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Art Basel 2024: Mazzoleni torna e raddoppia: 8 metri di Salvo e 50 anni di Novecento italiano

(Unlimited Presentation) Salvo, Il trionfo di San Giorgio, 1974. Courtesy of Mazzoleni, London - Torino
(Unlimited Presentation) Salvo, Il trionfo di San Giorgio, 1974. Courtesy of Mazzoleni, London – Torino

Mazzoleni torna a Basilea e raddoppia la posta: saranno infatti due le proposte della galleria torinese con sede anche a Londra: Galleries e Unlimited. Per Galleries la galleria presenta la mostra collettiva “Magnificent Symposium”. L’esposizione offre un’opportunità unica per esplorare l’opera di cinque artisti italiani che abbracciano due generazioni: Giorgio de Chirico (1888-1978), Alberto Savinio (1891-1952), Salvo (1947-2015), Giulio Paolini (1940) e Michelangelo Pistoletto (1933).

La presentazione si concentrerà sul tema del mito e delle leggende, svelando somiglianze e divergenze nei diversi linguaggi adottati dagli artisti e nella narrazione di elementi mitici, simbolici e onirici. In dialogo con “Magnificent Symposium”, nel Settore Unlimited di Art Basel Mazzoleni presenta Il trionfo di San Giorgio (1974) di Salvo. L’opera, alta oltre 2,5 metri e lunga quasi 8 metri, d’après Carpaccio, è stata esposta alla Galleria Franco Toselli di Milano nel 1974 e due anni dopo alla 37ª Biennale di Venezia. L’opera è un punto focale nella ricerca di Salvo negli anni Settanta, esplorando temi come il legame con la tradizione e il ripensamento delle opere dei grandi maestri della storia dell’arte, e sarà anche uno dei punti salienti della più vasta mostra dedicata all’artista dal 2015, che si terrà alla Pinacoteca Agnelli (Torino) questo autunno.

Guilio Paolini, L’altra figura, 1983. Two plaster busts, thirty-three bust fragments and two painted white plinths, 45 x 23 x 23 cm (each bust) Overall dimensi

Giorgio de Chirico è noto per il suo nostalgico interesse verso il passato classico, che viene rievocato attraverso varie tematiche nelle sue opere. Nato in Grecia da genitori italiani, de Chirico e il fratello maggiore Alberto Savinio furono immersi fin dall’infanzia nell’antichità classica, nella mitologia, nell’arte e nella storia antica. Riferimenti alla storia dell’arte e all’età dell’oro della civiltà occidentale permeano le opere di entrambi gli artisti, come il celebre dipinto di de Chirico Il pittore paesista (1958). Nello spirito della Neo-Metafisica, quest’opera rivisita stilemi metafisici, spogliati del loro significato originale, e presentati in un’atmosfera disincantata e giocosa. L’opera è la sintesi dei principali temi trattati dall’artista. Nello spazio del dipinto, il paesaggio rappresentato dal pittore funge da quinta scenografica al soggetto principale, creando così un’opera nell’opera. Il pictor optimus cattura la natura en plein air oltre i confini della tela reale e della tela immaginata, svelando al contempo il paesaggio della sua immaginazione.

Similmente, il ritorno alla pittura di Salvo nel 1973 fu alimentato dalla sua passione per i maestri del passato, in particolare del Rinascimento veneziano. Salvo traduce i loro soggetti in composizioni semplificate, con atmosfere rarefatte, concentrandosi esclusivamente sull’immagine mitica, come avviene nella sua rivisitazione dell’iconografia classica dell’eroe cristiano San Giorgio. In San Giorgio e il drago (1976), la tavolozza di colori, decisamente manierista, e l’apparente natura iridescente del manto del cavallo sovvertono la rappresentazione dell’iconografia cristiana, mentre la serena concentrazione del santo trasmette un’interpretazione allegorica dell’uomo determinato nella sua sconfitta del male. Giulio Paolini, sebbene spesso associato al movimento dell’Arte Povera, è anche noto per la sua pratica concettuale, che cita opere del passato come mezzo di riflessione su se stesso e sulla storia dell’arte. Ne è un esempio significativo l’opera L’altra figura (1983), composta da due calchi classici in gesso di un busto ellenistico, tra i quali sono posizionati trentatré frammenti di un terzo busto identico. I due busti, che si guardano, sembrano coinvolti nella distruzione del terzo, pur manifestando una calma apparente. Queste teste greco-romane esemplificano l’affinità di Paolini con de Chirico: l’aura di mistero e l’allusione all’assenza pongono al centro del suo lavoro temi quali la malinconia e la nostalgia per il passato classico.

Michelangelo Pistoletto, Dono di Mercurio allo Specchio, 1971. Bronze and glass, 230 x 130 x 2.5 cm (mirror) 146 x 44 x 56 cm (statue). Edition of 4 (#1_4). C

Combinando elementi concettuali e visivi, Michelangelo Pistoletto utilizza il mito come strumento per creare allegorie che esplorano la relazione tra l’individuo e la società contemporanea. L’opera Dono di Mercurio allo Specchio (1971) presenta una statua in bronzo della Dea della Gioventù, Hebe, in una suggestiva posa di tre quarti, di fronte a un grande specchio. La sua posizione invita lo spettatore a collocarsi accanto alla dea, rendendolo così il protagonista principale. Riflettendo sulle sue opere con specchio, Pistoletto nota che suggeriscono “una doppia proiezione, sulla parete e nello spazio dello spettatore. In un certo senso, integrano pittura e scultura” (Michael Auping, ‘Society and Surface: Two Interviews with Michelangelo Pistoletto’, 2011). Questa relazione è evidente in Dono di Mercurio allo Specchio, dove il riflesso rappresenta una superficie bidimensionale, mentre l’elemento scultoreo rappresenta la terza dimensione

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