Dan Halter torna a Milano. E che ritorno, Osart Gallery riporta l’artista zimbabwese negli spazi della galleria milanese con un nuovo corpus di opere. La poetica di Halter si concentra ancora una volta su tematiche di sociopolitica, quali i fenomeni migratori e i confini geografici, il postcolonialismo, la linguistica e il cambiamento climatico. Il titolo della mostra, The Map is Not the Territory, nasce dall’esigenza di ridefinire i concetti storici di proprietà terriera, ricchezza e distribuzione della terra nell’Africa post-coloniale in particolare e nel capitalismo globale in generale.
Halter fa riferimento al saggio Discorso sulla disuguaglianza di Jean-Jacques Rousseau (1755), nel quale il filosofo afferma di come il concetto di proprietà terriera abbia causato un’iniquità debilitante, come punto di partenza per mettere in discussione le disuguaglianze attuali. Il Sudafrica, paese di residenza di Halter, è largamente riconosciuto per avere una delle società più inique al mondo. La lunga storia di appropriazione territoriale ha generato enormi ricchezze per i discendenti dei coloni, tendenzialmente bianchi, mentre ha lasciato la maggioranza della popolazione totalmente deprivata di terreni. MarkTwain,inunadellesuefamosemassime,chiosa:“Comprateterreni.Nonnefabbricanopiù”.L’aforismasièspesso rivelato vero, dal momento che la disponibilità limitata di terra sul pianeta è già stata in larga parte privatizzata. Questo significa che le generazioni future saranno divise tra coloro che appartengono a una stirpe di proprietari terrieri e no. Nei paesi dell’Africa meridionale, il tema è più attuale che mai, poichè la terra più produttiva reclamata dai coloni Europei in epoca coloniale si trova tuttora nelle mani dei loro discendenti. Opere come Monopoly Discourse on Inequality (2024) e An Outpost of Progress (ColonialAfrica – Camo) (2024) offrono un punto di vista critico su questi temi: i testi selezionati sono impressi e intrecciati sulla famosa tavola del gioco del Monopolyesuunamappadell’Africainstilemimetico.LapraticaconcettualediHalterdiintrecciareimmaginiiconiche(e i riferimenti ad esse connessi di violenza coloniale e pratiche capitaliste) alla critica testuale concomitante, crea un doppio effetto critico. Tale effetto nasce dalla familiarità visiva, che viene aumentata e intensificata dalla complessità della tecnica utilizzata.
Un altro tema pressante nella pratica artistica di Halter è la crisi del cambiamento climatico, visibile in lavori come The Pale Blue Dot e The Social Contract Warming Stripes.Al di là dell’urgenza pressante del problema, queste opere fanno sorgere domande sulla rilevanza che il Contratto Sociale di Rousseau possa detenere ad oggi, o se abbia ancora senso che i popoli continuino a riporre fiducia nei rispettivi governi nazionali. Una domanda sulla quale Halter si interroga è se i governi democratici non stiano piuttosto cedendo il posto al potere delle multinazionali, e quale impatto avrà questo paradigma sul benessere della società. Il lavoro di Dan Halter mette in discussione le motivazioni di profitto del capitalismo e la natura entropica dei sistemi di governo democratici.