serie di scatti dedicati ad alcune delle più celebri costruzioni di Rossi con Mazzoleni. Proseguendo nel percorso espositivo si incontrano le opere di Vincenzo Agnetti e Nanda Vigo, artisti di una generazione vicina al periodo dell’architettura utopica, che creano interessanti paralleli, rispettivamente concettuale e cosmogonico, con il lavoro di Rossi.

Dove Jim C. Nedd, RM e Domenico Salierno raccontano dimensioni emotive, dolci e desolate dell’abitare oggi, Giulio Delvè e Özgür Kar invece presentano opere che esplorano il pericolo di sentirsi esistenzialmente intrappolati. Sara Persico trasla nel sonoro la ruvida dimensione urbana che Angharad Williams coglie nel riflesso di un’automobile. Franco Mazzucchelli concepisce le sue sculture gonfiabili come dispositivi di occupazione dello spazio vissuto e condiviso, che riempiono le sale del Madre.

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